Ormai è da diverso tempo che anche nel nostro Paese si è
acceso, contemporaneamente alle prime dimostrazioni di forza della tecnologia,
un vivace dibattito sull'utilizzo dei sistemi di Digital Rights Management
(DRM), con particolare riferimento alla distribuzione attraverso reti
telematiche di contenuti digitali tutelati dal diritto d'autore.
Di DRM se ne parla, è vero, talvolta anche con toni critici e con prese di
posizione forti, ma l'impressione è che sfugga ai più l'interezza di tale
materia, la quale interessa congiuntamente ed indissolubilmente prospettive
giuridiche, tecnologiche ed economiche, in un processo che ha come obiettivo
principale, ma non unico, la gestione e la protezione della proprietà
intellettuale e dei contenuti digitali distribuiti on-line.
E' certamente difficile dare una comune e diffusa
definizione di tali sistemi proprio per la novità di questa "materia" ed il
suo continuo evolversi, pertanto procederemo avvicinandoci all'argomento per
piccoli passi.
Seguendo l'evoluzione tecnologica avvenuta finora, è
possibile distinguere tre generazioni di sistemi di DRM: la prima generazione di
DRM, visualizzava semplici dati del titolare dei diritti (ad es. autore e nome
dell'opera) in metadata oppure riproduceva accordi di utilizzo del contenuto
in licenze allegate (ad es. licenze software); in una seconda generazione si è
aggiunto a queste caratteristiche funzionalità relative alla protezione, all'identificazione
e all'accesso dei contenuti, nonché funzioni di Content Management
(CM). I sistemi di DRM di terza generazione sono invece in grado non solo di
identificare e proteggere un'opera, ma anche di gestire i rapporti tra tutti i
soggetti coinvolti nell'amministrazione di questa e dei diritti ad essa
relativi, separatamente dalla forma in cui essa viene distribuita e
potenzialmente ridistribuita come una qualsiasi altra opera nel mondo fisico.
I sistemi di DRM vengono talvolta confusi con i c.d. sistemi
di Content Management (CM), ossia quei sistemi utilizzati per la
distribuzione dei contenuti on-line attraverso metadata, informazioni sui dati
che descrivono come, quando e da chi un determinato insieme di informazioni è
stato preparato, consentendo ad esempio l'individuazione del formato di
distribuzione e della sua versione, le condizioni di accesso al contenuto per l'utente
e così via. I sistemi di gestione del contenuto sono strettamente connessi ai
sistemi che gestiscono i diritti di proprietà intellettuale sulle opere dell'ingegno,
ma rappresentano materia a parte, essendo questi assoggettati alle regole
commerciali più che alle regole descritte nei diritti stessi.
Spesso si fa corrispondere l'utilizzo di DRM con il Digital
Rights Enforcement (DRE), ossia quel processo che permette la protezione e l'identificazione
del contenuto e assicura che questo venga utilizzato esclusivamente in termini e
in condizioni precedentemente previste. È parte di questo processo l'utilizzo
di misure tecnologiche efficaci - quali la crittografia, il watermarking
(la marcatura digitale), il fingerprinting - riconosciute e tutelate dai
trattati WIPO fin dal 1996, in quanto necessarie alla creazione di un mercato
telematico per la distribuzione di contenuti.
Il DRM tuttavia costituisce una macrocategoria ben più
vasta: ne fa parte, e ne costituisce il nocciolo, anche il Digital Property
Management (DPM) ovvero la gestione dei diritti di proprietà intellettuale
relativi ad un contenuto. Esso comprende ogni genere di accordo concernente la
cessione dei diritti da parte del titolare dell'esclusiva, l'offerta a
consumatori che includa termini e condizioni di utilizzo, la creazione di
accordi o di licenze di utilizzo, l'interazione con i sistemi di CM per la
più appropriata fornitura del contenuto secondo quanto stabilito nella licenza,
l'interfaccia tra le parti ed i sistemi di riconoscimento dell'identità
congiuntamente a infrastrutture di commercio elettronico, il monitoraggio dell'attività
di licenza e il raccoglimento dei compensi ad essa relativi. Pertanto i sistemi
di DRM si prestano ad essere utilizzati anche per implementare innovative forme
di gestione (sia collettiva, che individuale) dei diritti degli autori e dei
titolari di diritti connessi.
Nella concezione più moderna quindi, i DRM sono sistemi per
l'amministrazione digitale dei diritti, che non si limitano a presidiare solo
gli aspetti di sicurezza rispetto ad accessi o duplicazioni illegali, ma
sovrintendono descrizione, identificazione, commercio, protezione, controllo e
tracciatura di tutte le forme di cessione del diritto all'uso di uno specifico
contenuto digitale protetto dai diritti di proprietà intellettuale: di
conseguenza come è stato ben evidenziato (nei workshop del W3C del 2001), la
materia del DRM si occupa della "gestione in forma digitale di tutti i diritti"
e non solo della "gestione dei diritti di opere digitali".
Questo tipo di tecnologie ha, di conseguenza, innumerevoli
campi applicativi, di cui il commercio di opere on-line (testi, musica,
software, immagini, audiovisivi, banche di dati) rappresenta solo un esempio,
certo tra i più interessanti e, di sicuro, una delle sfide più avvincenti e
dibattute, considerata l'influenza che l'implementazione di tali sistemi ha
sui comportamenti quotidiani e sulle abitudini dei consumatori. Si ricordi a
titolo esemplificativo: la gestione di documenti aziendali (Enterprise Rights
Management) e delle informazioni (Information Rights Management), di
contenuti relativi ai dati sensibili (Privacy Rights Management) anche
relativi ad applicazioni in campo sanitario e medico, all'impiego nella
pubblica amministrazione, nell'E-government, nel settore dei beni culturali
(biblioteche, musei, archivi), nelle società di gestione collettiva, campi
applicativi che, in differente misura, stanno vedendo il loro crescere e sono
accennati anche nella Relazione informativa relativa al Digital Rights
Management del Ministro per l'innovazione e le tecnologie.
Venendo alla applicazione dei sistemi di DRM alla
distribuzione dei contenuti pare indiscutibile ed assodato in linea di
principio, per come si è mostrata l'evoluzione tecnologica e giuridica negli
ultimi 10 anni (si vedano a tal proposito anche le iniziative promosse dalla
Commissione europea), che l'utilizzo di tali sistemi sia necessario per la
creazione di un mercato telematico che sia rispettoso dei diritti dei creativi e
dell'industria culturale. L'alternativa appare, nel caso estremo, una
radicale revisione della disciplina del diritto d'autore, oppure, opzione
quanto mai attuale ed interessante, che i titolari dei diritti si affidino a
licenze di utilizzo (Creative Commons, Open, ecc.) attraverso le
quali disporre liberamente e singolarmente della diffusione delle proprie opere,
opzione che di certo non si può imporre forzatamente alla collettività.
È infatti noto come la possibilità di far circolare le
opere dell'ingegno in forma digitale, anche e soprattutto attraverso reti
telematiche, abbia posto infatti in forte crisi il settore dell'industria
culturale: le attuali tecnologie consentono di fatto, con estrema facilità e a
costi irrisori, di effettuare copie non autorizzate di opere protette e di
distribuirle via rete telematica. Tale possibilità è alla portata non solo dei
pirati professionisti, ma anche del consumatore medio più inesperto, e riguarda
principalmente una pirateria più altruistica che organizzata, forma di
pirateria che con la diffusione di file in Internet, rete di scala mondiale,
trasforma anche gli usi privati non personali in un danno esponenziale di vasta
scala.
Una risposta puramente giuridica a tali problematiche si è
rivelata, al momento attuale e nonostante i numerosi ed incisivi adeguamenti
normativi sovranazionali e nazionali, largamente insufficiente. La disciplina
tradizionale del diritto d'autore ha più volte dimostrato di non essere in
grado di arginare efficacemente lo stato di diffusa illegalità venutosi a
creare, né di controllare la vita e l'utilizzo delle opere dell'ingegno in
circolazione rappresentate in forma digitale (c.d. opere digitali), soprattutto
attraverso reti telematiche.
Inoltre, il successo dei sempre più diffusi sistemi di peer-to-peer, che
permettono lo scambio di qualsiasi materiale digitale tra singoli utenti senza l'ausilio
di alcun intermediario, ha aumentato la difficoltà di individuare in rete i
soggetti responsabili delle violazioni, ed i limiti territoriali di efficacia
delle normative nazionali, le controverse norme procedurali e la precedenza
accordata ad altri illeciti ben più gravi nelle politiche di enforcement,
hanno impedito un'adeguata repressione degli illeciti perpetuati a danno dei
titolari delle privative sulle opere.
A questo si aggiunga l'evidente difficoltà ad intervenire
sull'argomento dimostrata dal legislatore, in particolare nostrano, la quale
ha spesso evidenziato una lacunosa impreparazione informatico-giuridica.
Infine, vi è una seria difficoltà a diffondere una cultura di rispetto del
diritto d'autore nel nostro Paese, questione che sia talune riviste di
informatica, che offrono alla luce del sole le soluzioni ai problemi della
protezione dei contenuti, sia alcune iniziative istituzionali di
sensibilizzazione dell'utenza, dal taglio poliziesco e terroristico ed allo
stesso tempo affatto esplicativo, non contribuiscono a risolvere.
Tra l'altro le tecnologie attualmente disponibili permettono non solo di
creare copie di una qualità del tutto identica all'originale, ma altresì di
manipolare i contenuti dell'opera protetta: sono quindi possibili una vasta
serie di violazioni della normativa sul diritto morale d'autore, che non solo
non vengono tutelate, ma neanche rilevate, aspetto questo, spesso ignorato. Al
riguardo, de iure condito, si pone la necessità di precisare quali siano
i nuovi confini del diritto morale.
Destino diverso stanno avendo le soluzioni basate sul DRE. È
possibile notare il ruolo duplice giocato dalla tecnologia che, da un lato, crea
gli strumenti per aggirare la tutela giuridica apprestata ora nell'uno ora
nell'altro settore, ma che, dall'altro, può divenire essa stessa efficace
strumento di protezione degli interessi coinvolti.
"The answer to the machine is in the machine", sosteneva Charles
Clark, consigliere generale dell'International Publishers Copyright Council,
mentre il Considerando n. 47 della direttiva 2001/29/CE preannunciava: "Lo
sviluppo tecnologico consentirà ai titolari dei diritti di far ricorso a misure
tecnologiche per impedire o limitare atti non autorizzati dal titolare del
diritto d'autore, dei diritti connessi o del diritto sui generis sulle
banche dati".
La tecnologia, invero, consente di impedire i comportamenti
lesivi del diritto d'autore e la fruizione illegale del contenuto digitale con
un'azione decisamente più efficace di quanto qualsiasi deterrente
sanzionatorio predisposto dall'ordinamento possa fare. Gli strumenti giuridici
consentono di definire diritti ed individuare comportamenti illeciti e
responsabilità, ma questo non sembra sufficiente perché, nell'era di
Internet, la repressione (ed il law enforcement) di micro-violazioni
effettuate da un'utenza frammentata quale quella privata non è possibile.
L'effetto dissuasivo apportato dalle discipline sanzionatorie non si è
rivelato efficace come lo è stato, ad esempio, nella tutela del software: la
maggior parte dei clienti di software, infatti, sono imprese e enti
istituzionali che rispondono, con gravi conseguenze, del loro comportamento
illegale e sono soggette a severi controlli da parte della Guardia di finanza.
La duplicazione e la diffusione non autorizzata di un brano
musicale attraverso Internet, per esempio, rientra, invece, in quel tipo di
illegalità di massa molto difficile da reprimere; anche colpendo qualche
soggetto ed infliggendogli sanzioni esemplari, non si risolve il problema dell'industria
culturale, né questo può essere di deterrente visto il carattere altruistico
di tale forma di pirateria, e la mancanza di consapevolezza della violazione, o
della sua rilevanza, da parte dell'utenza.
Non si dimentichi infine che nessuna tecnologia digitale di
protezione, poiché basata sulla risoluzione di un problema matematico, è
sicura al 100% (si veda per esempio, l'esito delle protezioni per ITunes): lo
scopo delle misure tecnologiche in questione è difatti quello di impedire che
il regime giuridico designato dagli atti sopranazionali e nazionali a protezione
dei titolari dei diritti d'autore e connessi, sia vanificato e reso
completamente inefficace da popolari raggiri tecnologici, ovvero di impedire che
il consumatore medio si trasformi in un "pirata".
Vero è che le tecnologie di DRM pongono contemporaneamente
delicate questioni giuridiche: le modalità con cui gli strumenti tecnologici
proteggono e gestiscono i diritti sulle opere dell'ingegno, infatti, possono
entrare in conflitto con la normativa posta a tutela dei diritti concorrenti in
capo agli stessi fruitori delle opere protette, sia in ordine alle attività
negoziali che al trattamento dei dati personali.
Tuttavia da un punto di vista giuridico la soluzione a tali problematiche non è
così limpida e va certamente approfondita.
Appare invece chiaro che il nodo del problema, prima ancora che giuridico,
risieda nell'accettazione da parte del consumatore di tali tecnologie, ovvero
di limitazioni al proprio di diritto disporre dei beni legittimamente acquisiti,
limitazioni che possono radicalmente condizionare le proprie abitudini.
Il problema si sposta quindi alla prospettiva economica, o
meglio ad un problema di posizionamento da parte delle imprese, di scelta di
modelli di business flessibili che appaghino le aspettative dei consumatori e
siano convenienti per entrambi i soggetti in questione. Su questo tema è
possibile introdurre alcuni spunti.
I modelli di subscription per la distribuzione di file musicali on-line
negli USA cominciano a riscuotere sempre maggior gradimento, poiché
garantiscono maggiore libertà al consumatore. Allo stesso tempo, sembra che nel
prossimo futuro, grazie ai sistemi di DRM, l'industria del contenuto darà
maggior risalto alla differenziazione di prezzi/licenze, ovvero che il
consumatore pagherà un contenuto in proporzione agli utilizzi di esso
consentiti: tale scelta sembra guardata con particolare favore, secondo alcune
recenti indagini di mercato, dai consumatori nordamericani.
A chi sostiene che l'illegalità telematica sia il frutto di politiche di
prezzo sfavorevoli per il consumatore, si faccia notare, d'altra parte, che
nelle reti telematiche l'alternativa all'esborso, di qualunque entità esso
sia, è sempre l'ottenimento dello stesso contenuto gratuitamente (e questo,
nella maggior parte dei casi, significa illecitamente): la politica di prezzo
nei negozi virtuali attuali pare, d'altro canto, quanto meno abbordabile.
Se tale esperienza di maggiore personalizzazione appare appetibile, d'altra
parte è necessario curare opportunamente l'informazione al consumatore
relativa agli usi consentiti, onde evitare che un'opportunità di tutela
efficace per i titolari, nonché di personalizzazione e di maggior scelta della
fruizione per il consumatore, si trasformi in un disagio per quest'ultimo o
che vi siano incertezze sulla legalità dell'uso effettuato, anche futuro.
Molte sono le iniziative a vario livello di operatori della tecnologia volte ad
assicurare un linguaggio standard che renda possibile al consumatore la
fruizione del contenuto con differenti devices, basate tra l'altro su
standard open, per garantire quella trasparenza necessaria all'affermazione di
questi sistemi nel mercato, iniziative che prevedono, nella descrizione dei
diritti sul contenuto, la scadenza della licenza di questo e descrivono gli usi
consentiti (si vedano in proposito le proposte del Digital Media Project
e dell' MPEG-21).
I consumatori infatti hanno diritto di sapere come i sistemi DRM funzionano,
devono potere leggere e comprendere la licenza di utilizzo prima dell'acquisto
del contenuto e ciò richiede certamente che questa sia human readable ed
il più possibile standard.
Ovvero è necessario che tali sistemi debbano essere semplici
da usare, compatibili con la maggior parte dei software/hardware, in modo che il
consumatore abbia facile confidenza con questi e provi fiducia nei servizi
offerti, anche per ciò che riguarda il monitoraggio dell'utilizzo dei
contenuti e la conseguente tutela alla riservatezza, la quale potrebbe, ad
esempio, essere garantita da accessi anonimi.
L'utilizzo di reti P2P e soprattutto della telefonia mobile
per la diffusione di contenuti multimediali (pensiamo all'invio di file
musicali ad altri utenti attraverso il telefonino) condurrà a un mercato basato
anche sulla "superdistribuzione", modello in cui qualunque soggetto si
trasforma in un reseller: tale prospettiva necessita di tecnologie che
siano in grado di attuare tale diffusione legalmente (notevole, da questo punto
di vista, è l'iniziativa condotta dall'Open Mobile Alliance).
Non si escluda alle soluzioni possibili un chiarificatore rafforzamento
normativo dei diritti del consumatore, in modo tale che questi non vengano
surclassati dalle clausole contrattuali o dalle misure tecnologiche.
Certamente alcuni adeguamenti normativi e tecnologici
richiederanno ancora qualche anno, ma non si vedono i motivi per cui l'industria
dell'intrattenimento dovrebbe tirarsi letteralmente la zappa sui piedi.
Negli Usa le imprese leader del settore ITC che lavorano all'implementazione
di sistemi DRM, convenute al primo Convegno sui DRM a New York un anno fa, si
fanno pochi problemi riguardo alle questioni giuridiche, sostenendo che sarà il
consumatore stesso a decidere il successo di tali sistemi. Già, è il mercato
per gli americani, che alla fine dà il responso: la soluzione per chi fa
business è nell'accattivare i clienti.
In conclusione, pare che sia su questo difficile
posizionamento e sull'accettazione da parte dei consumatori dei sistemi di DRM
che si giochi la diffusione di tali sistemi, relativamente alla distribuzione
dei contenuti, ed il problema della salvaguardia dei diritti dei titolari di
diritto d'autore, fermo restando che, come abbiamo visto, la questione è
talmente complessa che pare impossibile affrontarla trascurando uno dei tre
aspetti sopra citati (giuridico, tecnologico, economico) senza cadere nell'ipotesi
di ripensare interamente la disciplina del diritto d'autore.
E a ben vedere, guardando le premesse, ci sono larghi margini per essere
ottimisti.
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