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Le relazioni - 8

Digital Rights Management: definire per essere ottimisti

di Andrea Marco Ricci* - 18.05.05
 

Ormai è da diverso tempo che anche nel nostro Paese si è acceso, contemporaneamente alle prime dimostrazioni di forza della tecnologia, un vivace dibattito sull'utilizzo dei sistemi di Digital Rights Management (DRM), con particolare riferimento alla distribuzione attraverso reti telematiche di contenuti digitali tutelati dal diritto d'autore.
Di DRM se ne parla, è vero, talvolta anche con toni critici e con prese di posizione forti, ma l'impressione è che sfugga ai più l'interezza di tale materia, la quale interessa congiuntamente ed indissolubilmente prospettive giuridiche, tecnologiche ed economiche, in un processo che ha come obiettivo principale, ma non unico, la gestione e la protezione della proprietà intellettuale e dei contenuti digitali distribuiti on-line.

E' certamente difficile dare una comune e diffusa definizione di tali sistemi proprio per la novità di questa "materia" ed il suo continuo evolversi, pertanto procederemo avvicinandoci all'argomento per piccoli passi.

Seguendo l'evoluzione tecnologica avvenuta finora, è possibile distinguere tre generazioni di sistemi di DRM: la prima generazione di DRM, visualizzava semplici dati del titolare dei diritti (ad es. autore e nome dell'opera) in metadata oppure riproduceva accordi di utilizzo del contenuto in licenze allegate (ad es. licenze software); in una seconda generazione si è aggiunto a queste caratteristiche funzionalità relative alla protezione, all'identificazione e all'accesso dei contenuti, nonché funzioni di Content Management (CM). I sistemi di DRM di terza generazione sono invece in grado non solo di identificare e proteggere un'opera, ma anche di gestire i rapporti tra tutti i soggetti coinvolti nell'amministrazione di questa e dei diritti ad essa relativi, separatamente dalla forma in cui essa viene distribuita e potenzialmente ridistribuita come una qualsiasi altra opera nel mondo fisico.

I sistemi di DRM vengono talvolta confusi con i c.d. sistemi di Content Management (CM), ossia quei sistemi utilizzati per la distribuzione dei contenuti on-line attraverso metadata, informazioni sui dati che descrivono come, quando e da chi un determinato insieme di informazioni è stato preparato, consentendo ad esempio l'individuazione del formato di distribuzione e della sua versione, le condizioni di accesso al contenuto per l'utente e così via. I sistemi di gestione del contenuto sono strettamente connessi ai sistemi che gestiscono i diritti di proprietà intellettuale sulle opere dell'ingegno, ma rappresentano materia a parte, essendo questi assoggettati alle regole commerciali più che alle regole descritte nei diritti stessi.

Spesso si fa corrispondere l'utilizzo di DRM con il Digital Rights Enforcement (DRE), ossia quel processo che permette la protezione e l'identificazione del contenuto e assicura che questo venga utilizzato esclusivamente in termini e in condizioni precedentemente previste. È parte di questo processo l'utilizzo di misure tecnologiche efficaci - quali la crittografia, il watermarking (la marcatura digitale), il fingerprinting - riconosciute e tutelate dai trattati WIPO fin dal 1996, in quanto necessarie alla creazione di un mercato telematico per la distribuzione di contenuti.

Il DRM tuttavia costituisce una macrocategoria ben più vasta: ne fa parte, e ne costituisce il nocciolo, anche il Digital Property Management (DPM) ovvero la gestione dei diritti di proprietà intellettuale relativi ad un contenuto. Esso comprende ogni genere di accordo concernente la cessione dei diritti da parte del titolare dell'esclusiva, l'offerta a consumatori che includa termini e condizioni di utilizzo, la creazione di accordi o di licenze di utilizzo, l'interazione con i sistemi di CM per la più appropriata fornitura del contenuto secondo quanto stabilito nella licenza, l'interfaccia tra le parti ed i sistemi di riconoscimento dell'identità congiuntamente a infrastrutture di commercio elettronico, il monitoraggio dell'attività di licenza e il raccoglimento dei compensi ad essa relativi. Pertanto i sistemi di DRM si prestano ad essere utilizzati anche per implementare innovative forme di gestione (sia collettiva, che individuale) dei diritti degli autori e dei titolari di diritti connessi.

Nella concezione più moderna quindi, i DRM sono sistemi per l'amministrazione digitale dei diritti, che non si limitano a presidiare solo gli aspetti di sicurezza rispetto ad accessi o duplicazioni illegali, ma sovrintendono descrizione, identificazione, commercio, protezione, controllo e tracciatura di tutte le forme di cessione del diritto all'uso di uno specifico contenuto digitale protetto dai diritti di proprietà intellettuale: di conseguenza come è stato ben evidenziato (nei workshop del W3C del 2001), la materia del DRM si occupa della "gestione in forma digitale di tutti i diritti" e non solo della "gestione dei diritti di opere digitali".

Questo tipo di tecnologie ha, di conseguenza, innumerevoli campi applicativi, di cui il commercio di opere on-line (testi, musica, software, immagini, audiovisivi, banche di dati) rappresenta solo un esempio, certo tra i più interessanti e, di sicuro, una delle sfide più avvincenti e dibattute, considerata l'influenza che l'implementazione di tali sistemi ha sui comportamenti quotidiani e sulle abitudini dei consumatori. Si ricordi a titolo esemplificativo: la gestione di documenti aziendali (Enterprise Rights Management) e delle informazioni (Information Rights Management), di contenuti relativi ai dati sensibili (Privacy Rights Management) anche relativi ad applicazioni in campo sanitario e medico, all'impiego nella pubblica amministrazione, nell'E-government, nel settore dei beni culturali (biblioteche, musei, archivi), nelle società di gestione collettiva, campi applicativi che, in differente misura, stanno vedendo il loro crescere e sono accennati anche nella Relazione informativa relativa al Digital Rights Management del Ministro per l'innovazione e le tecnologie.

Venendo alla applicazione dei sistemi di DRM alla distribuzione dei contenuti pare indiscutibile ed assodato in linea di principio, per come si è mostrata l'evoluzione tecnologica e giuridica negli ultimi 10 anni (si vedano a tal proposito anche le iniziative promosse dalla Commissione europea), che l'utilizzo di tali sistemi sia necessario per la creazione di un mercato telematico che sia rispettoso dei diritti dei creativi e dell'industria culturale. L'alternativa appare, nel caso estremo, una radicale revisione della disciplina del diritto d'autore, oppure, opzione quanto mai attuale ed interessante, che i titolari dei diritti si affidino a licenze di utilizzo (Creative Commons, Open, ecc.) attraverso le quali disporre liberamente e singolarmente della diffusione delle proprie opere, opzione che di certo non si può imporre forzatamente alla collettività.

È infatti noto come la possibilità di far circolare le opere dell'ingegno in forma digitale, anche e soprattutto attraverso reti telematiche, abbia posto infatti in forte crisi il settore dell'industria culturale: le attuali tecnologie consentono di fatto, con estrema facilità e a costi irrisori, di effettuare copie non autorizzate di opere protette e di distribuirle via rete telematica. Tale possibilità è alla portata non solo dei pirati professionisti, ma anche del consumatore medio più inesperto, e riguarda principalmente una pirateria più altruistica che organizzata, forma di pirateria che con la diffusione di file in Internet, rete di scala mondiale, trasforma anche gli usi privati non personali in un danno esponenziale di vasta scala.

Una risposta puramente giuridica a tali problematiche si è rivelata, al momento attuale e nonostante i numerosi ed incisivi adeguamenti normativi sovranazionali e nazionali, largamente insufficiente. La disciplina tradizionale del diritto d'autore ha più volte dimostrato di non essere in grado di arginare efficacemente lo stato di diffusa illegalità venutosi a creare, né di controllare la vita e l'utilizzo delle opere dell'ingegno in circolazione rappresentate in forma digitale (c.d. opere digitali), soprattutto attraverso reti telematiche.
Inoltre, il successo dei sempre più diffusi sistemi di peer-to-peer, che permettono lo scambio di qualsiasi materiale digitale tra singoli utenti senza l'ausilio di alcun intermediario, ha aumentato la difficoltà di individuare in rete i soggetti responsabili delle violazioni, ed i limiti territoriali di efficacia delle normative nazionali, le controverse norme procedurali e la precedenza accordata ad altri illeciti ben più gravi nelle politiche di enforcement, hanno impedito un'adeguata repressione degli illeciti perpetuati a danno dei titolari delle privative sulle opere.

A questo si aggiunga l'evidente difficoltà ad intervenire sull'argomento dimostrata dal legislatore, in particolare nostrano, la quale ha spesso evidenziato una lacunosa impreparazione informatico-giuridica.
Infine, vi è una seria difficoltà a diffondere una cultura di rispetto del diritto d'autore nel nostro Paese, questione che sia talune riviste di informatica, che offrono alla luce del sole le soluzioni ai problemi della protezione dei contenuti, sia alcune iniziative istituzionali di sensibilizzazione dell'utenza, dal taglio poliziesco e terroristico ed allo stesso tempo affatto esplicativo, non contribuiscono a risolvere.
Tra l'altro le tecnologie attualmente disponibili permettono non solo di creare copie di una qualità del tutto identica all'originale, ma altresì di manipolare i contenuti dell'opera protetta: sono quindi possibili una vasta serie di violazioni della normativa sul diritto morale d'autore, che non solo non vengono tutelate, ma neanche rilevate, aspetto questo, spesso ignorato. Al riguardo, de iure condito, si pone la necessità di precisare quali siano i nuovi confini del diritto morale.

Destino diverso stanno avendo le soluzioni basate sul DRE. È possibile notare il ruolo duplice giocato dalla tecnologia che, da un lato, crea gli strumenti per aggirare la tutela giuridica apprestata ora nell'uno ora nell'altro settore, ma che, dall'altro, può divenire essa stessa efficace strumento di protezione degli interessi coinvolti.
"The answer to the machine is in the machine", sosteneva Charles Clark, consigliere generale dell'International Publishers Copyright Council, mentre il Considerando n. 47 della direttiva 2001/29/CE preannunciava: "Lo sviluppo tecnologico consentirà ai titolari dei diritti di far ricorso a misure tecnologiche per impedire o limitare atti non autorizzati dal titolare del diritto d'autore, dei diritti connessi o del diritto sui generis sulle banche dati".

La tecnologia, invero, consente di impedire i comportamenti lesivi del diritto d'autore e la fruizione illegale del contenuto digitale con un'azione decisamente più efficace di quanto qualsiasi deterrente sanzionatorio predisposto dall'ordinamento possa fare. Gli strumenti giuridici consentono di definire diritti ed individuare comportamenti illeciti e responsabilità, ma questo non sembra sufficiente perché, nell'era di Internet, la repressione (ed il law enforcement) di micro-violazioni effettuate da un'utenza frammentata quale quella privata non è possibile.
L'effetto dissuasivo apportato dalle discipline sanzionatorie non si è rivelato efficace come lo è stato, ad esempio, nella tutela del software: la maggior parte dei clienti di software, infatti, sono imprese e enti istituzionali che rispondono, con gravi conseguenze, del loro comportamento illegale e sono soggette a severi controlli da parte della Guardia di finanza.

La duplicazione e la diffusione non autorizzata di un brano musicale attraverso Internet, per esempio, rientra, invece, in quel tipo di illegalità di massa molto difficile da reprimere; anche colpendo qualche soggetto ed infliggendogli sanzioni esemplari, non si risolve il problema dell'industria culturale, né questo può essere di deterrente visto il carattere altruistico di tale forma di pirateria, e la mancanza di consapevolezza della violazione, o della sua rilevanza, da parte dell'utenza.

Non si dimentichi infine che nessuna tecnologia digitale di protezione, poiché basata sulla risoluzione di un problema matematico, è sicura al 100% (si veda per esempio, l'esito delle protezioni per ITunes): lo scopo delle misure tecnologiche in questione è difatti quello di impedire che il regime giuridico designato dagli atti sopranazionali e nazionali a protezione dei titolari dei diritti d'autore e connessi, sia vanificato e reso completamente inefficace da popolari raggiri tecnologici, ovvero di impedire che il consumatore medio si trasformi in un "pirata".

Vero è che le tecnologie di DRM pongono contemporaneamente delicate questioni giuridiche: le modalità con cui gli strumenti tecnologici proteggono e gestiscono i diritti sulle opere dell'ingegno, infatti, possono entrare in conflitto con la normativa posta a tutela dei diritti concorrenti in capo agli stessi fruitori delle opere protette, sia in ordine alle attività negoziali che al trattamento dei dati personali.
Tuttavia da un punto di vista giuridico la soluzione a tali problematiche non è così limpida e va certamente approfondita.
Appare invece chiaro che il nodo del problema, prima ancora che giuridico, risieda nell'accettazione da parte del consumatore di tali tecnologie, ovvero di limitazioni al proprio di diritto disporre dei beni legittimamente acquisiti, limitazioni che possono radicalmente condizionare le proprie abitudini.

Il problema si sposta quindi alla prospettiva economica, o meglio ad un problema di posizionamento da parte delle imprese, di scelta di modelli di business flessibili che appaghino le aspettative dei consumatori e siano convenienti per entrambi i soggetti in questione. Su questo tema è possibile introdurre alcuni spunti.
I modelli di subscription per la distribuzione di file musicali on-line negli USA cominciano a riscuotere sempre maggior gradimento, poiché garantiscono maggiore libertà al consumatore. Allo stesso tempo, sembra che nel prossimo futuro, grazie ai sistemi di DRM, l'industria del contenuto darà maggior risalto alla differenziazione di prezzi/licenze, ovvero che il consumatore pagherà un contenuto in proporzione agli utilizzi di esso consentiti: tale scelta sembra guardata con particolare favore, secondo alcune recenti indagini di mercato, dai consumatori nordamericani.

A chi sostiene che l'illegalità telematica sia il frutto di politiche di prezzo sfavorevoli per il consumatore, si faccia notare, d'altra parte, che nelle reti telematiche l'alternativa all'esborso, di qualunque entità esso sia, è sempre l'ottenimento dello stesso contenuto gratuitamente (e questo, nella maggior parte dei casi, significa illecitamente): la politica di prezzo nei negozi virtuali attuali pare, d'altro canto, quanto meno abbordabile.
Se tale esperienza di maggiore personalizzazione appare appetibile, d'altra parte è necessario curare opportunamente l'informazione al consumatore relativa agli usi consentiti, onde evitare che un'opportunità di tutela efficace per i titolari, nonché di personalizzazione e di maggior scelta della fruizione per il consumatore, si trasformi in un disagio per quest'ultimo o che vi siano incertezze sulla legalità dell'uso effettuato, anche futuro.

Molte sono le iniziative a vario livello di operatori della tecnologia volte ad assicurare un linguaggio standard che renda possibile al consumatore la fruizione del contenuto con differenti devices, basate tra l'altro su standard open, per garantire quella trasparenza necessaria all'affermazione di questi sistemi nel mercato, iniziative che prevedono, nella descrizione dei diritti sul contenuto, la scadenza della licenza di questo e descrivono gli usi consentiti (si vedano in proposito le proposte del Digital Media Project e dell' MPEG-21).
I consumatori infatti hanno diritto di sapere come i sistemi DRM funzionano, devono potere leggere e comprendere la licenza di utilizzo prima dell'acquisto del contenuto e ciò richiede certamente che questa sia human readable ed il più possibile standard.

Ovvero è necessario che tali sistemi debbano essere semplici da usare, compatibili con la maggior parte dei software/hardware, in modo che il consumatore abbia facile confidenza con questi e provi fiducia nei servizi offerti, anche per ciò che riguarda il monitoraggio dell'utilizzo dei contenuti e la conseguente tutela alla riservatezza, la quale potrebbe, ad esempio, essere garantita da accessi anonimi.

L'utilizzo di reti P2P e soprattutto della telefonia mobile per la diffusione di contenuti multimediali (pensiamo all'invio di file musicali ad altri utenti attraverso il telefonino) condurrà a un mercato basato anche sulla "superdistribuzione", modello in cui qualunque soggetto si trasforma in un reseller: tale prospettiva necessita di tecnologie che siano in grado di attuare tale diffusione legalmente (notevole, da questo punto di vista, è l'iniziativa condotta dall'Open Mobile Alliance).
Non si escluda alle soluzioni possibili un chiarificatore rafforzamento normativo dei diritti del consumatore, in modo tale che questi non vengano surclassati dalle clausole contrattuali o dalle misure tecnologiche.

Certamente alcuni adeguamenti normativi e tecnologici richiederanno ancora qualche anno, ma non si vedono i motivi per cui l'industria dell'intrattenimento dovrebbe tirarsi letteralmente la zappa sui piedi.
Negli Usa le imprese leader del settore ITC che lavorano all'implementazione di sistemi DRM, convenute al primo Convegno sui DRM a New York un anno fa, si fanno pochi problemi riguardo alle questioni giuridiche, sostenendo che sarà il consumatore stesso a decidere il successo di tali sistemi. Già, è il mercato per gli americani, che alla fine dà il responso: la soluzione per chi fa business è nell'accattivare i clienti.

In conclusione, pare che sia su questo difficile posizionamento e sull'accettazione da parte dei consumatori dei sistemi di DRM che si giochi la diffusione di tali sistemi, relativamente alla distribuzione dei contenuti, ed il problema della salvaguardia dei diritti dei titolari di diritto d'autore, fermo restando che, come abbiamo visto, la questione è talmente complessa che pare impossibile affrontarla trascurando uno dei tre aspetti sopra citati (giuridico, tecnologico, economico) senza cadere nell'ipotesi di ripensare interamente la disciplina del diritto d'autore.
E a ben vedere, guardando le premesse, ci sono larghi margini per essere ottimisti.
 

* Dottorando di Ricerca in Informatica Giuridica e Diritto dell'informatica, XIX Ciclo, Università di Bologna.
Collaboratore scientifico al Progetto MIUR 40% 2003 "La gestione e la negoziazione automatica dei diritti sulle opere dell'ingegno digitali: aspetti giuridici e informatici".

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