Il Caso:
Nello scorso mese di aprile in Romagna la Guardia di Finanza ha dato corso ad
un'operazione di controllo di numerose imprese operanti in ambito informatico
allo scopo di verificare il rispetto della normativa penale posta a tutela del
software.
In concreto la GdF ha eseguito accessi ai locali delle suddette imprese,
controllando i computer ed i supporti magnetici rinvenuti e procedendo quindi al
sequestro del materiale ritenuto sospetto di violazione.
Nel caso concreto qui riferito la GdF ha proceduto inoltre alla perquisizione
delle abitazioni dei due titolari della s.r.l. oggetto del controllo,
sequestrando un computer ed alcune decine di floppy disk. Questa la
giustificazione della perquisizione domiciliare addotta nel relativo verbale e
trascritta letteralmente: "I sottoscritti ufficiali di polizia giudiziaria
....procedono alla compilazione del presente atto per far risultare che, in base
a fondato sospetto (o notizia) di violazioni alle leggi finanziarie costituenti
reato in materia di pirateria informatica, a norma dell'art. 33 della legge
7/1/1929 n. 4 si sono recati presso l'abitazione di....". Questo invece il
testo introduttivo del verbale di sequestro: "I sottoscritti ufficiali di
polizia giudiziaria.... hanno proceduto alla perquisizione locale d'iniziativa
ai sensi dell'art. 33 della legge nr. 4/1929, avendo fondato motivo di ritenere
che presso i locali dell'anzidetta abitazione ci fossero occultati programmi
software pirata....".
Nel complesso la GdF sequestra circa 250 floppy ed un computer, provvedendo per
quest'ultimo a stampare su carta la lista delle directory.
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L'iter giudiziario.
Come loro dovere i militari della GdF trasmisero il verbale delle operazioni di
perquisizione e sequestro al PM presso la Pretura di Rimini per la prescritta
convalida, che intervenne oltre le 48 ore di legge.
Gli indagati proposero in termine ricorso per riesame al Tribunale della libertà
di Rimini osservando che:
a) la convalida tardiva era comunque motivo di inefficacia del sequestro che
comunque non preclude in astratto un successivo ed autonomo provvedimento di
sequestro da parte del PM stesso);
b) mancavano totalmente i presupposti per procedere a perquisizione e sequestro,
dal momento che la polizia giudiziaria aveva agito d'iniziativa senza basarsi su
di una notizia di reato preesistente, ma piuttosto per acquisire la notizia
stessa e non le relative prove;
c) l'ordinamento consente alla p.g. di procedere d'iniziativa solamente nelle
ipotesi di flagranza di reato o di evasione (art. 352 c.p.p.) e nella
fattispecie non ricorrevano gli estremi né dell'una né dell'altra;
d) del tutto fuori luogo era il richiamo all'art. 33 della legge nr. 4 del 1929
che consente perquisizioni domiciliari d'iniziativa solamente per le violazioni
costituenti reato a leggi finanziarie relative ai tributi doganali, la privativa
dei sali e tabacchi, le imposte di fabbricazione sugli spiriti, zuccheri e
polveri piriche; di conseguenza la perquisizione domiciliare era totalmente
illecita
e) non era stato eseguito alcun controllo in sede di perquisizione ad opera di
persona esperta quale ausiliario di polizia giudiziaria (art. 348 c.p.p.), sicché
erano stati sequestrati indiscriminatamente floppy disk perché privi di
etichetta a stampa, ancorché le parti avessero dichiarato che contenevano
driver di schede grafiche o di altre periferiche utilizzate per il supporto
tecnico alla clientela, ovvero copie di dati personali;
f) infine il computer non poteva essere considerato corpo di reato per la sua
polivalenza;
inoltre, non sussistevano più esigenze probatorie per essere stato stampato il
contenuto dei dischi rigidi.
Il Tribunale della libertà di Rimini con ordinanza 5/5/95 ha revocato
integralmente il sequestro accogliendo sostanzialmente i rilievi formulati dagli
indagati.
Riveste particolare interesse il seguente passo del provvedimento:
3) la circostanza che il possesso dei floppy disk sequestrati non era
chiaramente riferibile all'ipotesi di reato di cui all'art. 171-bis l. n.
633/41, atteso che detta norma sanziona solo la detenzione a fini di commercio
di duplicazioni di programmi software, sicché mantiene quantomeno il crisma
della verosimiglianza l'affermazione degli indagati (v.le loro dichiarazioni
rilasciate all'atto del sequestro e le dichiarazioni rese all'udienza camerale)
secondo cui il materiale sottoposto a sequestro costituiva mero supporto tecnico
dell'attività da loro professionalmente esercitata nel settore informatico e
che quindi i militari accertatori possono essere stati tratti in errore dalle
annotazioni a mano presenti sugli involucri esterni dei dischi, e ciò
indipendentemente dal fatto che nessun accertamento in loco circa il contenuto
dei floppy disk è stato eseguito dalla GdF prima che si procedesse al
sequestro".
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Considerazioni.
Il caso descritto più sopra assume a mio avviso particolare rilevanza
nell'attuale discussione circa i termini e le modalità dell'esecuzione di
provvedimenti cautelari reali su materiale informatico.
Una prima affermazione importante è che la polizia giudiziaria non può
procedere a perquisizioni e sequestri "allo scopo di verificare il rispetto
della normativa penale di tutela del software"; in termini tecnici, la p.g.
deve muoversi sulla base di una notizia di reato attuale e flagrante, altrimenti
si deve rivolgere al PM per chiedere l'emissione del decreto di perquisizione;
in termini banali, non sono ammissibili nel nostro ordinamento "indagini di
mercato", cioè verifiche a tappeto sulla scorta di quelle effettuate a
fini fiscali. Vero è, infatti, che, essendo nella quasi totalità dei casi tali
indagini affidate alla GdF, questa, forse per "deformazione
professionale" è portata a servirsi dei suoi poteri di accesso in tema di
verifiche fiscali quando si tratta di controllare attività d'impresa. La
violazione delle norme penali di tutela del software NON è violazione di legge
finanziaria (cioè tributaria), pertanto debbono applicarsi le norme comuni.
Nel caso di specie, dunque, non solo era illegittima la perquisizione
domiciliare, ma lo era anche quella nei locali dell'impresa.
Va tuttavia precisato che qualora la violazione della legge 633/41 emerga nel
corso di una verifica fiscale allora si tratta di acquisizione della notizia di
un reato flagrante per cui la polizia giudiziaria può procedere alla
perquisizione ai sensi dell'art. 352 c.p.p.
Ritengo comunque molto importante l'affermazione del principio.
Il punto dell'ordinanza del Tribunale della libertà riportato più sopra per
esteso, poi, è interessante perché da un lato esclude la configurabilità del
reato quando non sussista il fine di commercio (da accertare in loco), e
dall'altro per le affermazioni di metodo relativamente ai sequestri che possono
ricavarsi, ancorché il testo non sia chiarissimo.
Sull'interpretazione della locuzione "a scopo commerciale" contenuta
nell'art. 171-bis l.633/41 è ben nota la discussione circa il contenuto della
stessa, anche in relazione alle discrepanze tra il testo della norma, quello
della legge delega e quello della direttiva (cfr. per un'esauriente trattazione
della questione, G. D'Aietti, La tutela dei programmi e dei sistemi informatici,
in Profili penali dell'informatica, Giuffrè, Milano, 1994, p. 48 ss.); l'esame
della questione ci porterebbe lontano ed esula dall'oggetto specifico di questo
intervento, per cui mi riservo di tornarci sopra con un altro scritto ad hoc.
Quanto invece ai metodi di esecuzione dei sequestri, ritengo indispensabile,
anche alla luce dell'esito dell'operazione di cui sopra, che necessariamente
intervenga alle operazioni anche una persona esperta in funzione di ausiliario
di p.g., il quale sappia discriminare tra software per il quale non occorre
licenza d'uso (si pensi proprio ai driver per schede grafiche, venduti con
l'hardware e disponibili in quantità e liberamente presso tutti i BBS, oltre
che su Internet, la cui massima diffusione corrisponde ad un preciso interesse
commerciale del produttore dell'hardware stesso), e quello invece oggetto della
rigorosa tutela approntata dall'art. 171-bis l. dir. aut. Il problema si pone
con particolare delicatezza quanto al software già installato su computer; in
questi casi, infatti, il sequestro della macchina può comportare un pregiudizio
che va oltre le finalità di tutela penale del software stesso, specialmente se
l'hardware è utilizzato in attività professionali o produttive. La p.g. in
casi siffatti, su input del PM, dovrebbe procedere al sequestro mediante
rimozione del software ritenuto illecito, copiandolo su altro supporto magnetico
(l'ideale sarebbe l'utilizzazione di un WORM, per le intrinseche garanzie di
inalterabilità della copia, e quindi della prova, che questo mezzo fornisce),
senza asportare in alcun modo il computer.
Mi rendo conto che ciò costituisce una complicazione, anche in termini di
tempo, delle operazioni di acquisizione della prova, tuttavia in questi casi le
ragioni dell'indagine si scontrano con quelle della proprietà e dell'impresa ed
anche della presunzione del possesso di buona fede delle cose mobili (art. 1147
c.c.).
Spero con queste brevi e povere note di avere fornito al forum utili spunti
di discussione.
Altri seguiranno.
(26.05.95)