(In Net_Lex il
testo della legge)
I reati previsti dalla legge del 31 dicembre 1996 n. 675,
pubblicata sulla G.U. 31 dicembre 1997 (Tutela delle persone e di altri soggetti
rispetto al trattamento dei dati personali) ed entrata in vigore il giorno
successivo a quello della pubblicazione si inquadrano nella tutela della
riservatezza delle persone e dei gruppi sociali rafforzando la tutela
amministrativa indipendente prevista dalla stessa legge e riservata alla
autorità "Garante".
Così l'articolo 34 della legge (omessa o infedele notificazione) punisce
chiunque, che essendovi tenuto, non provvede alle notificazioni prescritte dagli
articoli 7 e 28, ovvero indica in esse notizie incomplete o non rispondenti al
vero, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Se il fatto concerne
la notificazione prevista dall'articolo 16, comma 1, la pena è della reclusione
sino ad anno. Si tratta di un reato proprio, poiché in sostanza i soggetti
interessati sono i "titolari" o i "responsabili" dei dati,
intendendosi cioè, in base all'art.1 della legge punto d) per
"titolare", la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica
amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono
le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento di dati
personali, ivi compreso il profilo della sicurezza, mentre, secondo il punto e)
per "responsabile", la persona fisica, la persona giuridica, la
pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo
preposti dal titolare al trattamento di dati personali.
Elemento costitutivo del reato, stante la sua qualificazione di delitto, sotto
il profilo soggettivo sembrerebbe inoltre essere il dolo generico consistente
nella coscienza e volontà di omettere le comunicazioni prescritte dalla legge o
di provvedere alla medesime in modo incompleto o non veritiero così precludendo
all'autorità di garanzia lo svolgimento delle funzioni di tutela della
riservatezza . Ipotesi attenuata (reclusione fino ad un anno) è quella che
concerne l'omissione delle comunicazioni riguardanti la cessazione del
trattamento dei dati.
Si tratta di una fattispecie criminosa che ricalca in linea di massima ipotesi
di reato già in vigore quali ad esempio l'art. 5 bis della legge n. 216 /1974
sulla Consob così come modificato dalla legge n. 281/1985, ferma restando
tuttavia la strutturazione di una fattispecie di delitto anziché
contravvenzionale, il che lascia ampi margini in sede di applicazione
giurisdizionale alla valutazione in concreto del comportamento del titolare o
del responsabile dei dati dovendosi dimostrare non solo una mera condotta
omissiva ma una condotta omissiva o di incompleta o infedele rappresentazione
scientemente posta in essere al fine di eludere precisi obblighi di legge, il
che se da un lato aggrava sul piano della sanzione prevista il trattamento
penale rispetto ad ipotesi criminose in qualche modo simili (come appunto la
legge sulla Consob), rende certamente problematica l'attività di accertamento
tanto più se questa è destinata a svolgersi su iniziativa dello stesso
Garante. L'errore sul piano della stessa interpretazione normativa o sulle
caratteristiche obiettive dei dati trattati o sui termini o i contenuti della
stessa comunicazione si prospetterà in modo estremamente frequente, tanto più
entro un quadro normativo di non semplice applicazione.
L'art. 35 (trattamento illecito di dati personali) prevede che salvo che il
fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per
altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati
personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 11, 20 e 27, è punito
con la reclusione sino a due anni o, se il fatto consiste nella comunicazione o
diffusione, con la reclusione da tre mesi a due anni. Il secondo comma prevede
una ulteriore ipotesi, quella per cui salvo che il fatto costituisca più grave
reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad
altri un danno, comunica o diffonde dati personali in violazione di quanto
disposto dagli articoli 21, 22, 23 e 24, ovvero del divieto di cui all'articolo
28, comma 3, è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Se da tali
fatti derivi nocumento, la reclusione è da uno a tre anni.
La configurazione di questa ipotesi delittuosa rende evidente il dolo specifico
che si inquadra nella coscienza e volontà di compiere un abuso nel trattamento
di dati personali, effettuato a scopo di trarvi diretto o indiretto profitto o
di recar danno ad altri, che nella ipotesi attenuata incide sui dati personali
raccolti senza il consenso dei soggetti interessati o privi dei requisiti posti
espressamente dalla legge per la diffusione o la comunicazione a terzi o infine
trattati da soggetti pubblici (o nell'ambito di) enti pubblici economici in
assenza di espresse norme di legge o di regolamento o la cui raccolta o
elaborazione sia non necessaria allo svolgimento delle funzioni istituzionali.
Più grave è la previsione normativa rispetto alle comunicazioni o alle
diffusioni abusive di dati "sensibili" (e cioè atti a rivelare
l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro
genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od
organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché
i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale,dati
che possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto
dell'interessato e previa autorizzazione del Garante), di dati inerenti alla
salute o di dati relativi a iscrizioni nel casellario giudiziale (come ad
esempio la descrizione articolata dei precedenti penali di una determinata
persona) o infine trasferiti all'estero in Stati non assicuranti un livello di
protezione idoneo. Ulteriore aggravio sul piano sanzionatorio consegue alla
effettuazione di danno agli interessati in conseguenza (diretta) della
comunicazione o diffusione abusiva.
È quindi doveroso richiamare l'art. 1 della legge che definisce (punto f) per
"interessato", la persona fisica, la persona giuridica, l'ente o
l'associazione cui si riferiscono i dati personali; per
"comunicazione", (punto g) il dare conoscenza dei dati personali a uno
o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche
mediante la loro messa a disposizione o consultazione; per
"diffusione" (punto h), il dare conoscenza dei dati personali a
soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a
disposizione o consultazione.
È infatti sul terreno dell'elemento oggettivo della condotta criminosa che
facilmente si prospetteranno i più frequenti dubbi interpretativi, potendosi da
un lato privilegiare una interpretazione "letterale" estensiva e
dall'altro prospettare un criterio più restrittivo e limitato alle raccolte di
dati o informazioni secondo criteri significativi e rilevanti nella raccolta o
nella ricerca, e posto che il trattamento dei dati personali cui la legge si
riferisce in base all'art. 5 è anche quello svolto "senza l'ausilio di
mezzi elettronici" e che il concetto di "dato personale " e di
trattamento cui si riferiscono i punti b) e c) dell'art. 1 della legge intendono
per "trattamento", qualunque operazione o complesso di operazioni,
svolti con o senza l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati,
concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione,
l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto,
l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la
cancellazione e la distruzione di dati e per per "dato personale",
qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od
associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante
riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di
identificazione personale. Secondo l'art. 36 (Omessa adozione di misure
necessarie alla sicurezza dei dati) chiunque, essendovi tenuto, omette di
adottare le misure necessarie a garantire la sicurezza dei dati personali, in
violazione delle disposizioni dei regolamenti di cui ai commi 2 e 3
dell'articolo 15, è punito con la reclusione sino ad un anno. Se dal fatto
deriva nocumento, la pena è della reclusione da due mesi a due anni. Se il
fatto è commesso per colpa si applica la reclusione fino a un anno.
La disposizione si applicherebbe in base a quanto disposto dal 2 comma dell'art.
3 della legge anche ai dati trattati da persone fisiche per fini esclusivamente
personali e, in base al comma 2 dell'art. 4, anche ai trattamenti di dati in
ambito pubblico esonerati dall'applicazione della normativa generale sulla
riservatezza (CED del Ministero dell'interno in base alla legge 121 /1981,
raccolte informative dei servizi segreti, casellario giudiziale,servizi di
informatica giudiziaria o gestiti da soggetti pubblici in relazione a finalità
di difesa, sicurezza dello Stato,accertamento o repressione di reati in base a
specifiche norme di legge regolatrici del trattamento) così di fatto
introducendosi una estensione della sanzione penale sia con riguardo alla
intenzionale omissione di misure di sicurezza (che peraltro debbono essere
prescritte in via regolamentare) sia con riguardo alla semplice omissione
colposa, cui consegue una sanzione più lieve.
Dubbi possono fondarsi in ordine alla razionalità e quindi alla
costituzionalità della disposizione, poiché essa appare indeterminata quanto
alla qualificazione del soggetto effettivamente responsabile sul piano
organizzativo e quanto alla sproporzione ed alla manifesta inconguità di una
sanzione collegabile anche al mero stato di colpa, tanto più laddove in sede
civile la stessa legge in commento prevede (art.18) il ricorso all'art. 2050
C.C. (così equiparandosi di fatto il trattamento dei dati personali o forse
soltanto il trattamento dei dati svolto in violazione alla legge ad
"attività pericolosa") e quindi con l'inversione dell'onere della
prova nei casi di giudizi avviati per il risarcimento dei danni, sicché per
natura (dell'attività informativa svolta in concreto) o per la natura dei mezzi
adoperati, il titolare o il responsabile è tenuto al risarcimento se non prova
di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Sul piano pratico inoltre è bene rilevare che le misure necessarie a garantire
la sicurezza dei dati personali sono quelle individuate dalla fonte
regolamentare, che probabilmente dovrà limitarsi ad indicare una serie di
cautele tecniche di massima in rapporto alle caratteristiche ed alle dimensioni
del sistema informativo di volta in volta interessato, dalla copia di backup dei
dati alle protezioni logiche contro gli accessi abusivi (passwords o codici di
validazione), alla protezione fisica dei terminali o degli uffici, alla
identificazione dei responsabili degli accessi con registrazione di ogni accesso
ai dati personali. La regolamentazione dovrà in sostanza limitarsi a
prescrivere le protezioni tecniche più adeguate in base all'esperienza comune,
trattandosi di "misure minime" e non di "standards" di
elevata sicurezza da adottare in via preventiva dai soggetti titolari e
responsabili.
Si tratta di una norma di mera proclamazione che richiede una grande
sensibilità applicativa sopratutto sul piano tecnico.
È posto a tutela dell'azione del Garante l'art. 37, che sanziona l'inosservanza
dei provvedimenti del Garante. Chiunque, essendovi tenuto, non osserva il
provvedimento adottato dal Garante ai sensi dell'articolo 22, comma 2, o
dell'articolo 29, commi 4 e 5, è punito con la reclusione da tre mesi a due
anni. I provvedimenti del Garante cui la norma si riferisce sono quelli relativi
ai diritti di accesso, di certificazione, di cancellazione e di rettifica
riconosciuti espressamente all'interessato dall'art. 13 della legge.
L'art. 38 stabilisce infine la pena accessoria della pubblicazione della
sentenza nei casi di condanna per uno dei delitti previsti dalla legge.
L'art. 39 pone sanzioni amministrative a carattere pecuniario per chiunque
ometta di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dal Garante
ai sensi degli articoli 29, comma 4, e 32, comma 1, (pagamento di una somma da
lire un milione a lire sei milioni). Più attenuata è la sanzione per la
violazione delle disposizioni di cui agli articoli 10 e 23, comma 2, (pagamento
di una somma da lire cinquecentomila a lire tre milioni). L'organo competente a
ricevere il rapporto e ad irrogare le sanzioni di cui al presente articolo è il
Garante. Si osservano nel procedimento, in quanto applicabili, le disposizioni
della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni.
Merita infine attenzione l'art. 40. (Comunicazioni al Garante), in base al quale
copia dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria in relazione a quanto
previsto dalla presente legge e dalla legge 23 dicembre 1993, n. 547, è
trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante. Si tratta di una norma che si
giustifica nell'intento di avviare un vero e proprio monitoraggio tanto
dell'applicazione delle sanzioni penali previste nella legge 675 (ma anche - si
badi - con riferimento alla giurisprudenza civile o alle decisioni conseguenti
alle opposizioni alle sanzioni amministrative), quanto più in generale con
riguardo ai reati previsti dalla legge sui reati informatici. La finalità della
prescrizione è quella di costituire un "osservatorio" qualificato sia
sui problemi giurisprudenziali che sulle problematiche tecnologiche che si
legano alla applicazione della nuova disciplina. E non è cosa di poco conto.
(18.02.97)
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