L'attuale tendenza dell'Autorità Giudiziaria è quella di
contestare insieme alla violazione delle norme su diritto d'autore anche il
reato di ricettazione per chi acquisisce programmi protetti da copyright
duplicati abusivamente. Tale scelta è forse discutibile, per una serie di
motivi che espongo sinteticamente.
Come è noto l'art.171 bis l.633/41 punisce: "Chiunque
abusivamente duplica a fini di lucro, programmi per elaboratore, o, ai medesimi
fini e sapendo o avendo motivo di sapere che si tratta di copie non autorizzate,
importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale, o concede in
locazione i medesimi programmi...". Con tale norma, inserita nel previgente
corpus normativo a seguito dell'emanazione della Direttiva CEE 250/91, viene
definitivamente risolto il problema della qualificazione giuridica del software.
Secondo indirizzi oramai consolidati negli Stati Uniti e nelle pronunce degli
altri Paesi Europei esso viene assimilato alle opere d'ingegno e - in
particolare - a quelle letterarie.
Coerentemente quindi l'oggetto della norma è stato individuato - sic et
simpliciter - nel programma per elaboratore, in qualsiasi forma espresso
svalutando in conseguenza la rilevanza dei supporti che lo veicolano.
Il riflesso concreto di questa scelta, peraltro anticipata da
una prassi contrattuale generalizzata, sta nel fatto che ad essere trasferita -
e quindi TUTELATA - non è la titolarità del programma ma solo la licenza di
utilizzarlo. Si capisce dunque perchè il legislatore ha concepito una norma
come l'art.171 bis l.633/41 che solo apparentemente sembrerebbe essere un
duplicato inutile del reato di ricettazione ex art.648 c. p.
In entrambi c'è la provenienza illecita dell'oggetto del reato (denaro o cose
nella ricettazione; progammi nell'art.171 bis l.633/41); ma già sotto il
profilo della tipicità emergono le prime differenze.
Se l'"acquistare", "ricevere" e "occultare"
dell'art. 648 c.p. possono essere condotte in qualche modo contigue al
"duplicare", "importare", "distribuire",
"vendere" e "detenere" indicate dall'art.171 bis l.633/41
ben diverso è l'oggetto del reato. Nel caso della ricettazione infatti il
comportamento illecito dell'agente deve attingere "...denaro o cose
provenienti da qualsiasi delitto..." mentre è di tutta evidenza che un
programma informatico non può essere in alcun modo considerato denaro nè
tantomeno res.
Nè vale obiettare l'esistenza di un legame fra programma e supporto fisico,
estendendo, così, analogicamente il ragionamento di quella giurisprudenza che
ha riconosciuto la configurabilità della ricettazione di beni immateriali
quando riferibili ad una "cosa". Tali esempi, infatti, riguardano il
caso di diritti di credito che, "incorporati" in un documento
rappresentativo o dichiarativo della loro esistenza, diventano da questi
indivisibili: e.g. l'assegno.
La copia del software dà, invece, origine ad una situazione totalmente diversa.
L'abusività della riproduzione stà infatti nel creare una situazione di fatto
che consente a terzi l'utilizzo abusivo di un'opera d'ingegno; cioè nel ledere
il diritto d'autore senza che il titolare dello stesso ne abbia il corrispettivo
economico. Tale situazione sembra essere del tutto incompatibile con la
previsione dell'art. 648 c.p..
Ecco spiegata l'apparente inutilità dell'art.171bis l.633/41:
esso ha la funzione di punire quei fatti che, aventi ad oggetto il diritto di
utilizzo del software, non possiedono i requisiti per configurare la
ricettazione.
(31.05.95)