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INTERVENTI - 8


Internet e giornali, notizie inattendibili
di Marco Cobianchi

Sarebbe consentito ad un commentatore politico scrivere su un giornale che Luciano Violante è presidente del Senato eletto nelle fila del Ccd? E a un cronista sportivo che Sacchi, originario della Calabria, è l'allenatore della nazionale Under 21 di pallavolo? Oppure a un giornalista economico che il patto di sindacato è un accordo tra Cgil Cisl e Uil? No, non sarebbe consentito. Eppure svarioni di questa entità compaiono a cadenza regolare sui giornali e sulle agenzie di stampa italiane quando si occupano di Internet con i suoi annessi e connessi. E senza che nessuno chieda, il giorno dopo, al giornalista di dedicare la sua professionalità a miglior causa.

Sembra che Internet sia una sorta di "zona franca" nella quale tutti i componenti di una redazione si sentono legittimati ad entrare, scrivere la prima cosa che si sentono di scrivere e poi uscire senza che nessuno gliene chieda conto. Nessuno perché nella maggior parte dei casi nelle redazioni dei giornali e delle agenzie di stampa chi è collegato a Internet è ancora un'esigua minoranza nella quale non è compresa la maggior parte di capiredattori e direttori (c'era Veltroni, ma ora si occupa d'altro). Così mentre più o meno tutti sanno che Luciano Violante non è presidente del Senato ma della Camera eletto nelle lista Pds e che Sacchi, nato a Fusignano, allena la Nazionale di calcio e che un patto di sindacato è un accordo tra gli azionisti di un'azienda, pochi, dentro i giornali, nelle Tv e le agenzie di stampa, sanno che il simbolo @ sta ad indicare un indirizzo di posta elettronica e non quello di un sito World Wide Web.
Quest'ultimo esempio non è campato per aria perché è uno dei due più diffusi errori che si riscontrano nei lanci delle agenzie di stampa quando annunciano che una società o un'associazione ha aperto un sito in Internet. L'altro, che non è propriamente un errore ma un'irritante omissione, consiste nell'annunciare le meraviglie delle risorse di un dato sito senza pubblicarne l'indirizzo.
Ma il massimo lo si raggiunge quando il giornalista di turno affronta, con indubitabile impegno e spirito di sacrificio, problemi più complessi legati ad aspetti culturali, politici e, addirittura, medici di Internet. L'inserto "Corriere Salute" del Corriere della Sera del 17 giugno ha affrontato proprio questo aspetto, ma lo ha fatto in un modo tale da rendere legittimo un ricorso all'Associazione dei consumatori per chiedere il rimborso del prezzo del giornale.
D'accordo tutto, ammettiamo la fretta, la carenza di notizie rispetto allo spazio assegnato, consideriamo che magari il giornalista non è un medico, ma l'affermazione in base alla quale l'uso intenso di Internet può provocare "movimenti involonatri delle dita come se stessero manovrando la tastiera del computer" va al di la del bene e del male. Una frase del genere meriterebbe di essere scolpita in lettere d'oro sulla porta d'ingresso di tutti i teatri di cabaret italiani come perenne esempio agli attori comici di che cosa significhi scrivere testi per commedie brillanti.

Si può fare dell'ironia, certo, ci si può scherzare sopra, naturalmente, ma sarebbe sbagliato prendere tali esempi solo come estemporanee esibizioni di incompetenza e pressapochismo perché da strafalcioni di questo genere scaturiscono poi bufale clamorose di portata molto più rilevante come quella del ragazzino siciliano che entra nel sistema informativo della Banca d'Italia. Era una balla che solo pochi giornali si sono presi la briga di rettificare.
Ora: provate ad immaginare che cosa succederebbe se un giornale nazionale insinuasse l'ipotesi che l'archivio elettronico di una banca, o della Borsa o del ministero della Difesa sono stati violati. Se la notizia non fosse vera (come non era vera quella della Banca d'Italia) la banca, come minimo, citerebbe per danni il giornale, gli scambi in Borsa subirebbero dei rallentamenti per le inevitabili verifiche tecniche e il ministero della Difesa si troverebbe in imbarazzo con i partner internazionali.

In qualche modo, insomma, l'incompetenza giornalistica ha già percorso metà della sua strada: dalle chioccioline messe lì a indicare una pagina WWW si è passati alle dita che si muovono da sole per finire al ragazzino siciliano che viola gli archivi di Bankitalia.
L'altra metà della lunga strada dell'incompetenza porta dritta dritta alla diffusione di notizie apparentemente innocue ma nella realtà pericolosissime. Come quella pubblicata da "Tribuna stampa", organo dell'ordine dei giornalisti di Roma, dove, per definire la rete, Luigi Vigevano scrive: "Sviluppo impetuoso, mancanza di leggi e pericolo perfino di essere uccisi (alcune cronache di pochi mesi addietro hanno purtroppo confermato anche questa ipotesi)". Già: alcune cronache di pochi mesi addietro hanno purtroppo confermato che l'uso del cervello può provocare improvvisi sussulti di buon senso. Ma non è questo il caso.
Il fatto più grave è che di fronte a tutto ciò il lettore medio, quello che non è tenuto a conoscere il significato della chiocciolina, è totalmente indifeso. Come fare a spiegare ad una mamma che le dita di suo figlio non corrono alcun pericolo? E come fare a convincere un papà, già perplesso sulla necessità di spendere 3-4 milioni per il computer del figlio, che Internet non è un bordello planetario? C'è mai stato qualcuno che ha quantificato il danno che le "cyberpornografiche" copertine dei settimanali italiani hanno causato alla diffusione di Internet nel nostro Paese? Questa sarebbe una bella ricerca.

Per quanto mi riguarda temo che ormai il danno sia stato fatto e che chi non è collegato ad Internet, e quindi non ha la possibilità di verificare di persona le notizie che i giornali pubblicano, si sia assuefatto all'idea che il sesso sia l'anima di Internet. Anzi, il suo oppio.
Proviamo, allora, a chiederci come evitare danni ulteriori. Una strada potrebbe essere quella di impegnare i giornalisti che si occupano di Internet a seguire alcune elementari norme di comportamento professionale. Così come l'associazione dei giornalisti sportivi non tollera che un proprio aderente scriva che Sacchi è l'allenatore della nazionale di pallavolo, così questa ancora ristretta comunità di giornalisti "informatici" non dovrebbe tollerare che un proprio aderente scriva che Internet è una Bbs. Certo, non esiste alcuna associazione "dei giornalisti che scrivono di Internet" e nemmeno se ne avverte la mancanza (a meno che non fosse in grado di strappare sconti sugli abbonamenti agli Internet provider come l'ordine dei giornalisti è in grado di fare con le Ferrovie dello Stato). Ciò che sarebbe utile credo che sia una sorta di "carta dei doveri" da far sottoscrivere a tutti coloro che nel panorama editoriale italiano si occupano, anche saltuariamente, di tematiche legate ad Internet.
Questa "carta" dovrebbe contenere alcune semplici norme. Provo ad elencarne alcune:
1) Mai scrivere di un sito senza indicarne l'indirizzo.
2) Mai dare per scontato che l'indirizzo del sito sia quello giusto solo perché trascritto da un altro giornale.
3) Indicare esattamente se si sta parlando di indirizzo di posta elettronica o di indirizzo di una pagina WWW.
4) Indicare se il sito del quale si sta parlando è di libero accesso o se occorre una password e se la password è gratuita o a pagamento.
5) Indicare, nei limiti del possibile, se un tale programma shareware residente in un computer di un Paese straniero è scaricabile anche dagli utenti italiani.
6) (la piu' importante) Disporre di un collegamento full Internet da almeno un anno.

Banalità, si dirà. Ma anche molte leggi vigenti in Italia sono piuttosto banali, pur non essendo mai state applicate. Se un cronista sottoscrivesse questa breve lista di grandi banalità (che può e deve essere integrata da altri suggerimenti) si sentirebbe, credo, maggiormente vincolato a rispettare anche i più elementari doveri giornalistici: controllare le notizie, tutte le notizie, prima di pubblicarle. Se poi anche questo non dovesse servire, allora non ci resta che rassegnarsi alle dita che si muovono da sole.
(06.07.96)


Marco Cobianchi, giornalista, redazione economia de L'avvenire


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