"What is and what is not electronic democracy" è una
domanda che circola di frequente su Internet. Ad essa sono state date molteplici
risposte, sia in modo esplicito che implicito ed alcune conferenze virtuali
hanno affrontato la stessa questione.
Viene allora spontaneo chiedersi il perché di tanto interesse se è vero,
come è vero, quello che da alcuni anni si va ripetendo, e cioè che Internet,
la rete delle reti, è un "mezzo" fondato su un unico principio
ispiratore: la libertà di tutti.
Libertà intesa nella sua accezione forse più ampia, come possibilità di
ciascun individuo - senza distinzione di sesso, razza, opinioni politiche, ecc.
- dotato di "modesti" mezzi tecnici (un personal computer, un modem ed
un telefono), di diffondere le proprie idee, di colloquiare nel mondo con
individui di altre etnie, di espandere le proprie conoscenze senza uscire da
casa.
La libertà di navigare (o, come è stato più efficacemente espresso, di
immergersi) in un mare di informazioni non più veicolate in pesanti supporti
fisici, quali libri, riviste e giornali, bens~ì trasmesse sotto forma di
segnali elettronici (bit). Chi vi si immerge non è semplicemente un
"recettore passivo", ma è in grado di intervenire attivamente nella
realtà sociale. Negli Stati Uniti, che sono assai più avanti di noi in questo
campo, si stanno diffondendo iniziative popolari per intervenire in prima
persona nella fase di redazione di un testo legislativo.
Non è forse questa una delle forme più elevate di democrazia? La domanda
richiede una prima riflessione su cosa sia una democrazia. A questo punto è il
mio vecchio Devoto-Oli (un "atomo" lo definirebbe il guru
americano del MIT, Nicholas Negroponte, nel suo ultimo libro "Essere
digitali", apparso in traduzione italiana, presso Sperling & Kupfer
Editori, nel marzo 1995) a venirmi in aiuto.
Democrazia, si legge, è "una forma di governo fondata su una visione
egualitaria dei rapporti sociali e dei diritti politici esercitata dal popolo
direttamente. Interrompo la lettura e mi chiedo: ma allora, se è vero che
Internet assicura la massima libertà di espressione delle idee, come mai vari
messaggi che ho intercettato sulla rete erano favorevoli ad un intervento
governativo che esprimesse precise regole di controllo e di gestione della rete?
Che forse abbia veramente ragione Negroponte quando dice che "troppa libertà
può avere effetti negativi"?
Gli argomenti portati a sostegno della tesi che guarda con favore ad un
intervento governativo non provengono certamente da nostalgici del totalitarismo
o di forme accentuate di statalismo.
In realtà, la situazione non è poi cos~ì idilliaca come appare, a causa
della scesa in campo dei "profit-seekers", cioè di coloro che,
spacciandosi per altruistici diffusori di cultura, vorrebbero sfruttare le
illimitate potenzialità dei collegamenti telematici per trarne i massimi
profitti economici.
In un articolo pubblicato su "The Washington Monthly" di
giugno '95 (il cui testo integrale appare su http://www.clark.net/pub/rothman/update3.html
con ampi riferimenti ipertestuali aggiunti) Joshua Wolf Shenk stigmatizza il
comportamento delle compagnie telefoniche private che pubblicizzano le enormi
potenzialità della telematica, tra le quali l'insegnamento interattivo a
distanza e la telemedicina. L'obiettivo apparente che si propongono di
raggiungere è favorire l'avvicinamento delle persone mettendo in luce i loro
aspetti migliori; l'obiettivo reale è, viceversa, di ben altra natura: lo
sfruttamento a scopi esclusivamente commerciali delle autostrade informatiche.
Quest'articolo esprime una forte critica a questa forma di
"innaturale" sfruttamento delle reti ed un invito al governo americano
affinché rallenti questa corsa sfrenata.
Come un fiume, Internet si è mossa all'inizio lentamente in un ristretto
ambito scientifico riservato a pochi iniziati, per poi espandersi velocemente ed
in modo incontrollato quando è entrata in contatto con il mondo economico.
Agli albori della comunicazione via rete sarebbe stato assai più facile di
adesso convogliarla nelle zone desiderate, impedendo in tal modo quel processo
di straripamento che - sebbene già iniziato - non ha ancora raggiunto la sua
massima estensione.
Per questo motivo coloro che avvertono più forte il problema di arginare
Internet (o meglio di regolamentarla) sperano che ciò avvenga il più presto
possibile. L'intervento governativo dovrebbe servire, secondo Ronda Hauben (ronda@panix.com)
ad impedire di diventare preda degli appetiti delle grandi società commerciali.
Non tutti, però, sono dello stesso avviso. Tra questi L. Detweiler, il quale
ripone ampia fiducia nello sviluppo della democrazia elettronica mediante
Internet, senza necessità di un intervento del Governo, che ha rappresentato,
fino a questo momento, uno dei maggiori ostacoli al suo fiorire. Vi è ancora
chi, come J. Lehmann (jrl@spectrix.sbay.org), ritiene sufficiente un
modesto intervento nella giusta direzione per raggiungere l'obiettivo di una
"communication ... cheap and free, everywhere".
I fautori della regolamentazione non intendono affatto porre delle
limitazioni all'utilizzo di Internet; al contrario, auspicano una diffusione
ancora più capillare di quella attuale. Ma sulle modalità di raggiungimento di
questo obiettivo le opinioni divergono. Sempre secondo J. Lehmann, ciò sarebbe
possibile sfruttando diversamente l'attuale livello tecnologico, con un migliore
utilizzo delle linee su doppino telefonico, senza necessità di attendere la
disponibilità dei futuri canali in fibra ottica. Lo sviluppo di Internet
verrebbe cos~ affidato inizialmente alla diffusione capillare delle forme di
comunicazione più semplici (tipo E-mail). Il passaggio successivo a
quelle più complesse (tipo ftp-by-email) avverrebbe gradualmente per
l'effetto "snow-ball" provocato dalla naturale curiosità ed
intraprendenza degli utenti.
Con l'accesso ad Internet degli "ordinary people" diverrebbe
assai più impellente la soluzione di due problemi che agitano il mondo delle
reti: (a) un uso più misurato del sistema per evitare lunghe code; (b) la
riservatezza della posta elettronica.
Alla tesi accolta da J. Lehman si contrappone chi affida interamente alla
realizzazione delle autostrade informatiche il futuro della comunicazione
telematica.
Ma è proprio questo nuovo strumento ad altissimo contenuto tecnologico a
comportare problematiche giuridiche di difficile soluzione ed in particolare a
rappresentare, secondo alcuni, il più grave pericolo per la democrazia
elettronica.
La questione è attualmente all'esame del Congresso degli Stati Uniti, che
sta elaborando il più imponente progetto di riforma del settore delle
telecomunicazioni dal 1934. Il progetto di legge originario, approvato dalla
Camera, ma bocciato dal Senato, si ispira a due principi fondamentali: "common
carriage" e "open architecture". In sostanza, il primo
impedisce ai gestori della rete di praticare tariffe differenziate a seconda del
tipo di utente; mentre il secondo consente il collegamento diretto degli utenti
della rete senza il passaggio obbligato da un nodo centrale controllato.
Il progetto del Senato degli Stati Uniti, che si dice ispirato dalle grandi
compagnie di telecomunicazioni, privilegia la "deregulation", con
questa motivazione: sarà la libera concorrenza tra gli operatori ed il potere
di scelta degli utenti a far produrre servizi sempre migliori a prezzi sempre più
bassi.
La prospettiva di una libera concorrenza è certamente, tra le due, l'ipotesi
più allettante; peccato, sembra dire l'autore dell'articolo pubblicato su The
Washington Monthly sopra menzionato, che la realtà sia ben diversa da come
viene disegnata. Infatti per i prossimi 10-15 anni solo le società di
telecomunicazione attualmente esistenti potranno operare sul mercato. In
pratica, si avrà un regime di monopolio esteso non soltanto alla gestione della
rete ma anche al controllo ed al possesso di ciò che in essa viene trasmesso.
Come si vede la domanda prospettata all'inizio su cosa sia la Democrazia
Elettronica (e quale sarà il suo futuro) non è poi, contrariamente alle
apparenze, così peregrina.
Questo mio intervento non ha certamente la presunzione di fornire una
risposta a questo vasto e complesso problema. Tuttavia, non posso non far
riferimento al mio vecchio "atomo" che sotto la voce Democrazia
cos~ì prosegue "quella forma di governo esercitata dal popolo
direttamente, o più spesso indirettamente, per mezzo di rappresentanze
elettive".
Il potenziamento degli attuali organi direttivi di Internet unito ad una
maggiore rappresentatività degli stessi potrebbe essere una via percorribile
per impedire che in futuro alla domanda cos'è la Democrazia Elettronica non si
debba rispondere: una mera illusione.