di Maria Antonietta Laura Mazzola e Rosanna Ortu Lo sviluppo
della comunicazione telematica ormai da tempo pone il problema
dell'apprestamento di idonee forme di tutela per garantire lo scambio e la
diffusione di informazioni tra soggetti interconnessi. Si tratta, a ben vedere,
d'un problema di non poco momento stante da un lato la natura particolare degli
strumenti di comunicazione informatici e telematici e stante, dall'altro, la
peculiarità dei sistemi di controllo in ordine ai dati posti in circolazione.
Quanto qui sommariamente descritto sta alla base del dibattito
politico-culturale che sta interessando, negli ultimi tempi, l'opinione pubblica
americana. Più segnatamente si discute sulla configurabilità come fatto di
reato della diffusione di notizie aventi ad oggetto l'illustrazione delle
modalità di confezionamento di ordigni esplosivi. La problematica, che trae
origine dal recente attentato verificatosi ad Oklahoma City, pone in rilievo la
questione dei limiti contenutistici delle notizie diffusibili via rete e, di
conseguenza, delle eventuali limitazioni alla fondamentale libertà di
manifestazione del pensiero.
Il dibattito americano ruota intorno alla proposta di emendamento avanzata
dal Senatore Feinstein alla legge generale del terrorismo attualmente pendente
innanzi al Senato degli Stati Uniti. L'emendamento, più precisamente, mira a
reprimere la diffusione di informazioni relative alla fabbricazione di
esplosivi, nell'ipotesi in cui colui che diffonde l'informazione è consapevole
che i materiali indicati risultano essere idonei al compimento d'un crimine
federale. Come può ben intendersi, la proposta avanzata ha sollevato notevoli
reazioni allarmate nella comunità telematica americana, dove si guarda con
crescente preoccupazione ai continui tentativi del Congresso degli Stati di
regolamentare in qualche modo l'uso della comunicazione interattiva,
introducendo subdolamente forme si censura e di limitazione. L'American Civil
Liberties Union (ACLU) si è fatta promotrice di un'azione di opposizione
all'emendamento, mettendo in evidenza la sua incostituzionalità, in quanto mira
a reprimere la mera trasmissione di informazioni - su stampa, radio,
televisione, ciberspazio - prive di qualsiasi finalità criminale, nonché la
sua stessa superfluità data la sussistenza d'una norma (18 U.S.C. sec. 231) che
reprime come reato l'insegnamento delle tecniche di fabbricazione di esplosivi
nell'ipotesi in cui si abbia conoscenza dell'altrui intento di far uso
dell'informazione per sviluppare un preciso disegno criminoso. E' stato,
inoltre, rilevato che l'emendamento in questione comporterebbe l'allargamento
della soglia di punibilità, in quanto richiede una forma minima di colpevolezza
per determinare l'incriminazione, con conseguente violazione del primo
emendamento della Costituzione americana che assicura una notevole protezione
della libertà di manifestazione del pensiero. Come può ben intendersi il caso
in questione involge problemi di ordine penale e costituzionale che evidenziano
la duplice esigenza di assicurare la libertà di comunicazione e di prevedere, là
dove ne ricorrono i presupposti, forme di responsabilità.
La fattispecie in esame, di cui si è provveduto a dare una descrizione
sommaria, è stata assunta ad oggetto del nostro intervento al fine di
ravvisare, in un tentativo di comparazione giuridica, la sussistenza nell'ambito
del diritto penale italiano di disposizioni normative che prevedano, per
l'appunto, l'incriminazione nell'ipotesi di mera divulgazione di notizie
afferenti alle modalità di fabbricazione del materiale esplosivo.
La problematica s'inserisce nel quadro più generale della previsione
costituzionale del diritto di libera manifestazione del pensiero (art. 21) e del
rapporto che interviene tra tale diritto e la necessità di reprimere tutte
quelle manifestazioni che ledono o pongono in pericolo beni oggetto di
protezione da parte dell'ordinamento. Espressione di tale conflitto è dato
rinvenire in reati contro l'ordine pubblico e più segnatamente nei reati a
pericolo presunto i quali pongono problemi di costituzionalità, dato che
l'adozione di tale categoria crea il rischio che la repressione penale si
risolva in un'inammissibile limitazione delle libertà ideologico-politiche
costituzionalmente garantite (si consideri, a titolo di esempio, il reato di
apologia di delitti previsto all'art. 414 c.p.).
Tuttavia, però, proprio in tale tipologia delittuosa si registrano i più
marcati interventi interpretativi volti a punire non la manifestazione di
pensiero in quanto tale, ma quella che per le sue modalità integra un
comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti.
Viene, dunque, punita l'esposizione di idee diretta a provocare l'azione e
non la manifestazione di pensiero in quanto tale. Si recupera in tal modo,
inoltre, il principio della necessaria lesività da intendersi nell'accezione più
lata comprensiva sia della lesione che dell'effettiva messa in pericolo del bene
protetto. A tutto ciò si aggiunga la scelta da parte del legislatore penale di
assumere la Costituzione a fondamento o a criterio di riferimento di ciò che può
legittimamente assurgere a reato. Ne risulta la vincolatività di ricorrere allo
strumento penale nei soli casi di stretta necessità. Inoltre, il riferimento
alla rilevanza costituzionale del bene delimita l'area di ciò che non potrebbe
mai assurgere a reato con la conseguenza - là dove ne ricorrano gli estremi -
di condizionare la scelta del "se e come punire" alla presenza di
ulteriori fattori.
Da quanto detto è facile evincere l'assenza di punibilità per tutte quelle
ipotesi in cui un soggetto si limiti a diffondere notizie che, sebbene passibili
di essere utilizzate per scopi illeciti, di per sé non si traducano nell'offesa
ad un bene giuridico.
A ritenere diversamente si finirebbe con l'imporre eccessivi limiti alla
piena esplicazione del diritto costituzionalmente riconosciuto. Del resto, il
costituente, proclamando la libertà di manifestazione del pensiero, ha ritenuto
che, fuori dai casi direttamente vietati, l'esercizio di questo diritto non
costituisca un pericolo generale per la saldezza degli istituti o per la pace
sociale, non potendosi reprimere quelle affermazioni potenzialmente pericolose i
quanto ciò si tradurrebbe in un innegabile censura.
A questo punto della nostra analisi sorge spontaneo chiedersi se le
considerazioni sin qui poste in essere possano valere per le divulgazioni di
notizie mediante comunicazione telematica.
Si potrebbe azzardare una risposta affermativa tenuto conto della natura di
principio fondamentale di libertà riconosciuta al diritto di manifestazione del
pensiero, anche se non si esclude la necessità imprescindibile di fissare delle
regole che disciplinino in misura puntuale lo scambio di informazioni mediante
comunicazione telematica tenuto proprio conto della specificità dei mezzi di
comunicazione in oggetto. Unitamente a ciò, si postula la necessità di
predisporre apposite normative finalizzate a reprimere la commissione di reati
attraverso la comunicazione telematica.
(18.06.95)
Note
1) Si veda, in tal senso, il Rapport de la Commission présidée par Pierre
Sirinelli, Industries culturelles et nouvelles techniques, cit., pp. 98 e ss. e
OMPI, Colloque mondial de l'OMPI sur l'avenir du droit d'auteur et des droits
voisins, cit. , Publication OMPI n. 731 (F) 1994, in particolare l'intervento di
Péter Gyertyànfy, pp. 199 e ss.
2) A. Lucas, in OMPI ecc., op. cit., p. 284.
3) Cfr. OMPI ecc., op. cit., pp. 35 e ss.