Nove punti per
incominciare
Quali "tesi" per la società dell'informazione?
Si apre con questa domanda l'articolo di "Informatica e società" che
ho scritto su MCmicrocomputer n. 161, in edicola dai primi giorni di aprile.
Partendo dalle "tesi" dell'Ulivo, il testo rileva la sostanziale
assenza di un tema così importante dai programmi delle diverse parti politiche
nella campagna elettorale che sta per chiudersi, e propone una serie di punti
che potrebbero far parte del programma di un governo che intenda agire in
sintonia con l'evoluzione dei tempi e nel contesto internazionale, soprattutto
europeo.
Il "pezzo" ha suscitato un certo interesse. Da diverse parti mi è
stato suggerito di ricavarne un intervento per il Forum multimediale. Non vorrei
però debordare dal ruolo di coordinatore, inserendo nel dibattito opinioni del
tutto personali. Preferisco quindi proporre il testo che segue tra gli argomenti
di attualità. È tratto dall'articolo citato, con alcune modifiche suggerite da
ulteriori riflessioni.
Manlio Cammarata, 9 aprile 1996
Premessa
Al vento dell'innovazione non si comanda, e questo ha una forza che pervade
tutta la vita economica e sociale: non bisogna lasciarsi sfuggire l'occasione.
È una rivoluzione che consente all'intelligenza umana di acquisire nuove
capacità e cambia il nostro modo di lavorare e vivere insieme.
(Dal rapporto del Gruppo Bangemann all'Unione Europea)
La società dell'informazione è in via di realizzazione. Una rivoluzione
digitale sta inducendo cambiamenti paragonabili a quelli della rivoluzione
industriale del secolo scorso e la posta in palio, a livello economico, è
altrettanto alta. Ormai non si può interrompere questo processo, che alla fine
porterà ad un'economia fondata sulla conoscenza.
(dal Piano d'azione dell'Unione Europea in risposta al Rapporto Bangemann)
La rivoluzione digitale-multimediale e la costruzione delle autostrade
dell'informazione sono tra le più importanti sfide strategiche che i Paesi
industriali si trovano oggi ad affrontare. Siamo di fronte a una discontinuità
storica che porterà tutte le economie, quelle già sviluppate e quelle in fase
di sviluppo, verso forme completamente nuove di produzione e di consumo.
(Carlo De Benedetti)
Tre citazioni, scelte fra mille, per dare un'idea di quello che avrebbe
potuto essere un programma innovativo e coinvolgente da sottoporre al giudizio
degli elettori il prossimo 21 aprile. Lo stesso progetto che, in ben altro
contesto, ha contribuito a portare Bill Clinton e Al Gore alla Casa Bianca, meno
di quattro anni fa. Ma nessuna formazione politica italiana ha avuto la
lungimiranza di proporlo agli elettori.
Un punto deve essere chiaro: quando si parla di società dell'informazione non
ci si riferisce solo gli aspetti relativi agli aspetti tecnologici ed economici
dei nuovi media e delle infrastrutture di telecomunicazione. Si parla di un
progetto globale, di un nuovo assetto della società con "un'economia
basata sulla conoscenza", secondo l'affermazione del documento dell'Unione
Europea.
Gli effetti positivi dello sviluppo della società dell'informazione sono stati
ripetuti fino alla noia. In estrema sintesi: maggiori possibilità di conoscenza
e di crescita culturale, grandi opportunità di partecipazione democratica,
creazione di nuovi posti di lavoro "strutturali", cioè legati a nuove
iniziative imprenditoriali e non "congiunturali", come quelli che
dovrebbero dervare dal miglioramento dei settori economici tradizionali.
In altri termini, la società dell'informazione è prima di tutto un nuovo
assetto socio-economico. Questo assetto non è futuro, futuribile o soltanto
immaginabile: è già in fase di avanzato sviluppo in tutto il mondo
industrializzato, come dimostrano numerosi dati macroeconomici.
Secondo il rapporto elaborato da Assinform in collaborazione con Nomos
Ricerca (Gartner Group), il settore dell'informatica e delle telecomunicazioni
ha raggiunto nel 1995 un fatturato di 1100 miliardi di dollari a livello
mondiale, ponendosi al primo posto tra tutti i settori industriali. In questo
quadro si deve porre attenzione ad alcuni dati, che mettono in evidenza le linee
dello sviluppo. Negli Stati Uniti la crescita sull'anno precedente è stata del
9,1 per cento, seguiti dall'insieme dell'Europa, compresi i Paesi dell'Est, con
il 6,2 per cento (cito da Il Sole 24 Ore dell'8 febbraio '96). Nel vecchio
continente è in testa la Gran Bretagna (+7,6%), mentre l'Italia è al 3,4. Che
cosa significano questi numeri? Che il maggiore sviluppo si verifica dove c'è
già una base consistente e dove lo sviluppo delle "autostrade
dell'informazione" è già iniziato. Prima di tutto negli USA, (dove
un'efficace regolamentazione del mercato è iniziata dieci anni fa e ha posto le
basi per la recente vastissima liberalizzazione), e poi in Gran Bretagna,
l'unico Paese europeo in cui le telecomunicazioni sono liberalizzate. Gli Stati
Uniti sono la nazione occidentale in cui la diffusione delle tecnologie
dell'informazione ha raggiunto il livello più elevato; sarebbe quindi logico
aspettarsi un tasso di crescita inferiore a quello di altri paesi meno
"informatizzati". Invece, con l'impulso dato in particolare dalla
National Information Infrastructure per lo sviluppo delle
"autostrade", il tasso di crescita è il più alto in assoluto.
Da tutto questo si possono ricavare alcuni punti fermi. Primo: se il fatturato
dell'ITC è il più alto tra tutti i settori industriali, la società
dell'informazione è già iniziata. Secondo: dove è effettivamente iniziato lo
sviluppo della società dell'informazione, la crescita del settore è più
robusta (e questo significa miglioramento dell'economia, delle opportunità di
conoscenza, dell'occupazione). Terzo: se questo sviluppo non viene
immediatamente innescato anche in Italia, il nostro ritardo è destinato ad
aumentare.
Un progetto-paese
Ora il punto è: che cosa si deve fare per far imboccare
"l'autostrada" anche al nostro Paese? Prima di tutto è necessario che
il problema sia ben presente a coloro che si apprestano a governarci per i
prossimi anni. La soluzione di problemi quali il futuro assetto istituzionale,
l'opportunità che questo o quel personaggio si presentino alle elezioni, la
"desistenza" e altri temi di questa campagna elettorale, non ci fanno
fare neanche mezzo passo avanti. È necessario che lo sviluppo della società
dell'informazione diventi un vero e proprio "progetto-paese". Le sue
implicazioni superano quelle relative, per esempio, alla riforma della scuola,
alla costruzione di nuove autostrade, al miglioramento della mobilità nelle
aree urbane, alla protezione dell'ambiente, alla riforma del sistema fiscale o
di quello sanitario. Se si osservano con attenzione tutti questi problemi, si
scopre che essi possono essere inquadrati (e, in qualche misura, ridimensionati)
in un più vasto progetto di sviluppo delle tecnologie dell'informazione e del
loro impiego. Lo sviluppo del telelavoro, della teleistruzione e della
telemedicina, solo per fare alcuni esempi, possono alleggerire non poco il peso
delle riforme nei relativi settori. Diffondere il telelavoro nella pubblica
amministrazione può avere l'effetto di decongestionare il traffico delle grandi
città e migliorarne quindi la qualità ambientale. Dotare ogni scuola di un
accesso a Internet può avere effetti positivi enormi, sia sulla formazione dei
giovani, sia sulla creazione di nuove professionalità e quindi sulle
prospettive di occupazione.
Affinché questo processo possa essere avviato e portato avanti in tempi brevi,
bisogna impostare un progetto globale, un vero e proprio programma di governo,
che coinvolga tutte le forze politiche e produttive. Bisogna coinvolgere i
cittadini, in modo che possano "impadronirsi" del progetto, sfruttarne
i vantaggi, partecipare alla sua evoluzione.
Effetti positivi potrebbero verificarsi soprattutto al Sud. La nuova
occupazione creata dalla "società della conoscenza" è in larga parte
determinata dalla creazione dei contenuti (anche se non si devono trascurare gli
sviluppi occupazionali a breve termine, legati alla costruzione delle
infrastrutture). L'industria dei contenuti ha come materia prima il "brainware",
il cervello, e questa è una risorsa naturale di cui il Mezzogiorno d'Italia è
ricchissimo. Mettere in piedi un'azienda di produzione di titoli multimediali,
tanto per fare un piccolo esempio, richiede un'investimento in
"hardware" estremamente ridotto, in confronto al "brainware"
che serve a creare il valore aggiunto. Se pensiamo a quanti archivi telematici
di risorse ambientali e culturali possono essere creati nelle regioni del Sud,
quanti CD-ROM possono essere prodotti, possiamo immaginare una nuova Magna
Grecia tecnologica. Altro che catene di montaggio, raffinerie e altre iniziative
che da decenni si tenta di insediare in regioni che non hanno una cultura
industriale!
Vincere la tecnoburocrazia
Tutto questo potrà verificarsi se l'iniziativa privata avrà la possibilità di
svilupparsi liberamente. Il che non significa liberismo sfrenato o assenza di
qualsiasi forma di agevolazione o finanziamento. Anzi, si devono studiare e
mettere in atto azioni di spinta, si deve investire sulle risorse umane (e
quindi prima di tutto sull'istruzione), si deve creare un'ambiente favorevole
alla nascita di iniziative "spontanee". Ma ancora prima si devono
eliminare tutti i freni e tutti gli ostacoli che oggi si presentano di fronte a
chi vuole intraprendere qualcosa nel settore dell'informazione, prima di tutto a
causa del perdurare dei monopoli.
Si dirà: l'Unione Europea ha sancito che dal 1. luglio di quest'anno tutte le
infrastrutture e i servizi di telecomunicazioni dovranno essere liberalizzati,
con l'eccezione della telefonia vocale (il cui monopolio cadrà il 31 dicembre
del '97). Quale liberalizzazione? È molto difficile che il Parlamento e il
Governo che usciranno dalle urne il 21 aprile possano regolamentare una materia
così complessa in poche settimane. La liberalizzazione all'inizio sarà
"di fatto", sarà messa in pratica in forza della normativa europea
(cioè dall'assenza di una normativa nazionale) da imprenditori che avranno il
fegato di affrontare ricorsi, contestazioni, cause interminabili. Si farà in
tempo, forse, a emanare qualche "leggina", qualche decreto, che
aumenteranno le difficoltà invece di appianarle. La storia del famigerato
decreto legislativo 103/95 è illuminante: con il pretesto di accogliere la
direttiva europea sulla liberalizzazione dei servizi di telecomunicazioni, ha
posto vincoli e balzelli sugli operatori che agivano, tra non poche difficoltà,
in regime di concorrenza. Con norme già obsolete, e per di più scoordinate e a
volte di segnificato oscuro, il 103/95 ha reso molto difficile la crescita della
"autostrada" per eccellenza, Internet.
Il vero mostro da abbattere, quello che può favorire a tempo indeterminato la
prosecuzione di un monopolio di fatto, è la burocrazia. La stessa burocrazia
che fa le leggi, perché il Parlamento e il Governo hanno spesso la funzione di
notai, soprattutto quando si tratta di norme "tecniche". La burocrazia
che, dopo aver scritto leggi vessatorie, le applica nella maniera più...
burocratica possibile, sovrapponendo regolamenti, circolari e quant'altro riesce
a inventare per alimentare il suo potere.
Tutta la normativa sulle telecomunicazioni deve essere riscritta di sana
pianta, a partire da un nuovo "piano regolatore" nazionale che tenga
conto degli sviluppi della tecnologia e delle sue applicazioni: è recentissimo
l'annuncio che negli USA è stato lanciato il primo software che connette i
centralini telefonici aziendali a tecnologia digitale a un Internet provider,
così si parla con tutto il mondo al prezzo delle telefonate urbane. Proviamo a
immaginare che cosa succederà quando lo scopriranno i nostri burocrati, quanti
"commi" contraddittori riusciranno a combinare per rendere difficile
quello che, acquisita la tecnologia, è fin troppo facile. Nella riscrittura
delle vecchie regole e nell'introduzione di quelle nuove ci deve essere un
denominatore comune, che potremmo chiamare "deburocratizzazione". È
un passo indispensabile, perché il settore delle tecnologie non tollera
lentezze o ritardi: passa un giorno e un'occasione è sfumata.
Il problema della liberalizzazione dei servizi di telecomunicazioni è molto
complesso. Dopo l'approvazione del "Telecommunications Reform Act"
negli Stati Uniti, anche in Italia si sono levate voci favorevoli a una
disciplina molto aperta. È bene considerare che la recente liberalizzazione
americana (sotto alcuni aspetti meno ampia di quanto si vuole far credere)
giunge dopo un decennio di mercato strettamente regolato, che ha reso possibile
la crescita di numerosi competitor e quindi un effettivo regime di concorrenza.
Da noi è opportuno seguire l'esempio del "Telecommunications Act"
dell'86 o, meglio, della collaudata soluzione inglese, anch'essa vecchia di una
decina di anni.
Le leggi da fare
E poiché stiamo parlando di leggi, non dobbiamo dimenticare che altre normative
in materia di tecnologie devono essere emanate con urgenza, oltre a quelle sulle
telecomunicazioni. Ci sono anche testi da rivedere, come il decreto legislativo
518/92 sulla protezione del software, che non prevede la minima tutela per gli
utenti ed è assurdamente punitivo nei confronti di chi commette infrazioni
minori. C'è la legge sul crimine informatico, la 547/93, che ha bisogno di
qualche aggiustamento, anche nella parte relativa alla procedura. Occorrono
anche disposizioni legislative o regolamentari sul documento informatico, sulla
firma elettronica, sui contratti telematici. Si devono avviare, a livello
internazionale, l'emanazione di norme procedurali sul crimine telematico e
l'armonizzazione delle norme penali.
C'è da risolvere il difficile problema della regolamentazione dei contenuti di
sesso e violenza. Per fortuna l'esperienza americana, con le reazioni al Decency
Act, ha indicato la strada giusta, che è l'autoregolamentazione, è c'è da
sperare che non sorgano pericolose tentazioni censorie.
E c'è un legge che attende da almeno un decennio, quella sulla protezione dei
dati personali, che continua a scuscitare polemiche spesso pretestuose. L'ultimo
disegno di legge è decaduto con la fine della XII legislatura, segnando ancora
una volta un grave punto a sfavore del nostro ordinamento nei confronti di
quelli degli altri Paesi comunitari e ritardando ancora l'ingresso dell'Italia
nello "spazio comune europeo". La protezione delle informazioni
personali è una componente essenziale di una democrazia moderna, tanto più
importante quanto più è pervasiva la presenza di banche dati informatizzate e
interconnesse. È essenziale che un disegno di legge venga presentato alle nuove
Camere più presto possibile. Un disegno di legge "nuovo", che tenga
conto della necessità di non ostacolare inutilmente alcune attività
economiche. È vero che le più recenti stesure del tormentato progetto erano
decisamente migliori del testo originario del "1901 bis", ma molti
problemi restavano aperti. Primo fra tutti quello della previsione di un
successivo provvedimento, un decreto legislativo che avrebbe dovuto completare
la legge-base, con esenzioni e semplificazioni per talune categorie di
operatori. Poiché questi aspetti sono stati ormai sviscerati a sufficienza,
sarebbe bene che il nuovo disegno di legge prevedesse in un sol colpo regole ed
eccezioni, assegnando al Governo gli eventuali aggiustamenti che si rivelassero
necessari dopo il primo periodo di applicazione. Mentre la strada della
normazione in due tempi prevista dai 1901 bis e ter potrebbe causare situazioni
penalizzanti per molti operatori, in attesa delle regole "di
alleggerimento".
Non basta. La normativa sulla protezione delle informazioni deve essere
connessa, anzi presuppone, una normativa sulla sicurezza dei sistemi
informativi. Non ha senso obbligare il titolare di una banca dati a mantenere
riservate certe informazioni, quando un estraneo può impadronirsene e
diffonderle "hackerando" il sistema o un addetto al sistema stesso può
fare di peggio, infischiandosi della segretezza della propria password.
La materia è di una complessità spaventosa. Ecco un piccolo esempio:
un'azienda italiana dispone di una banca dati contenente informazioni protette
ai sensi della (futura) legge sui dati personali, ma il sistema informatico è
installato in uno Stato estero, anche se l'accesso è possibile solo
dall'Italia: è "esportazione" di dati? Chi può legalmente
"perquisire" quel "domicilio informatico"?
Ma intanto, per i nostri politici, il problema è la "par condicio",
che ciascuno vorrebbe a suo favore, cioè "impar". Il problema si pone
perché le limitate risorse di banda per le trasmissioni terrestri sono
distrubuite in maniera iniqua. Dunque si deve mettere mano al riassetto del
sistema televisivo. Quale assetto televisivo? Nel tempo che potrebbe essere
necessario a dettare le nuove regole per la televisione terrestre, saremo invasi
dalle emissioni satellitari. E se ci saranno problemi di "par condicio"
anche via satellite, essi saranno risolti giusto in tempo per l'avvento della TV
via cavo...
Nove punti per incominciare
Descritto, con le inevitabili approssimazioni il quadro di riferimento, ecco la
proposta. Non è un "decalogo", e non solo perché i punti sono meno
di dieci, ma perché è solo uno schema, un elenco di cose che si devono fare e
forse si possono fare anche in forme diverse da quelle indicate. Insomma, è un
punto di partenza per una discussione o, se preferite, una provocazione.
1. È urgente procedere alla effettiva liberalizzazione dei servizi di
telecomunicazioni, secondo le indicazioni dell'Unione Europea. Bisogna
determinare nel più breve tempo possibile i modi dell'apertura del mercato, sia
per quanto riguarda le infrastrutture, sia per quanto riguarda i servizi. Va
stabilita, ove sia necessaria, una regolamentazione, di tipo
"asimmetrico", per evitare la nascita o il consolidamento di posizioni
dominanti. È di fondamentale importanza semplificare le norme
tecnico-burocratiche e sfruttare le tecnologie per rendere più efficaci le
procedure amministrative. La già prevista Autorità indipendente per
l'informazione dovrebbe essere divisa in due settori: uno per le infrastrutture
e uno per i contenuti. Quest'ultimo potrebbe assumere le funzioni dell'attuale
Garante per l'editoria, con maggiori poteri e più ampia dotazione di risorse
economiche, tecnologiche e di personale qualificato. 2. Va costituita una "Consulta per la società dell'informazione",
con compiti non molto dissimili da quelli della National Information
Infrastructure statunitense. Dovrebbe essere composta da persone di provata
esperienza nei settori interessati (tecnologie dell'informazione, diritto,
editoria, scuola ecc.) e indipendenti dal potere politico, che elaborino studi e
progetti di largo respiro. La Consulta non dovrebbe avere una sede fisica
definita, ma lavorare on-line, sperimentando così direttamente i diversi
aspetti delle proprie indicazioni. Dovrebbe aprire un apposito sito WWW fin dai
primi giorni dell'attività di governo, per instaurare un dialogo con il maggior
numero possibile di cittadini (si veda, appunto, il sito della National
Information Infrastructure). 3. È necessario che l'accesso a Internet sia regolamentato come un servizio
di pubblico interesse, con tariffe "sociali" orientate ai costi
effettivi determinati dalle nuove tecnologie delle reti (esempi in Francia,
Spagna, Finlandia, Germania, per non parlare della recente iniziativa di
AT&T, che in America offre gratis un accesso di base). Si deve tener
presente che l'imminente liberalizzazione delle TLC può comportare un notevole
ribasso delle tariffe del trasporto dei dati, fino alla prospettiva a medio
termine di listini "americani" (che, come è noto, sono fino a dieci
volte più bassi di quelli italiani). In quest'ambito dovrebbero essere
particolarmente favoriti i progetti "dal basso", come quelli delle
reti civiche e del volontariato. La nascita delle reti civiche deve essere
incoraggiata soprattutto nel Mezzogiorno e nelle zone meno sviluppate, per
accelerare la "alfabetizzazione telematica". 4. Una particolare attenzione deve essere rivolta al mondo della scuola e
dell'università. L'accesso a Internet deve essere considerato essenziale in
tutti gli ordini di scuole. Nelle università deve essere aumentato il numero
dei corsi di laurea in tecnologie dell'informazione. L'informatica giuridica e
il diritto delle tecnologie dell'informazione devono costituire un
raggruppamento di materie autonomo nell'ambito del CUN e il loro insegnamento
deve essere considerato fondamentale nel corso di laurea in giurisprudenza. 5. Le istituzioni devono comunicare con i cittadini anche attraverso
Internet. Il Parlamento, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e tutti i
ministeri devono aprire i rispettivi "siti" e fornire tutte le
informazioni possibili (si veda l'esempio del Ministero delle Finanze). Tra le
iniziative più urgenti va inserita la ristrutturazione dei servizi telematici
della Corte di Cassazione e del Poligrafico dello Stato, per assicurare ai
cittadini l'accesso facile e gratuito, attraverso il Web, ai testi legislativi.
È importante che anche le imprese possano disporre in rete dei testi normativi
europei; in particolare devono essere accessibili le norme sul commercio, le
informazioni sulle facilitazioni concesse alle aziende che operano su scala
europea, i bandi degli appalti comunitari, le norme ISO, la cui consultazione
arricchisce oggi i privati. 6. Si deve accelerare la costruzione della rete della pubblica
amministrazione (l'AIPA ha completato lo studio di fattibilità) e favorirne
l'interconnessione con Internet, per l'accesso dei cittadini alle informazioni
pubbliche e per lo svolgimento delle "pratiche" per via telematica. A
questo scopo è urgente emanare provvedimenti legislativi sulla "firma
elettronica" e sui requisiti del "documento digitale", con la
contemporanea semplificazione delle procedure burocratiche. 7. Ancora più urgente è l'approvazione di una legge sulla protezione dei
dati personali e sulla sicurezza dei sistemi informativi, che possa andare a
regime in tempi brevissimi. Rispetto al progetto decaduto con la fine della XII
legislatura, la nuova legge dovrebbe prevedere (da subito, e non rimandando a un
futuro decreto legislativo) norme di semplificazione burocratica e regole che
non rendano eccessivamente gravosa la sua applicazione a particolari situazioni,
come i rapporti interbancari. 8. È necessario disegnare subito un nuovo assetto del sistema
radiotelevisivo, che tenga conto degli sviluppi dei nuovi media e possa
adeguarsi rapidamente a un contesto in continuo e rapido mutamento. Devono
essere individuati e regolati compiti del servizio pubblico radiotelevisivo e
dell'informazione pubblica attraverso tutti i media. Si devono stabilire quali
servizi di informazione sono di pubblico interesse e si devono dettare regole
conseguenti per assicurarne l'accesso a tutti i cittadini. Sulla base di queste
premesse bisogna stabilire i criteri per la nomina e il funzionamento di un
consiglio di amministrazione della Rai totalmente svincolato dal potere politico
e sottoposto alla sola vigilanza dell'Autorità per l'informazione. 9. È importante favorire la nascita di imprese destinate alla produzione di
contenuti multimediali, in particolare nel Mezzogiorno. Attraverso misure di
alleggerimento fiscale e burocratico si può incoraggiare la diffusione dei
nuovi mezzi di comunicazione soprattutto nelle zone di minore sviluppo
economico, con la conseguente creazione di nuovi posti di lavoro.
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