Come contributo alla discussione sulle modifiche al Codice
dell'amministrazione digitale pubblichiamo il sommario e il capitolo conclusivo
del libro "Firme elettroniche - problemi normativi del documento
informatico" in corso di pubblicazione per i tipi di Monti & Ambrosini
Editori.
Il volume sarà in libreria - e acquistabile on line - entro il prossimo mese di
novembre.
NOTA: dopo la riunione di esperti che si è svolta il 17 ottobre
2005 presso il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, alcuni punti sono
stati aggiornati nel testo definitivo del libro. I concetti esposti in questa
pagina restano comunque sostanzialmente attuali (25.10.05).
6.
Sintesi finale
6.1. La scadenza degli effetti giuridici
Alla fine di questo studio può essere utile rivedere in sintesi i
problemi più significativi posti dall’attuale testo del Codice
dell’amministrazione digitale.
In via preliminare, lo ripetiamo, c’è la questione delle definizioni, che
abbiamo trattato nei capitoli 2, 3 e 4 e che riassumiamo più avanti. Ma c’è
un problema sostanziale che va affrontato con molto attenzione: quello della
validità nel tempo del documento informatico, legata sia alle sue
caratteristiche di sicurezza, sia alle vicende che possono influire sulla
verificabilità della firma in funzione del “ciclo di vita” del
certificato.
La sicurezza intrinseca del documento informatico è un punto che il
legislatore italiano (a differenza di quello europeo) ha posto in primo piano
già nella normativa del ’97, stabilendo che il certificato (ora
“qualificato”) ha una validità massima di tre anni. Un complicato
meccanismo di apposizione periodica di marche temporali (ora semplificato)
serve per assicurare il protrarsi degli effetti giuridici dopo la scadenza del
certificato.
La ragione, teoricamente corretta, è che con l’aumento della potenza dei
sistemi informatici aumentano anche le possibilità di “rottura delle
chiavi” e quindi di falsificazione dei documenti. Di fatto si tratta di
un’ipotesi molto remota, perché per falsificare efficacemente un
documento informatico non basta la potenza di calcolo, si deve costruire anche
un “contorno” che può essere molto complicato.
Inoltre – e questo è un elemento essenziale – non si può “presumere”
la perdita di efficacia di un documento solo perché è trascorso un tempo
(nemmeno tanto lungo) dalla sua formazione. Ne va anche l’equiparazione tra documento
tradizionale e documento informatico.
In realtà, quando il documento informatico sarà
diventato di uso comune, vedremo falsificazioni basate su altri e più
concreti elementi:
- la sostituzione di persona nella richiesta di certificazione;
- la sottrazione (magari temporanea) del dispositivo di firma e la cattura del
PIN;
- la presentazione di un documento diverso da quello effettivo sia in fase di
firma sia in fase di verifica;
- l’inserimento di “campi dinamici” nei documenti, grazie ai quali le
informazioni che appaiono nelle fasi di generazione e verifica possono essere
diverse, senza che l’irregolarità sia verificabile a prima vista;
- infine va considerata la possibilità di sfruttare qualche debolezza delle
applicazioni per ingannare l’utente nella fase di verifica della firma,
sostituendo le directory che contengono le chiavi pubbliche dei certificatori
o addirittura “costruendo” siti truffaldini degli stessi certificatori (si
tratta comunque di tecniche molto complesse e quindi questo rischio – a
differenza di quelli appena elencati – non deve essere considerato molto
probabile).
In sostanza è necessario rendere più stringenti le
disposizioni sull’identificazione con certezza di chi richiede il
certificato e sulla consegna nelle sue mani del dispositivo di firma e
della busta sigillata che contiene il primo PIN. Per la violazione di queste
disposizioni sarebbe opportuno prevedere una sanzione penale.
C’è un secondo aspetto della validità nel tempo del
documento informatico, che deve essere considerato essenziale: il certificato
può “sparire” per diversi motivi, il primo dei quali è la scadenza
prevista dopo pochi anni di vita. Alla sparizione del certificato si verifica
la definitiva impossibilità di verificare la firma! Altri eventi che possono
avere questo effetto sono la revoca (che può avvenire anche poco tempo dopo
l’emissione) e la cessazione dell’attività del certificatore.
In quest’ultimo caso deve essere resa obbligatoria l’acquisizione dei
certificati da parte di un altro certificatore, perché in caso contrario i
danni per i titolari potrebbero essere gravissimi. Comunque va costituito un
“archivio storico” pubblico dei certificati scaduti, per rendere possibile
qualsiasi verifica futura.
6.2. Natura e definizioni
delle firme elettroniche
Allo stato attuale della tecnologia lo strumento informatico che consente
di verificare l’integrità di un documento e di attribuirlo a un determinato
soggetto è uno ed uno solo: la firma digitale, detta anche “firma
elettronica” (quest’ultima espressione è imprecisa).
Per “firma” intendiamo solo il segno grafico e il suo corrispondente
informatico che consente il collegamento univoco tra un documento e un
determinato soggetto (entity authentication).
Gli strumenti che consentono di verificare solo l’integrità di un testo (data
authentication), ma
non di attribuirlo a un determinato soggetto non sono “firme”, ma devono
essere indicati come “contrassegni”, “sigilli” o, più utilmente,
“segnature”.
La direttiva 1999/93/CE individua e definisce (al di là
di una serie di imprecisioni chiaramente derivanti da un mancato coordinamento
finale del testo) due tipi di signature:
- la electronic signature, che serve solo a verificare l’integrità
dei dati (data authentication);
- la advanced electronic signature, che serve sia a verificare
l’identità dei dati sia l’attribuzione dei dati stessi a un determinato
soggetto (data authentication più entity authentication).
Come specie delle advanced electronic signature la direttiva esamina
anche le advanced electronic signatures which are based on a qualified
certificate and which are created by a secure-signature-creation device,
alle quali attribuisce gli stessi effetti delle firme autografe.
Una sensata traduzione di queste norme dovrebbe
portare a prevedere nell’ordinamento italiano i seguenti strumenti:
- segnatura elettronica (electronic signature), come strumento
che serve esclusivamente per la validazione dei dati (data authentication,
ovvero “validazione dei dati”);
- firma elettronica semplice, come strumento che consente sia la
validazione dei dati sia la validazione dell’identità,
ma senza gli effetti della “certezza legale”;
- firma elettronica qualificata, tecnicamente coincidente con la firma
elettronica semplice, ma generata e verificata con procedure tali da
assicurare la “certezza legale” dell’attribuzione dei dati e quindi con
effetti equivalenti a quelli della firma autografa.
E la firma digitale? Si tratta solo della
sostituzione di un aggettivo, non è cosa diversa dalla firma elettronica.
E’ preferibile usare l’aggettivo “elettronico” al posto di
“digitale” per assonanza con la direttiva e con la terminologia adottata
da altri Paesi, ma si deve tenere presente che se parliamo di “segnatura
digitale”, “firma digitale semplice” e “firma digitale qualificata”
in realtà indichiamo esattamente gli stessi strumenti che abbiamo elencato
nel paragrafo precedente.
Non ha senso dire che l’aggettivo “elettronico” è più
“tecnologicamente neutrale” di “digitale” (se mai è vero il
contrario), ma la “neutralità” della direttiva può essere rispettata con
la semplice eliminazione del riferimento alla tecnologia a chiavi asimmetriche
dalla definizione formale del Codice.
Per concludere queste sono, in linea di massima, le
definizioni che dovrebbero essere adottate nella revisione del Codice:
- Segnatura elettronica: l’evidenza informatica usata
per validare un’altra evidenza informatica alla quale è connessa mediante
un’associazione logica.
- Firma elettronica semplice: l’evidenza informatica ottenuta attraverso una
procedura che garantisce la connessione univoca al firmatario e il suo univoco
riconoscimento, creata con mezzi sui quali il firmatario può conservare un
controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da
consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente
modificati.
- Firma elettronica qualificata: l’evidenza informatica ottenuta attraverso
una procedura che garantisce la connessione univoca al firmatario e il suo
univoco riconoscimento, basata su un certificato qualificato e generata con un
dispositivo sicuro, e collegata ai dati ai quali si riferisce in modo da
consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente
modificati..
6.3. Effetti processuali delle
firme elettroniche
Da quanto esposto nel paragrafo precedente derivano senza problemi queste
conseguenze:
1. La firma elettronica qualificata deve avere lo stesso regime della firma
autografa, senza aggiunte che possano dare luogo a incertezze interpretative
e, soprattutto, a disarmonie con l’ordinamento esistente (2702 e segg.
c.c.).
2. La firma elettronica semplice, poiché consente la validazione del
contenuto, ma non offre la “sicurezza legale” dell’attribuzione del
documento, deve essere rimessa alla libera valutazione del giudice.
3. La segnatura elettronica, poiché valida (“congela”) i dati ma non
offre alcuna indicazione sull’attribuzione del documento, deve essere
equiparata alla riproduzione meccanica (art. 2712 c.c.).
Nell’attuale testo del Codice le distinzioni non sono chiare, perché c’è
confusione sulla natura di quella che è definita come “firma
elettronica”: essa appare di volta in volta o come semplice segnatura (e
quindi mera validazione dei dati) o come firma elettronica semplice (cioè
come validazione dei dati e validazione non legalmente certa dell’identità).
Per completare l’equiparazione tra documenti
tradizionali e documenti informatici si dovrebbe anche aggiungere che la
combinazione tra firma elettronica semplice e la marca temporale, già
contemplata dalle disposizioni sull’archiviazione dei documenti e sulla
fattura elettronica, ha lo stesso effetto della “vidimazione” dei fogli di
carta (vedi gli artt. 2709 e seguenti del codice civile).
6.4. Altri punti critici
Nell’attuale versione del Codice ci sono diverse incongruenze, materiali
e logiche, nelle parti che riguardano la trasmissione dei documenti
informatici. Si attribuisce al telefax, un mezzo intrinsecamente insicuro, gli
stessi effetti del documento firmato digitalmente e, soprattutto, si
confondono le necessità di identificazione del mittente (entity
authentication) con quelle della inalterabilità del contenuto (data
authentication).
Tutta la materia va rivista (e non è difficile), tenendo presente che la
posta certificata deve costituire lo strumento principale di trasmissione dei
documenti informatici, visto che alla sua semplicità ed economicità di uso
corrisponde un grado di sicurezza molto elevato.
E a proposito della traduzione del termine inglese authentication,
si deve ricordare che esso significa di volta in volta “riconoscimento”,
“identificazione”, “validazione” eccetera. Nel nostro ordinamento la
parola “autenticazione” deve essere usata solo ed esclusivamente per
indicare l’istituto descritto dall’art. 2703 del codice civile: in caso
contrario si possono verificare (e si sono verificati) equivoci interpretativi
non trascurabili.
Considerando che le “definizioni” poste all’inizio
di un provvedimento legislativo costituiscono la base per l’interpretazione
delle norme, sarebbe bene rivedere e completare l’art. 1 del Codice, evitando di attribuire (come nel caso della
“autenticazione” significati giuridici che mal si conciliano con i
corrispondenti termini usati dai tecnologi. E’ il caso del “certificato
elettronico”, che nell’attuale versione del Codice è solo quello che
collega le chiavi di sottoscrizione al titolare, mentre ne esistono molti
altri, con impieghi diversi, che in questo momento “non esistono” sul
piano giuridico.
Ancora, sarebbe utile precisare la nozione di
“documento informatico”: oggi la definizione riguarda qualsiasi tipo
“rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente
rilevanti”, mentre sarebbe opportuno distinguere almeno tra il documento
informatico semplice e il documento informatico qualificato, intendendo con
quest’ultima espressione il documento informatico provvisto di firma
elettronica qualificata.
6.5. Conclusione
Nella normativa italiana del ’97 non c’erano disposizioni in
sostanziale contrasto con la direttiva europea del ’99. Bastavano pochi
ritocchi al DPR 513/97 per attuare le disposizioni comunitarie. A stretto
rigore non era necessaria neanche la previsione delle firme deboli, dal
momento che nessuna norma ne vietava l’uso. I principi generali del nostro
ordinamento e il codice civile erano sufficienti a delimitarne il valore
sostanziale e processuale. Poche norme di rango regolamentare avrebbero potuto
precisarne l’impiego nella pubblica amministrazione.
Ma il legislatore nostrano ha voluto strafare e ha costruito un edificio
normativo ipertrofico che appare molto difficile demolire, anche a prescindere
dagli errori che contiene e che abbiamo elencato in questo studio. Più le
norme sono numerose, più è facile che si contraddicano. Più entrano nel
dettaglio, più sorgono dubbi per i casi non previsti. E l’interpretazione
diventa un rompicapo.
Purtroppo gli ultimi decenni di legislazione sembrano caratterizzati da una
specie di incontinenza normativa (tuttavia non priva di lacune e
dimenticanze), influenzata spesso più da interessi particolari che
dall’interesse generale. Un esempio, che riguarda un settore lontano dal
nostro, è l’etichettatura degli alimenti: dalla normativa europea a quella
italiana, c’è una congerie di disposizioni che disciplinano ogni dettaglio
delle indicazioni che devono apparire sulle confezioni, ma che proteggono
l’industria più dei consumatori. Nel caso dell’olio extra-vergine di
oliva è vietato indicare la provenienza della materia prima, perché la norma
dice che l’olio è italiano se le olive sono spremute in Italia. Se un
produttore nazionale scrive che l’olio è fatto con olive italiane, è
condannato a una sanzione amministrativa e il prodotto viene sequestrato.
Questo perché non è stato emanato un regolamento previsto nell’attuazione
delle disposizioni comunitarie. Il regolamento, si dice, darebbe fastidio a
qualche grosso produttore di olio “italiano” ottenuto da olive provenienti
dalla Spagna o dalla Grecia.
Così le norme sui documenti informatici appaiono spesso scritte o modificate
su suggerimento dei “fornitori”, cioè i certificatori accreditati. I
quali però dimenticano che l’astrusità delle norme e l’alleggerimento
delle procedure di sicurezza diminuiscono la fiducia dei “consumatori” e
non aiutano a superare la diffidenza verso tutto ciò che manda in soffitta
vecchie abitudini e consolidate certezze.
E’ necessario che il legislatore recuperi la propria indipendenza di
giudizio e che tenga conto più degli interessi generali e della coerenza
dell’ordinamento giuridico che di suggerimenti fondati da una parte sul
rifiuto culturale dell’innovazione e dall’altra su interessi di bottega
che si sono già rivelati controproducenti.
Come di vede dal fatto che, a otto anni di distanza dalla norma che attribuiva
pieno valore legale al documento informatico, siamo ancora sommersi da
montagne di carta. Che in moltissimi casi sono solo l’inutile stampa di
documenti nati in formato digitale.