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Secondo convegno del Forum multimediale "La società dell'informazione"
LA LEGGE E LA RETE
Roma, 12 novembre 1997

Immobilità reale e mobilità virtuale
antitesi al documento elettronico

di Giorgio Rognetta - 27.10.97

Dopo le due bozze di regolamento dell’AIPA sul documento elettronico finalmente il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 5.8.97, ha approvato uno schema di regolamento sulla formazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici. Premetto che le seguenti brevi note sono state scritte mentre lo schema di regolamento è sottoposto all’esame del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari e quindi esse potrebbero essere non del tutto aderenti al testo finale.

Fatta questa doverosa premessa, mi addentro negli affascinanti meandri di questo rivoluzionario progetto normativo per esporre le più immediate impressioni: innanzitutto risulta recepito in pieno il sistema di crittografia asimmetrica, quale sistema di validazione in grado di generare ed apporre firme digitali o di verificarne la validità. Per quanto concerne la firma digitale mi permetto, al fine di evitare di appesantire le presenti riflessioni, di rinviare solo chi ne abbia interesse ai miei precedenti articoli pubblicati in tema di crittografia asimmetrica sui numeri 3 e 4 del 1997 di Zaleuco, in quanto la conoscenza dei meccanismi di generazione e autenticazione della firma digitale è indispensabile per comprendere la disciplina prevista nello schema di regolamento del Consiglio dei Ministri.

Il documento informatico, e cioè la rappresentazione informatica di atti o fatti giuridicamente rilevanti (art.1 lett.a) da chiunque formato, nonché l’archiviazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici, sono validi e rilevanti purchè conformi alle disposizioni del regolamento stesso (art.2).

I requisiti del documento informatico, tuttavia, non vengono indicati, bensì rimandati dall’art.3 ad un successivo DPCdM, da emanarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore del regolamento, sentita l’AIPA, in modo da enucleare in quella sede le regole tecniche per la formazione, trasmissione, conservazione, duplicazione, riproduzione e validazione dei documenti informatici. Questa scelta è stata dettata dall’esigenza di non cristallizzare in norme troppo rigide il tumultuoso progresso informatico, consentendo, attraverso continui adeguamenti, di non restare indietro rispetto all’evoluzione scientifica e tecnologica. In sostanza si è nettamente separata la base tecnica, sulla quale innestare i presupposti tecnologici per la concreta esistenza e vitalità del documento elettronico, da quella giuridica, sulla quale costruire la validità e rilevanza del documento stesso nel mondo del diritto, in modo tale che la ricezione di elementi tecnici in statiche norme giuridiche non ostacolasse il futuro percorso del documento informatico. In tal senso si è espresso Enrico Maccarone, uno dei padri di questo progetto normativo, nella conferenza telematica Infogiur, dove avevo paventato il rischio di un’eccessiva delega al settore tecnico di requisiti che viceversa potrebbero essere dotati di una almeno minima dignità giuridica. D’altro canto, però, anche altri Stati hanno fatto ampio ricorso alla creazione di un’area tecnica di riferimento dove far scorrere la fluida evoluzione informatica, e quindi le esperienze internazionali sembrerebbero condurre inevitabilmente nella prospettiva indicata dal notaio Maccarone; in ogni caso, per chi volesse approfondire questo tema, la conferenza sul documento elettronico è stata pubblicata da Zaleuco (all'interno del sito giuridico Jura).

Il documento informatico soddisfa il requisito legale della forma scritta (art.4) e, se sottoscritto con firma digitale, ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell’art.2702 c.c. (art.5). Pertanto un documento informatico con sottoscrizione digitale, sia pure non autenticata, può fare piena prova delle dichiarazioni del sottoscrittore virtuale nei casi tipici di riconoscimento espresso o tacito. In tale eventualità mi sembra che le potenzialità del sistema abbiano la massima ampiezza per il cybercittadino, nel senso che questi, senza neanche essersi scomodato per far autenticare la firma digitale, potrebbe sfruttare appieno gli strumenti informatici - crittografici di cui dispone, ottenendo una efficacia probatoria del documento informatico pari a quella della scrittura privata a seguito del riconoscimento della sottoscrizione.

A questo punto mi sia consentita una riflessione: per un "individuo telematico" non sarà mai completamente digeribile l’obbligo di recarsi da un certificatore (art.8) o quello di andare da un pubblico ufficiale per autenticare la propria sottoscrizione digitale (art.16). Infatti il cybercittadino vive in una duplice dimensione di immobilità reale e mobilità virtuale, nel senso che le sue attività virtuali si espandono per il mondo intero pur rimanendo il suo corpo rigidamente ancorato al terminale; egli non concepisce, pertanto, come un atto che potrebbe concludersi esclusivamente per via telematica debba essere gravato di ulteriori incombenze che richiedono una grigia mobilità fisica, quali ad es. il dover andare da un notaio per autenticare la firma digitale; ciò anche se il cybercittadino è un fine giurista, e quindi si rende perfettamente conto che il sistema di certificazione e di autenticazione è indispensabile per garantire la certezza delle firme digitali.

Non credo, tuttavia, che esista un solo giurista appassionato d’informatica e di crittografia che non abbia provato un istintivo sussulto di rigetto nell’immaginare come la sua purissima procedura crittografica-telematica possa essere contaminata, un giorno, dalla necessità di dover abbandonare il proprio computer per svolgere una di quelle innaturali attività consistenti nell'allontanarsi dalla propria postazione telematica, mettersi alla guida della propria vettura e recarsi dal certificatore o dal notaio per essere sottoposto a controlli formali: quali insopportabili disgrazie per un individuo che vive in un mondo telematico ove impera la libertà dalle forme e dalle restrittive dimensioni spazio - temporali della vita reale! Ciò, in termini pratici, potrebbe condurre addirittura al rifiuto, più o meno inconscio, di sottoporsi a questo ibrido meccanismo di incoerente "virtualità reale", pur di non percorrere la strada che, partendo dalla propria dimensione virtuale, conduce allo studio di un "feroce" notaio o all’ufficio di un aguzzino certificatore, strada che per il cybercittadino-giurista sarebbe causa di sofferenze pari a quelle di un improponibile calvario. Insomma, facendo anch’io parte del nucleo puro ed "anarchico" degli individui telematici - crittografici, rivendico il privilegio dell’immobilismo reale e della mobilità virtuale da cui sono affetto, e mi associo al dolore già da altri manifestato.

Qualora il cybercittadino riesca, viceversa, a superare gli ostacoli del suo immobilismo fisico, si recherà diligentemente da un certificatore per munirsi di una idonea coppia di chiavi e rendere pubblica una di esse mediante la procedura prevista dagli artt. 8 e 9; o addirittura, al colmo di questa improvvisa esuberanza di incontrollabile motilità, potrà persino recarsi da un notaio per depositare in forma segreta la sua chiave privata (art.7) ovvero per farsi autenticare la firma digitale (art.16). Quest’ultima norma stabilisce che la firma digitale la cui apposizione è autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato è da considerarsi riconosciuta ai sensi dell’art. 2703 c.c.: l’autenticazione, in tal caso, consiste nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma digitale è stata apposta in sua presenza dal titolare la cui identità è stata previamente accertata unitamente alla validità della sua chiave pubblica e al controllo della conformità del documento alla sua volontà. Così si completa il quadro della efficacia del documento informatico, che, con l’espediente integrativo del riconoscimento espresso della sottoscrizione e quelli suppletivi del riconoscimento tacito o della autenticazione, acquista una dignità giuridica pari a quella della scrittura privata ex artt. 2702 e 2703 c.c.

Inoltre l’art.5 estende al documento informatico l’efficacia probatoria prevista dall’art.2712 c.c. per le riproduzioni meccaniche, anche se il termine di "riproduzione" forse non è del tutto aderente al concetto di documento informatico che è sempre esistente in originale, mentre l’art. 4 rimanda ad un successivo decreto del Ministro delle Finanze l’individuazione degli obblighi fiscali inerenti al documento informatico. Anche in quest’ultimo caso non è possibile esimersi dal rilevare che, qualora si gravasse l’agile struttura informatico - crittografica di eccessivi intralci ed adempimenti fiscali, per di più espressi su indigesti materiali cartacei, si risveglierebbe nel cybercittadino la latente indisponibilità alla burocratizzazione ed alla "cartaceizzazione" delle sue attività informatiche e telematiche, causando inevitabili reazioni di rigetto.

* hermann@mbox.vol.it

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