Un mese fa, nell'articolo dedicato alla censura e al controllo di Internet,
ho introdotto un tema molto importante, quello dell'affidamento a un'autorità
della chiave di crittazione della corrispondenza telematica. Da più parti si
cerca di far passare questa limitazione della libertà di espressione come
soluzione obbligata per consentire alle forze dell'ordine di intercettare, su
disposizione dell'autorità giudiziaria, le comunicazioni delle organizzazioni
malavitose e terroristiche.
L'argomento viene riproposto dalla bozza di articolato predisposta dall'AIPA per
il documento elettronico: la previsione non appare chiaramente dal testo, ma
Enrico Maccarone ne parla esplicitamente nell'intervista. In sostanza, si
propone di affidare all'Autorità notarile le due chiavi, quella pubblica e
quella privata, limitatamente ai contrassegni che servono per la stipula di atti
di particolare rilevanza, appunto quelli che richiedono l'intervento del notaio.
È necessario tener presente che negli algoritmi di cifratura a chiave
asimmetrica le due chiavi sono complementari, come le due parti di una banconota
tagliata: l'una non vale nulla senza l'altra. Quindi ai fini della
certificazione dell'autenticità di un documento basta la chiave pubblica. La
conoscenza della chiave privata serve invece a decifrare il contenuto del
documento cifrato. Dal punto di vista del progetto dell'AIPA (al quale, lo
ricordiamo, hanno partecipato i notai), lo "escrow" della chiave
privata di un soggetto costituisce una sorta di "prova suprema" della
sua identità e della sua capacità di contrarre atti di particolare rilevanza.
Dal punto di vista giuridico si può dire che il soggetto che consegna la sua
chiave privata a un'autorità, comunque costituita, accetta una limitazione
potenziale alla segretezza dei suoi scritti. Si tratta quindi di un fatto
eccezionale, di una sorta di "clausola vessatoria" imposta a tutela di
un interesse che si ritiene superiore. Il problema consiste quindi nella
impossibilità di conciliare due interessi contrastanti: da una parte
l'interesse pubblico a una forma di certificazione di particolare valore,
dall'altra l'interesse del singolo alla segretezza delle sue comunicazioni. Uno
dei due interessi deve essere sacrificato, almeno in parte.
Sul piano della certificazione di atti pubblici mi sembra che si possa accettare
il key escrow, più come fatto simbolico (una sorta di "giuramento
digitale") che come fatto sostanziale. Ma, una volta passato questo
principio, diventa più facile introdurre il divieto di usare chiavi non
depositate nella corrispondenza privata, nella posta elettronica di tutti i
giorni.
La prospettiva non cambia: l'interesse pubblico della prevenzione e
repressione del crimine contrapposto a quello privato della riservatezza. Quale
deve prevalere? Si tenga presente che una delle argomentazioni avanzate dai
fautori del deposito delle chiavi private è che di fatto il cittadino onesto
non ha nulla da temere, perché la chiave può essere rivelata solo in seguito a
un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria.
La questione è di importanza fondamentale, perché può segnare il confine tra
lo "stato di diritto" e lo "stato di polizia". Posta la
questione in questi termini, il key escrow per la corrispondenza privata è
inaccettabile in un paese democratico. Ma ci sono considerazioni pratiche più
banali che portano alla stessa conclusione.
Primo: i delinquenti possono continuare a usare chiavi non depositate (se no, che delinquenti sarebbero?) e quindi a sottrarsi ai legittimi controlli.
Secondo: la certezza assoluta della segretezza delle chiavi private depositate non esiste, anzi, l'esperienza anche recentissima nel nostro paese insegna che tutto ciò che è segreto (stavo per scrivere "segretato"...) viene a conoscenza di molta gente e spesso viene addirittura pubblicato sui giornali.
Terzo: se il key escrow serve a rendere possibile l'intercettazione delle comunicazioni di soggetti sottoposti a indagine penale, come la mettiamo con il diritto dell'indagato di non rispondere o anche di mentire alle domande del magistrato? Di fatto, il key escrow potrebbe essere considerato come limitativo del diritto alla difesa, anche perché un indagato che abbia usato una chiave "illegale", cioè non depositata, potrebbe rifiutarsi di rivelarla. E d'altra parte nessuno potrebbe essere sottoposto a procedimento penale per il solo fatto di aver usato una chiave non depositata, perché nessuna autorità potrebbe accertare questo illecito se non in seguito a un'indagine avviata per altra causa. Questo significa che il cittadino onesto potrebbe depositare una chiave e usarne tranquillamente un'altra, e nessuno potrebbe lecitamente accertare la violazione della norma, che diverrebbe quindi pressoché inutile. L'uso di una chiave non depositata, accertata in seguito a un'indagine penale, potrebbe solo dar luogo a un'ipotesi aggravante del reato principale.
Conclusione: il key escrow non serve a nulla, se non a mettere a rischio la
libertà di comunicazione delle persone oneste. E mette in pericolo il principio
della libertà della Rete, che viene presa come paradigma e modello della libertà
di comunicazione. Questo principio, a mio avviso, dovrebbe essere considerato
preminente di fronte a tutte le altre esigenze immaginabili. E quindi anche nei
confronti di quell'esigenza di maggiore efficacia probatoria che il progetto
dell'AIPA prospetta per gli atti di amministrazione straordinaria di competenza
dei notai.
Quindi, se nel testo definitivo si rinunciasse al deposito della chiave privata
per questa categoria di documenti, si darebbe un segnale molto forte di
attenzione per il principio della libertà di comunicazione, per la libertà
della Rete.
Nessuno, dopo un precedente di questo livello, potrebbe avanzare proposte di key
escrow per la corrispondenza privata, con il pretesto della pubblica sicurezza.
Al contrario, se la proposta venisse mantenuta, si creerebbe un pericoloso
precedente.
C'è una terza via? Forse si potrebbe mantenere la previsione del key escrow
per gli atti pubblici di particolare rilevanza, ma inserendo nel testo della
legge l'esplicito riconoscimento dell'eccezionalità della disposizione. In
questo modo si conferirebbe all'uso della chiave digitale depositata un valore
particolare, motivato dall'importanza degli atti per i quali è richiesto il
deposito, e nello stesso tempo si rafforzerebbe il principio della segretezza
della corrispondenza, sulla base del principio che "l'eccezione conferma la
regola".
(da MCmicrocomputer n. 168, novembre 1996)
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