A voler considerare ciò che avviene all'interno delle strutture
pubbliche (quasi sempre pur con lodevoli eccezioni) occuparsi di informatica e
di comunicazione o di automazione è sempre occuparsi di qualcosa di
"innovativo" e in quest'aggettivo vi è quasi un malcelato senso di
irrisione (simile a quello che anticamente accompagnava i filosofi) o quanto
meno di estraneo alla realtà dell'apparato istituzionale (non escluso, si
intende, quello universitario).
Affiorano quasi sempre contrapposte tendenze all'ottimismo oppure al timore
sulle conseguenze limitative per le libertà individuali legate all'abuso
dell'informatica o delle tecnologie. Perciò non basta auspicare un quadro
normativo completo e coerente senza prima chiedersi se nell'elaborazione
normativa (ed in questo senso anche entro quale sua dimensione:
interna,internazionale, comunitaria) debba prevalere proprio un minimo di
attenzione verso la tecnologia stessa, verso la sua evoluzione, verso tutte le
sue implicazioni ed applicazioni possibili, nessuna esclusa. E il dibattito oggi
non può che complicarsi se si considera che non basta certo fermarsi ai
"dati personali" perché nell'ambito della comunicazione e nelle forme
possibili della stessa bisogna ricomprendere dati aggregati (secondo il quadro
normativo tradizionale) o potenzialmente "aggreganti" come testi,
ipertesti, immagini digitalizzate, suoni,immagini sonorizzate,
fotografie,sequenze cinematografiche e così via, tutto ciò insomma che può
essere elaborato,trasmesso e ricevuto in forma "digitale".
Il problema non è solo quello di definire i nuovi "servizi a valore
aggiunto", ma di garantire la riservatezza di singoli e gruppi
(particolarmente interessata nelle trasmissioni in rete) senza perciò
precludere ogni possibile uso dell'elaborazione informatica e della diffusione
telematica.
Che nella normativa europea si guardi al passato anziché al presente e al
futuro appare fin troppo ovvio. Manca una regolamentazione recente e la
Convenzione europea del 1981 è stata concepita più tenendo conto delle
esigenze di grandi centri di elaborazione di dati personali (pubblici e privati)
richiedenti tecnologie avanzate e risorse elevate che non sulla considerazione
della diffusione dell'informatica individuale e distribuita, nella quale entra
in gioco la "libertà informatica" anche sotto il profilo della
efficiente organizzazione privata e pubblica, per elaborare informazioni e
renderle immediatamente utilizzabili nel modo più efficace possibile.
Il primo problema che si pone è se le ragioni di riservatezza possano
giustificare l'elaborazione di impianti normativi a carattere autorizzatorio,
anche se solo tendenzialmente, sulla base di obblighi ricorrenti di
comunicazione (formale) ad autorità di garanzia. Il secondo problema è se può
lo Stato riservarsi un ruolo di "coordinamento" per favorire un uso
razionale delle tecnologie da parte delle amministrazioni pubbliche.
Orbene, per quanto attiene alla riservatezza il problema centrale non è tanto
nella regolazione delle tecnologie, ma semmai nella regolazione delle attività
(private e pubbliche) che mediante le tecnologie (o semplicemente esercitando
una posizione dominante in maniera incontrollabile) possono creare o favorire
situazioni di discriminazione o di disagio idividuale o sociale. Non è che
ovunque in Europa l'introduzione di normative statali, peraltro assai rigide,
abbia ridotto le violazioni concrete della privacy. Sono aumentate, è vero, le
comunicazioni burocratiche rivolte alle autorità di garanzia ed ogni
elaborazione suscettibile di classificare informazioni personali
"sensibili" (come quelle attinenti alla salute, allo stato
patrimoniale, alla condizione personale, politica, religiosa) richiede
particolari oneri nei confronti del soggetto (pubblico o privato) che assume
iniziative informative (dalla registrazione esplicita del consenso alla
rettifica, alla cancellazione alla raccolta dei dati in modo pertinente rispetto
allo scopo dichiarato e così via) .
Ma quel che conta non è l'attività pubblica di vigilanza, ma sopratutto
l'attività in qualche modo "interna" promossa nell'ambito stesso
dell'elaborazione, per prevenire utilizzazioni dei dati non conformi al rispetto
dei diritti individuali. Bisogna abbandonare l'assurda pretesa di
"governare" le tecnologie, perché esse, frutto dell'uomo, trovano
proprio nell'uomo, nella società, nello sviluppo sociale ed economico che
riescono in concreto ad attivare la migliore regola possibile, quella che si
basa sulla libertà stessa e che è consapevole di quanto ogni tecnologia è
prima di tutto estensione delle intuizioni degli uomini, dei limiti degli
uomini.
Ogni tecnologia porta perciò in sé i problemi degli uomini e può essere
regolata solo con attenzione ai rischi ed ai benefici che si collegano alla sua
introduzione, al suo uso o al suo abuso o al suo mancato uso. Rischi e benefici,
beninteso, che toccano il senso stesso della realtà sociale, i caratteri, gli
equilibri, i modi di essere delle relazioni umane, politiche, economiche e
sociali in un certo momento storico prima che le linee del progresso tecnico,
sempre in espansione.
Perciò ogni apparato pubblico di "vigilanza" e
"coordinamento" mostra ogni giorno di più i suoi limiti e la sua
sostanziale inadeguatezza. Laddove è stata prevista una qualche forma di
coordinamento istituzionale (anche in Italia con l'istituzione dell'Autorità
per l'informatica nella pubblica amministrazione) essa finisce, gioco forza, per
diventare una struttura frenante, se non altro per ragioni di carattere tecnico
ed economico, prevedendo nuove procedure e imponendo una programmazione
"tecnica" ogni giorno più obsoleta, tenendo conto delle crescenti
tendenze alla standardizzazione delle procedure, alla interattività ed
all'interscambio informativo tra sistemi diversi, alla progressiva riduzione dei
costi per hardware e software .
Forse andava percorsa un'altra strada: quella della promozione di procedure
automatiche per il miglioramento e l'ottimizzazione dei risultati conseguiti
dalle pubbliche amministrazioni, e prima ancora quella della massima diffusione
ed utilizzazione dell'informatica all'interno delle pubbliche amministrazioni
centrali e locali, quella del miglioramento, proprio attraverso le tecnologie
informatiche, dei rapporti tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni,
dalla costruzione di procedure semplificate per l'accesso ai servizi, alla
progettazione di software applicativo già all'interno delle amministrazioni
interessate anziché ricorrere alle consuete consulenze esterne .
Da anni, da troppo tempo, sono in corso nel nostro Paese solo
"sperimentazioni" e l'informatica resta il fiore all'occhiello da
esibire solo negli incontri di studio e nei convegni e non lo strumento del
lavoro quotidiano. Le tecnologie richiedono, comunque una sola regola
essenziale, quella secondo la quale "la persona giusta va al posto
giusto" ,regola difficile da elaborare e da applicare in Italia ,se non
altro per questioni generazionali.
Eppure Bill Gates il creatore della "Microsoft", l'uomo che l'ha
applicata con coraggio e che ha rivoluzionato tutto il sistema delle
comunicazioni nel mondo con l'introduzione dei sistemi operativi più diffusi,
non ha neanche quarant'anni.
(26.06.95)
Il prof. Giuseppe Corasaniti, magistrato, è docente di diritto dei mezzi comunicazione alla LUISS