Non nego che avrei preferito parlare dell'accesso ai dati
raccolti "mediante strumenti informatici" (art. 3 - L. 241/90), ma a
cinque anni dall'entrata in vigore della Legge 241/90, seguita dal regolamento
di attuazione sull'esercizio del diritto di accesso - D.P.R. 352/92 - è forse
più opportuno, per gli evidenti motivi di ritardo dell'informatizzazione degli
uffici pubblici, cominciare a parlare delle novità introdotte dalla citata
legislazione e dalla giurisprudenza note indubbiamente, solo a coloro che hanno
avuto contatti con la Pubblica Amministrazione o in qualche modo hanno seguito
le recenti riforme nel settore pubblico. Ma a favore di una più ampia fascia di
utenza, è doveroso porre in particolare risalto il contenuto della L. 241/90 e
le modalità che permettono ai cittadini di esercitare il proprio diritto di
accesso ai documenti.
Il problema della trasparenza, come provano le numerose sentenze pronunciate dai
giudici amministrativi fin dal 1991 in materia di diritto di accesso, mettono in
evidenza problematiche riguardanti ambedue i soggetti di questo rapporto
dimostrando che, da un lato, la Pubblica Amministrazione non è in grado di
offrire un servizio efficiente per l'accesso ai documenti e dall'altro, che il
cittadino non è preparato a chiedere utilizzando la "password" -
estremi precisi e dettagliati della norma - lasciando così spazio a inutili
formalismi e rinvii burocratici.
E' vero che non bisogna prevaricare la norma considerando l'accesso come una
minaccia per la Pubblica Amministrazione, ma va anche detto che per sradicare un
sistema che non ha mai garantito la trasparenza a tutti i cittadini e poter
usufruire dei servizi garantiti dalla legge senza intermediari o presunti
favori, bisogna essere sufficientemente informati su ciò che è possibile
ottenere.
Entriamo subito nel pratico della nuova normativa.
Ai sensi dell'art. 2 della legge 241/90, tutte le Amministrazioni dovevano
emanare un regolamento per la "tempistica" di svolgimento e di
conclusione dei singoli procedimenti amministrativi. Ma cosa succedeva se tale
procedura non veniva attuata?
L'art. 3 della legge prevede che se le Amministrazioni non provvedevano a
disciplinare i singoli procedimenti, il termine è da considerarsi pari a 30
giorni.
Non vi sono dunque grosse difficoltà per il cittadino che deve individuare
l'iter e il termine di conclusione della sua pratica.
Ma quali sono i rimedi per l'inosservanza dei termini da parte
di un'Amministrazione? La "password" anche qui ci consente di entrare
nel vivo della problematica: la norma dispone che, in caso di inerzia dei
termini di conclusione di un procedimento, colui che vi abbia diretto interesse
può produrre un'istanza al dirigente generale dell'unità responsabile o al
ministro, qualora il provvedimento emanato fosse di competenza del dirigente
generale. La risposta deve essere inoltrata entro 30 giorni dall'istanza.
L'inosservanza di tale termine comporta un accertamento diretto ai fini
dell'applicazione delle sanzioni disciplinari previste dall'art. 20 e dall'art.
59 del Dlg. 29/93.
Le sanzioni vanno dal rimprovero verbale alla censura, alla
riduzione dello stipendio, alla sospensione dalla qualifica e alla destituzione.
In aggiunta sono applicabili, ai sensi dell'art. 328 del codice penale per
omissione di atti d'ufficio, le sanzioni penali che vanno dalla reclusione fino
ad un anno o la multa fino a L. 2.000.000. Ai fini dell'applicazione del
predetto articolo si consiglia la lettura delle circolari del Ministero della
Finanza Pubblica N. 58245/7464 e N. 58307/7463 rispettivamente del 4/12/90 e del
5/12/90.
Per l'accesso ai documenti amministrativi al capo V della L. 241/90 negli artt.
22-31, troviamo sostanziali novità:
Art. 22.1 Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e
di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia
interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di
accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla
presente legge.
2. E' considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto
di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque,
utilizzati ai fini dell'attività amministrativa.
3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le
Amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire
l'applicazione della disposizione di cui al comma 1, dandone comunicazione alla
Commissione di cui all'art. 27.
Si può subito notare da questa lettura che per esercitare il
diritto di accesso bisogna provare "l'interesse" per il documento.
La giurisprudenza amministrativa, inizialmente, non ha illustrato bene come
ottemperare a tale richiesta, anzi si è dimostra restrittiva in assenza di un
interesse giuridico rilevante, cioè di diritti soggettivi e interessi
legittimi. E neanche l'art. 2 del D.P.R. 352/92 estende l'esercizio a una fascia
piu' ampia di utenza se non supportata da "un interesse personale e
concreto".
L'Art. 23 elenca le Amministrazioni che devono predisporre i nuovi accessi:
"........amministrazioni dello Stato, ivi comprese le aziende autonome, gli
enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi.
Le modalità di esercizio e i casi di esclusione del diritto di accesso ai
documenti in attuazione dell'art. 24, comma 2 della L. 241/90, sono disciplinate
con il regolamento contenuto nel D.P.R. 27/6/92 N. 352. Da precisare che senza
tale decreto, tutte le premesse della suddetta legge a favore dei cittadini
potevano restare inerti verso la Pubblica Amministrazione. Appare importante
ricordare che nella vigente normativa è stata chiarita in maniera esauriente la
definizione di "documento" superando la terminologia equivoca del tipo
"provvedimento" o "atto".
Per dare chiarezza a questa innovazione, l'art. 24 prescrive che le
Amministrazioni pubbliche sono tenute, entro sei mesi dall'entrata in vigore del
D.P.R. 352/92 ad individuare, con regolamenti, le categorie di documenti
sottratti all'accesso e ad adottare ai sensi dell'art. 22 comma 3, tutte le
misure organizzative per garantire il diritto di accesso. Particolare non
trascurabile, i regolamenti devono contenere le tariffe per il rilascio delle
copie sia nell'accesso formale che in quello informale (es. il costo della
fotocopia del documento che può variare dalle 200 alle 1.000 lire).
L'art. 25 recita:
1. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei
documenti amministrativi, nei modi e con i limiti indicati dalla presente legge.
L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto
al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia
di bollo, nonchè i diritti di ricerca e di visura.
2. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata. Essa deve essere
rivolta all'Amministrazione che ha formato il documento che lo detiene
stabilmente.
3. Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso sono ammessi nei
casi e nei limiti stabiliti dall'art. 24 e debbono essere motivati.
4. Trascorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende
rifiutata.
5. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e
nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al
tribunale amministrativo regionale, il quale decide in Camera di consiglio entro
trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i
difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. La decisione del tribunale
è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di
Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini.
6. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso il giudice
amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei documenti
richiesti.
Al fine di poter commentare la citata norma, prendiamo in esame
la recente sentenza del TAR Sicilia, SEZ. II del 21/02/1995 N. 136.
Fatto: un dipendente del Ministero delle Finanze ricorre ai sensi dell'art. 25
L. 241/90 avverso il provvedimento di diniego della sua domanda di accesso agli
atti relativi al proprio rapporto d'impiego.
Diritto: il ricorrente aveva inizialmente formulato una domanda in termini
estremamente generici, chiedendo con istanza ad oggetto: "Richiesta ai
sensi della L. 241/90 di documentazione riservata" diretta alla Direzione
Regionale ed alla Sezione staccata della stessa "copia di tutta la
corrispondenza e di qualsiasi atto parimenti riservato, che abbia oggetto il
sottoscritto".
La Direzione Regionale aveva comunicato che la richiesta, "oltre ad essere
motivata" doveva contenere l'esatta indicazione degli estremi del documento
oggetto della richiesta che ne consentono l'individuazione.
Il dipendente con istanza successiva, premesso di non conoscere gli estremi di
identificazione degli atti richiesti, perchè riservati, indicava come
motivazione la "tutela della propria dignità personale e
professionale" e forniva generiche tematiche degli atti che lo
riguardavano.
La Direzione Regionale rigettava la domanda sia per l'insufficienza degli
elementi identificati degli atti richiesti e sia per il mancato interesse
connesso alla richiesta.
Questo provvedimento veniva impugnato dall'interessato.
La giurisprudenza sembra ormai consolidarsi con quanto espresso
nel D.P.R. 352/92 (art. 2/1) che subordina l'interesse, che legittima una
richiesta, alla motivazione "personale e concreta", quindi che esula
dalla mera curiosità, ma può non coincidere con una posizione di interesse
legittimo o di diritto soggettivo.
E' sufficiente che il richiedente sia titolare di una posizione giuridicamente
rilevante e che il suo interesse sia fondato sul tale posizione. (Cons. St., VI,
19 luglio 1994 n. 1243 e Sez. IV, 11 gennaio 1994, N. 21).
Nella fattispecie, il richiedente assumeva una posizione giuridicamente
rilevante nel momento in cui l'Amministrazione emetteva atti riguardanti il suo
rapporto di lavoro.
Il rigetto da parte dell'Amministrazione per mancanza di motivazione (art. 25/2)
era insussistente dal momento che il richiedente aveva ottemperato alle
prescrizioni dell'art. 22/1, dimostrando di avere interesse per la tutela di
situazioni giuridicamente rilevanti, mentre non era necessaria l'indicazione di
altre finalità come dimostra la decisione del Cons. St., VI, n. 1243/94 cit..
Altra lacuna della motivazione del diniego disposto dall'Amministrazione in
questione, cioè per mancanza di "elementi identificativi degli atti
richiesti", è dimostrata dalla mancanza assoluta di effettuazione delle
ricerche degli atti e quindi una carenza a monte del risultato che poteva pure
sfociare in un esito negativo.
Per tutto ciò il ricorso risulta fondato ed è stato accolto. L'Amministrazione
è stata intimata a fornire le copie degli atti richiesti.
E' sicuramente di buon auspicio per il futuro che le Amministrazioni possano
evitare perdite di tempo con sperpero di denaro (spese del giudizio) rendendo
accessibili ai suoi dipendenti gli atti che li riguardano.
Ma ai richiedenti va ricordato di nuovo l'importanza dell'uso
corretto della "password", e qui per gli informatici non servirebbero
ulteriori commenti, ma è il caso di dirlo a tutti, in gergo telematico, che
"un tasto sbagliato" o "uno spazio vuoto" può negare
l'accesso a un sistema informatico. Così accade se la richiesta di accesso ai
documenti nella Pubblica Amministrazione presenta una qualsiasi carenza supporto
normativo.
Entrando quindi nelle piu' concrete ipotesi di applicazione
della norma denominata "sulla trasparenza", bisogna riconoscere che la
Legge 241/90 non può considerarsi una vera e propria unica "password"
per l'accesso ai documenti o al procedimento, ma quasi oserei definirla in molti
casi, una "username", cioè un primo identificativo che ci permette di
accedere fino a un certo livello.
In molti altri casi è necessario conoscere dell'altro.
Ed è proprio sulla formulazione della richiesta - con estremi
precisi e dettagliati della norma - sia essa per l'accesso formale che per
quello informale, che dedicherò il mio prossimo intervento.
(23.10.95)
Antonio Cilli, informatico presso Centro di Calcolo
dell'Università degli Studi "G.D'Annunzio" di Chieti (sede di
Pescara), collabora per motivi di ricerca con varie discipline giuridiche presso
la Facoltà di Economia e Commercio.
E-mail: cilli@unich.it