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Le relazioni - 7

La privacy tra le norme e il mondo reale

di Paolo Ricchiuto* - 18.05.05
 
Pochi giorni fa. Su un quotidiano nazionale viene pubblicata l'intervista ad un prefetto sulla proposta di creare a Roma un quartiere a luci rosse dove (testuale) sottoporre quanti esercitano la professione a controlli medici periodici. Insomma una sorta di schedatura, chiosa malizioso il giornalista. Risposta del prefetto: "Ma io dico: è più importante sconfiggere lo sfruttamento della prostituzione, le malattie, l'immigrazione illegale, o la tutela della privacy?"

Alcuni mesi fa. Al temine di una lunga riunione sulla impostazione della privacy policy, un mio cliente mi prende da una parte e mi dice: "Avvocato, io una cosa l'ho capita: questa storia della privacy è solo un altro modo per farmi spendere una barca di soldi".

Ecco. Volendo provare a fare una sintesi del livello di acquisizione nella coscienza sociale di una cultura della data protection, questi mi sembrano punti di riferimento imprescindibili:
- una resistenza che definirei filosofica, animata dal principio secondo il quale la privacy è un bene da tutelare soltanto fino a quando non impedisce, o non rende più complicato il perseguimento di qualsiasi finalità, nobile o meno che sia (dalla sicurezza negli stadi alla... utilizzazione gratuita di una casella di posta elettronica)
- una equazione biecamente operativa (privacy = adempimenti) radicatasi soprattutto nel mondo delle piccole aziende, ed in forza della quale il concetto stesso di tutela della riservatezza viene vissuto come la formalistica gestione dell'ennesimo ostacolo ad uno snello posizionamento sul mercato (uno di quei lacciuoli da tagliare, insomma, magari nel quadro onnicomprensivo di un provvedimento sulla competitività...).

E' una visione catastrofista? Forse. Ma la mia sensazione è che a partire dall'ormai quasi decennale entrata in vigore del primo impianto normativo organico sulla tutela dei dati personali, si sia andata marcando una sempre più netta ed anomala divaricazione fra due mondi che non riescono a parlarsi.

Da una parte c'è quella sorta di iperuranio, dove la grande impresa (banche, assicurazioni etc.etc.) e gli Uffici del Garante si muovono con consapevole agio, in un sempre più raffinato ed avanzato approccio ai grandi temi connessi alla tutela dei dati personali. Una rappresentazione geometrica di questa relazione "privilegiata"? La forma assunta dalle linee guida sulle misure di sicurezza impartite dall'Autorità il 22.03.04, documento interpretativo di fondamentale importanza per chiunque, e che è passato alla storia come il "parere a Confindustria"!
In questo giardino delle idee, si regolamentano gli RFID, ci si misura con il concetto stesso di diritto all'oblio, si affrontano problematiche di enorme respiro culturale.

Dall'altro lato, ed è un ambito grande mille volte il primo, ci sono le PMI, i professionisti, gli artigiani, insomma la spina dorsale del mondo produttivo del nostro paese, che ha una difficoltà enorme ad entrare in sintonia con lo spirito che anima la disciplina, ed è portato inevitabilmente a guardarla da lontano e con sospetto (prova ne sia il numero assolutamente esiguo, in proporzione al totale degli iscritti agli Albi, di avvocati formati anche sommariamente sulla materia).

Su questo stesso crinale di diffidenza, poi, seppure per ragioni diverse, sembrano muoversi il nostro legislatore e molti uomini delle istituzioni, pronti a by-passare integralmente il "problema" privacy ogni qual volta lo stesso rischi di intralciare il raggiungimento di determinati obiettivi (al riguardo, al di là della posizione di questo o quel prefetto, basta rileggere le relazioni del Garante degli ultimi anni per verificare in quante occasioni il suo "filtro" consultivo, previsto fin dalla L. 675/96, sia stato saltato a piè pari in nome della snellezza dell'iter legislativo).

Due mondi, dunque.
Riuscire a vederli con chiarezza non equivale certo a misconoscere gli enormi passi avanti fatti negli ultimi anni, e la grande (popolare, verrebbe da dire) eco di alcune tematiche emerse grazie al lavoro dal Garante.
Ma, di contro, fingere che quella cesura non ci sia, significherebbe a mio parere partire con il piede sbagliato nella analisi dei punti di approdo, e dei possibili obiettivi di sviluppo della penetrazione culturale della data protection.

Sono probabilmente tantissime le motivazioni della spaccatura. Credo però che un ruolo centrale l'abbia svolto, e stia continuando a svolgerlo, la magmatica e spesso inutile sovrapposizione di punti di riferimento normativi, regolamentari ed interpretativi, tale da rendere a tratti illeggibile la ratio di determinate scelte.
Gli esempi potrebbero essere centinaia. Ne faccio uno, solo per dare la dimensione di quanto la stratificazione di fonti diverse rischi di costruire un impianto assolutamente paralizzante: tutti sappiamo che recentemente è stato adottato il codice deontologico sui sistemi di informazione creditizia (ex centrale rischi). Nello stesso, trova regolamentazione anche il profilo della consultazione di banche dati pubbliche (protesti, conservatorie dei registri immobiliari etc.etc.).

Bene. Per un cervellotico meccanismo di riflessi incrociati, quello stesso identico segmento dell'attività dei sistemi di informazioni creditizie, sarà soggetto anche:
- alla disciplina del Codice deontologico previsto dall'art. 61 co. 1 del TU relativo agli elenchi ed archivi tenuti da soggetti pubblici;
- alla disciplina del Codice deontologico previsto dall'art. 118 TU sul trattamento effettuato a fini di informazione commerciale (che a sua volta al suo interno dovrà individuare, a norma dell'art. 119 TU, termini armonizzati di conservazione delle informazioni sul comportamento debitorio degli interessati nelle banche dati tenute da soggetti pubblici e privati che non rientrino nel campo di applicazione delle ex centrali rischi).
Il tutto affiancato dal provvedimento di bilanciamento di interessi adottato dal Garante.

Si ha la sensazione di un'automobile che va fuori giri: a forza di articolare e montare gli uni sugli altri adempimenti, obblighi e diritti, chiunque rischia di perdere la bussola. E il risultato, inevitabile, è quello di affrontare il complesso regolatorio come una specie di cappa asfissiante, in cui l'interprete e tutti i soggetti coinvolti finiscono per perdere addirittura l'interesse a comprendere, e dunque fare proprie, le ragioni che giustificano le norme, limitandosi a subirle o, nella peggiore della ipotesi, tenendosi alla larga dalla loro applicazione.

Ed allora, spostando l'analisi su termini ancor più generali, la domanda è la seguente: siamo sicuri che affastellare regole ed interpretazioni autentiche sia il modo migliore per approntare un efficace sistema di tutela? La inevitabile proliferazione di contenzioso connessa all'ampliamento incontrollato della ordinaria dicotomia obblighi/diritti può essere considerata, a livello sistemico, come l'indice di un rafforzamento delle garanzie, o piuttosto non rischia di risolversi in una sorta di vacuo circolo fine a sè stesso?

E' strano ma, nel porsi questi interrogativi, un nucleo di risposta è rinvenibile in quanto affermato dieci anni fa, sulle pagine del forum del 1995 (Tutela dei dati personali: rilievi al disegno di legge di D. A. Limone, intervento nel quale l'autore metteva in guardia rispetto ad una disciplina (quella che poi sarebbe diventata sostanzialmente la L. 675/96) le cui definizioni ed il cui ambito di applicazione palesavano una latitudine tanto ampia da rischiare di diventare ingovernabile.

La sfida, dunque, era ed è quella della semplicità e della chiarezza. E soltanto se il legislatore ed il Garante sapranno raccoglierla meglio di quanto non abbiano fatto fino ad oggi, si potrà festeggiare, nel forum del 2015, la piena affermazione della privacy... nel mondo reale.
 

 * Avvocato in Roma

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