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 A futura memoria

In questa sezione di InterLex sono raccolti vecchi articoli, pubblicati originariamente su carta, che per un motivo o per l'altro tornano di attualità
Dalla scartoffia al CD-ROM
di Manlio Cammarata - Novembre 1991

(Da MCmicrocomputer n. 101)

In fila davanti a uno sportello. Per sentirsi dire che occorre un certificato. Fare un'altra fila per richiederlo, in un secondo ufficio all'altro capo della città. Ancora una fila per ritirarlo. Un'altra ancora per presentarlo al punto di partenza, con in più la rabbia di sapere che le informazioni contenute in quel pezzo di carta potrebbero essere acquisite in pochi secondi, dal momento che i terminali che abbiamo intravisto al di là degli sportelli sono, o potrebbero essere, collegati tra loro.
Forse questo inutile gioco dell'oca sta per finire.
Perché la pubblica amministrazione italiana sembra aver imboccato con decisione e chiarezza di vedute la strada di un'informatizzazione coordinata di tutti gli uffici, con l'obiettivo di un netto miglioramento della qualità dei servizi e del rapporto con i cittadini.
Una serie di disposizioni legislative ha dato l'avvio a una rivoluzione che, se non verrà fermata, proietterà le strutture dello Stato italiano, nel giro di pochi anni, dal Medioevo al 2000.
Ne abbiamo parlato con due fra gli ideatori di questo grande progetto - le interviste sono nelle prossime pagine - e siamo andati anche a visitare uno dei nuovi, avanzatissimi centri informativi della pubblica amministrazione.

Ma prima vediamo di fare un po' di storia, e di capire qual è la situazione, mentre ci avviciniamo alla fine di questo 1990, che potrebbe essere ricordato in futuro come l'anno chiave della rivoluzione informatica dello Stato italiano.

"Le Amministrazioni pubbliche, qualora economicamente conveniente anche in relazione alla maggiore efficienza ed efficacia dei servizi, acquisiscono, conservano ed elaborano dati e informazioni limitatamente alle competenze loro attribuite, nonché archiviano corrispondenze e documenti, mediante utilizzo di sistemi a tecnologia avanzata, comunque idonei a garantire la conformità e la segretezza, con eliminazione dei supporti cartacei".

Se la faticosa lettura della prosa ministeriale non vi ha fatto balzare agli occhi la novità rivoluzionaria del progetto, sostituite le parole "supporti cartacei" con il più familiare termine "scartoffie"...
Dunque la novità è questa: in Italia sta per essere abolita la pubblica scartoffia. Ma sarà poi vero?
Il testo in questione fa parte di un schema di disegno di legge elaborato dal Dipartimento per la Funzione Pubblica, non come astratto esercizio di fantapolitica, ma come logica conseguenza di altre importanti disposizioni già emanate e di progetti già operativi. Dunque si tratta di proposte concrete, che per essere attuate hanno bisogno solo di... soldi. È necessario cioè che la legge finanziaria per il 1991 stanzi i fondi che sono indispensabili per non fermare la corsa alla modernizzazione dell'azienda-stato.

Una corsa iniziata negli anni '70 in presenza di una regolamentazione inadeguata, una circolare del 1968 emessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri sul coordinamento dell'attività dei centri meccanografici. Quindi all'epoca in cui l'EDP era quasi agli albori, e la scheda perforata a trattamento meccanico era un deciso passo avanti rispetto all'elaborazione manuale. Più tardi le diverse amministrazioni incominciarono a dotarsi di strumenti informatici soprattutto per esigenze gestionali, come la contabilità o il personale, e trascurarono completamente sia l'aspetto dei rapporti tra amministrazioni diverse, quindi con standard e procedure non compatibili, sia il problema dei rapporti con i cittadini. Fu data maggiore importanza all'acquisto delle macchine che alla effettiva modernizzazione dei servizi e alla riqualificazione del personale: in pratica non furono sfruttate le nuove possibilità offerte dai sistemi informatici, ma si applicarono le vecchie, farraginose procedure ai nuovi sistemi computerizzati.

Un decreto per incominciare

Solo a partire dal 1980 il Provveditorato Generale dello Stato, l'organo che sovrintende agli acquisti delle pubbliche amministrazioni, emetteva una serie di circolari con indicazioni di specifiche, metodi e procedure per la progettazione, la realizzazione e la gestione di sistemi informativi automatizzati.
Nel 1983 veniva costituito il Dipartimento della Funzione Pubblica, al quale veniva affidato anche il compito di coordinare lo sviluppo informatico della pubblica amministrazione. E l'anno dopo nasceva la "Commissione per l'Automazione nelle Amministrazioni Pubbliche".
Nel febbraio 1989 la Commissione partoriva quello che tra gli addetti ai lavori è noto come il "decreto Pomicino", dal nome dell'allora Ministro per la Funzione Pubblica, convinto assertore della necessità di un rapido aggiornamento della macchina burocratica. Il decreto, che si intitola "L'automazione delle pubbliche amministrazioni: coordinamento delle iniziative e pianificazione degli interventi", ha introdotto alcune novità di grandissima importanza, tanto che può essere considerato il vero punto di svolta nella concezione della macchina statale come organismo che eroga in modo coordinato un complesso di servizi per i cittadini, attraverso l'impiego di sistemi informatici.
Fra l'altro, il decreto Pomicino impone alle diverse amministrazioni di dotarsi di piani triennali di automazione, stabilisce che "La documentazione amministrativa delle amministrazioni pubbliche è redatta in modo da permetterne la memorizzazione e la ricerca con procedure automatizzate" e detta una serie di altre norme che delineano il primo progetto organico dello Stato in campo informatico.

Questo è il punto di partenza. Il secondo passo porta la data del 4 agosto 1989: una ponderosa circolare di attuazione del decreto Pomicino è firmata dal suo successore, Gaspari, e si intitola "Coordinamento delle iniziative e pianificazione degli investimenti in materia di automazione nelle amministrazioni pubbliche". La circolare Gaspari, fra l'altro, prevede l'avvio di sette "progetti intersettoriali" per lo studio e la realizzazione di sistemi destinati a diversi settori, come il controllo fiscale, la gestione dei servizi tecnici, del territorio e dell'ambiente, e l'integrazione delle informazioni di carattere previdenziale e contributivo.

La partenza col piede giusto

Ma sono i primi due progetti che forniscono la chiave di lettura del provvedimento: al primo punto c'è la formazione dei pubblici dipendenti, al secondo la standardizzazione e l'interconnessione delle informazioni individuali e l'attivazione dei centri di servizi per i cittadini. Questo significa da una parte l'indispensabile integrazione tra uomini e macchine, che costituisce la base dell'efficienza dei sistemi basati su tecnologie avanzate, e dall'altra la possibilità per il cittadino di accedere ai diversi servizi con l'efficacia e la velocità che sono caratteristiche dei sistemi informatizzati.

Il 21 maggio di quest'anno ecco un'altra circolare: "Indirizzi di normalizzazione nell'area delle tecnologie dell'informazione nella pubblica amministrazione". Cioè l'adozione di standard comuni e quindi la fine dell'incomunicabilità informatica tra i diversi uffici, non solo nella pubblica amministrazione nazionale, ma in un ottica di integrazione europea.
La lettura di questo documento offre diverse piacevoli sorprese, a partire dal linguaggio, che sembra volersi allontanare dai contorsionismi del burocratese e accoglie con sorprendente indifferenza, senza neanche le virgolette, termini come word processing, software, directory...

E ora non ci resta che aspettare la legge anti-scartoffie, quella che potrebbe rendere più efficiente la macchina statale e portare, fra l'altro, all'abolizione dei certificati e dei conseguenti mugugni del cittadini perennemente in fila davanti a uno sportello.
Come avverrà questo cambiamento? Lo abbiamo chiesto a due super-esperti: il dottor Giancarlo Scatassa, presidente della Commissione per il coordinamento dell'informatica nella pubblica amministrazione, e il professor Donato A. Limone, docente di informatica giuridica e membro della stessa commissione, con particolare competenza per l'informatizzazione degli enti locali.

Sette domande per sette progetti

Intervista al presidente della Commissione per l'informatica nella pubblica amministrazione

Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha l'atmosfera di tanti ministeri romani: un antico palazzone di aspetto severo, con un minaccioso sistema di sicurezza all'ingresso, vetri antiproiettile, una fila di cabine come gli ingressi delle banche, doppie porte, luci rosse, citofoni, guardie armate.
Ma l'usciere mi dice: terzo piano, senza guardarmi in faccia, senza chiedermi un documento, e mi indica un passaggio che aggira l'ingresso di sicurezza...
I soliti corridoi sterminati, le solite stanze zeppe di carte, con impiegati che sembrano passare il tempo a puntellare pigramente le cataste di "pratiche" sempre pericolanti sullo loro scrivanie
Ma qui ci deve essere qualcosa di diverso. È bastata una sola telefonata per ottenere l'appuntamento per l'intervista, e questo è decisamente insolito. Mi dispongo alla prevista, lunga anticamera (...il dottore si scusa, una riunione improvvisa...) e invece dopo pochi attimi sono davanti al dottor Giancarlo Scatassa, direttore generale del Dipartimento e presidente della Commissione per l'Automazione delle Ammistrazioni Pubbliche. Per gli amici, semplicemente, la Commissione Informatica.
Con l'aspetto e i modi più del giovane manager che del burocrate, il dottor Scatassa è subito disponibile per rispondere alle molte curiosità suscitate dalle iniziative del Dipartimento.

MC: Dottor Scatassa, l'ultimo schema di disegno di legge elaborato dalla Commissione informatica, parla, fra l'altro, di "eliminazione dei supporti cartacei". Lei crede che sia possibile, in tempi ragionevoli, che dall'amministrazione dello Stato scompaiano le scartoffie?

Scatassa: Se lei dice "dall'ordinamento", mi piace; dalla burocrazia, è più difficile. Il problema è di mentalità. Noi dobbiamo superare il nostro modo di pensare. Non sono problemi tecnologici o normativi, ma di comportamento. Per questo credo che sarà necessaria una mobilitazione culturale, mi lasci usare questa espressione. Però io sono fiducioso, perché il burocrate in fondo è affezionato a qualche cosa che è il suo costume, il suo modo di lavorare. Ma quando gli si fa capire che quello che gli si propone migliora il suo lavoro, e non lede il suo prestigio, allora il burocrate recepisce. Ecco, io ipotizzo una maggior ricettività al nuovo da parte del burocrate che da parte del privato. Insomma, la pubblica amministrazione è farraginosa, ma quando il burocrate viene pungolato nel modo giusto, reagisce bene: è un'esperienza che abbiamo già fatto. Non basta la legge per cambiare le cose. Accanto alla legge, opportune opere di sensibilizzazione possono fare molto. Lo abbiamo visto con la legge sull'autocertificazione (la legge che consente al cittadino di dichiarare a un pubblico funzionario dati e situazioni personali, senza doversi procurare ogni volta il relativo certificato, ndr): nel '68 ci eravamo limitati a fare la legge e a pubblicarla sulla Gazzetta Ufficiale, ed è stata a lungo inapplicata. Oggi, dopo un'opportuna opera di sensibilizzazione dei burocrati e dei cittadini, abbiamo un tasso di applicazione molto alto.

MC: Allora è vicino il momento in cui il cittadino non dovrà più impiegare tempo prezioso per fornire all'amministrazione notizie di cui l'amministrazione stessa è già in possesso?

Scatassa: Questo è l'obiettivo. Ripeto, sono fiducioso che, in tempi certamente non brevi, arriveremo, se non all'eliminazione, almeno a una notevole riduzione del mare di carta nel quale oggi affoga Roma, la città dei ministeri. Oggi si devono fare grandi lavori, bonifiche di immensi sotterranei, perchè ci sono leggi che obbligano le amministrazioni a conservare tutto per dieci anni... Con un "juke box" di compact disc, risolviamo il problema in uno spazietto come un armadio!

MC: Dunque bisogna partire da una fase molto delicata: l'aggiornamento professionale dei burocrati di oggi, la formazione di quelli di domani. Che cosa state facendo in questa direzione?

Scatassa: Noi annettiamo un'importanza fondamentale al problema delle risorse umane. Senza risorse umane formate, senza una mentalità nuova, i discorsi tecnici non servono a nulla. Questo è il punto preliminare, e per questo il primo dei sette progetti intersettoriali riguarda appunto la formazione. Se nel '91 i progetti potranno essere avviati, noi creeremo una serie di centri di formazione non tanto di specialisti, analisti o programmatori (non ne servono molti), ma per trasformare i burocrati in utenti di servizi informatizzati. Pensiamo di far partire un grande piano di formazione, con moduli didattici moderni, come l'autoistruzione assistita dal computer, sfruttando tutte le esperienze in questo campo, non solo pubbliche, ma anche private, e servendoci anche dei centri di formazione delle società di informatica. Ma, naturalmente, con moduli didattici studiati da noi. Il progetto di formazione sarà finalizzato soprattutto a far acquisire le tecniche moderne, le potenzialità del mezzo informatico. Non serve a niente trasformare in analisti o in programmatori tutti i funzionari, bisogna trasformarli in "utenti". Dal dirigente generale all'impiegato di concetto, tutti dovranno avere, nella pubblica amministrazione, l'idea di che cos'è un computer. Il vecchio e il nuovo burocrate dovrano adeguarsi a nuove procedure.

MC: A proposito di nuovi burocrati, l'informatica fa già parte della loro formazione?

Scatassa: La Scuola superiore della pubblica amministrazione già da quest'anno ha messo l'informatica in tutti i programmi, sia in fase di reclutamento, sia in fase di formazione e di aggiornamento. Stiamo lavorando con il Ministero della pubblica istruzione perché nelle scuole venga attuato un insegnamento di informatica. Nei nostri concorsi, in tutti i bandi saranno richieste conoscenze di informatica.

MC: Fermiamoci, per il momento, al 1990, e cioè a oggi: a che punto è il processo di informatizzazione della pubblica amministrazione? Ci sono risorse sufficienti?

Scatassa: Negli anni passati abbiamo consentito che si spendessero dodicimila miliardi per l'acquisizione di nuove tecnologie senza alcun coordinamento: un miliardo a questo ministero, due miliardi a quest'altro. Spezzoni, segmenti di informatica, che messi insieme non significano nulla. Non si è speso poco, si è speso male. Su cento lire che si spendono in Italia per l'informatica nel complesso di tutti i settori produttivi, circa diciotto sono per la pubblica amministrazione. E si deve notare che nei Paesi "che contano" non si spende molto di più: negli Stati Uniti intorno a venti lire, come in Gran Bretagna, in Germania e in Francia. Quindi non c'è il problema di aumentare notevolmente le risorse, il problema è che le venti lire spese in Francia sono produttive, perché sono impiegate secondo criteri di pianificazione, mentre qui sono disperse in un mare di iniziative, molte volte ripetitive. Chissà quanti miliardi si sono spesi per creare applicazioni per la gestione del personale da parte di diverse amministrazioni, mentre bastava creare un solo sistema da distribuire? E molte applicazioni del Ministero delle Finanze, studiate dalla società che si occupa dell'informatica per quel ministero, non potrebbero essere messe a disposizione di altre amministrazioni? Invece può succedere che un'altra società, per un altro ministero, rincominci da capo inventando un sistema diverso.
Quindi non si tratta soltanto di incrementare le risorse: i duemila, duemilatrecento miliardi che si spendono adesso, non dico che siano sufficienti, però non sono poca cosa. Il problema è spendere questi soldi secondo un programma organico, in cui ogni iniziativa sia coerente con un disegno complessivo. I progetti intersettoriali vanno proprio in questa direzione: non è più pensabile che ogni regione continui a farsi il suo sistema di cartografia più o meno automatizzato, con gli standard più disparati. Facciamo invece un prototipo che possa servire per tutti e che consenta lo scambio di informazioni, in quanto basato su uno standard unificato.

MC: Dunque la Commissione informatica si presenta come un centro di coordinamento delle iniziative dei diversi enti nel campo dell'ammodernamento dei servizi?

Scatassa: È importante capire che noi, come Commissione e come Dipartimento per la funzione pubblica, non vogliamo entrare nell'aspetto gestionale, occuparci di contratti o di appalti. Questi aspetti rimangono di competenza dei singoli enti. Noi vogliamo collocarci a monte di questi fatti. E abbiamo avuto risposte positive: in autunno sarà formalizzato un accordo tra il Dipartimento e tutte le Regioni, per cui le iniziative regionali verranno coordinate con le nostre. Pensiamo di fare la stessa cosa con i Comuni e con lo Stato. Questo è il nuovo modo di fare informatica.
Facciamo un esempio. Il sistema informativo della Motorizzazione civile è nato per le esigenze del Ministero dei trasporti, ma senza tener conto che la patente viene rilasciata dal Ministero dell'interno, dai Prefetti. Allora, perché il servizio al cittadino fosse efficace, oltre che efficiente, si doveva stabilire in fase progettuale, non solo un sistema che risolvesse le esigenze del Ministero dei trasporti, ma che potesse completare il ciclo del servizio. A quel tempo sembrava normale che il Ministero dei Trasporti facesse il proprio sistema informativo, e il Ministero degli interni il suo: con il risultato che il trasporto del documento elaborato elettronicamente avviene ancora con sistemi tradizionali, e per avere la patente bisogna aspettare un mucchio di tempo. Quindi, nel progetto di ogni grande sistema bisogna tener presente un obiettivo principale: il cittadino. Va bene risolvere l'esigenza specifica dell'amministrazione, ma prevedendo tutta la serie di passaggi e di interconnessioni in modo che il cittadino sia il vero beneficiario dell'innovazione. Lo ripeterò fino alla noia: è questo il modo nuovo di impiegare l'informatica nella pubblica amministrazione. Sembra banale, ma nessuno prima ci aveva mai pensato.

MC: Un'ultima domanda: quanto tempo ci vorrà perché il cittadino che oggi ciabatta da uno sportello all'altro con le sue pratiche e i suoi certificati, possa accorgersi del cambiamento?

Scatassa: Il problema è di volontà politica. Il Dipartimento della funzione pubblica ha avuto idee abbastanza valide su quello che si deve fare, ha studiato grandi progetti d'informatizzazione: se queste idee troveranno, a livello di volontà politica, un supporto convinto, nel senso di assegnazione di risorse certe, di finanziamenti, allora potremo andare avanti. I sette progetti, se potranno essere realizzati nel '91, saranno sette grandi risorse acquisite definitivamente. Ma, se per ragioni di spesa pubblica venissero meno le risorse, se qualcuno dicesse che l'informatica è "un lusso" che può essere rimandato a tempi migliori, noi vivremmo ancora cinquant'anni così. Per questo darò una risposta franca alla sua domanda: subito, o mai.

La carta elettronica del cittadino

Intervista a Donato Limone
Esperto di informatica degli enti locali

Viaggio nel futuribile: ogni cittadino ha in tasca una tessera elettronica, come una carta di credito col microprocessore incorporato. Nella memoria della carta ci sono tutti i dati del proprietario. Nascita, stato civile, certificato penale, dati catastali delle proprietà, posizione fiscale, dati sanitari... tutto, naturalmente, protetto da codici segreti praticamente inviolabili, che garantiscono la riservatezza delle informazioni.
A che serve? Facciamo un esempio: ho bisogno di un mutuo, o di stipulare un'ingente polizza di assicurazione. Invece di presentare un plico di certificati anagrafici, la fedina penale, l'iscrizione alla Camera di commercio, gli estratti catastali, il modello 740, e chi più ne ha più ne metta, consegno all'addetto la mia carta elettronica. Questi la inserisce nell' apposito lettore, ed ecco tutte le informazioni, in tempo reale e con il valore legale dei singoli certificati. Attenzione, se ottengo il mutuo, questo può a sua volta essere registrato sulla carta, così non posso chiederne un altro prestando le stesse garanzie...
Fantascienza? No, dal punto di vista della tecnologia non ci sono problemi. Le carte a microprocessore sono una realtà, i terminali connessi in tempo reale a grandi banche dati sono ormai roba di tutti i giorni, basta pensare al Bancomat.
Se la tecnologia è pronta, il resto del "sistema" in molti casi arranca tra norme antiquate, sospetti, procedure incomprensibili. A qualcuno è capitato, presentandosi a uno sportello dell'INPS con tanto di documento di riconoscimento, di sentirsi chiedere il "certificato di esistenza in vita". Sarà forse perché gli impiegati non sanno distinguere un cittadino vivo da un morto che cammina?
In realtà i problemi sono molti e seri, tanto che a prima vista non sembra possibile che lo scenario futuribile che abbiamo tratteggiato possa diventare molto presto realtà.
Per fare il punto sulla situazione abbiamo posto una serie di domande al professor Donato A. Limone, docente di informatica giuridica nell'Università di Camerino e membro della Commissione per l'automazione della pubblica amministrazione, all'interno della quale si occupa in particolare dei problemi dell'informatizzazione negli enti locali. Il che significa anche dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini.

MC: Professor Limone, la tecnologia elettronica ci offre strumenti efficaci per migliorare i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, e questa sembra intenzionata a servirsene, con un vasto programma di ammodernamento delle proprie strutture. Fra i diversi progetti, suscita un notevole interesse quello della "carta del cittadino", una tessera elettronica che dovrebbe porre fine a tutti i problemi di certificazione, e quindi semplificare enormemente la vita di tutti noi. Vorremmo sapere se esiste già un progetto definito, quale potrà essere la natura di questa carta elettronica, quando potremo servircene.

Limone: La carta elettronica del cittadino rientra nel secondo dei sette progetti intersettoriali definiti dalla "Circolare Gaspari" dell'agosto '89, progetto che si intitola "Standardizzazione dei dati individuali ed organizzazione dei servizi". Il progetto è stato finanziato ed è già in fase operativa: all'inizio dell'estate è stata firmata, dopo una regolare gara d'appalto, una convenzione tra il Dipartimento della funzione pubblica e la la Syntax, società di software del gruppo Olivetti. La Syntax realizzerà alcuni prototipi di sportelli polifunzionali in diverse città italiane, che consentiranno di verificare tutti i problemi connessi all'introduzione dei nuovi strumenti, e quindi di aprire la strada per la carta del cittadino. Perché è chiaro che la carta non può esistere senza una struttura di appoggio.

MC: Cerchiamo di chiarire il concetto di "sportello polifunzionale" e i problemi che esso pone.

Limone: Si tratta di uno sportello unico, al quale il cittadino può rivolgersi per qualsiasi esigenza di scambio di informazioni con la Pubblica Amministrazione, per ottenere ogni tipo di certificato, dallo Stato civile al Casellario penale, alla Camera di commercio, al Servizio sanitario nazionale. Naturalmente nei casi in cui il certificato gli serva per rapporti con terzi, perché la certificazione da presentare alla Pubblica Amministrazione sarà abolita: se il Comune, con i registri dell'Anagrafe, dispone già dei miei dati, perché devo presentare lo stato di famiglia per iscrivere i bambini a scuola? Con l'interconnessione telematica tra i diversi uffici, ogni organismo pubblico potrà procurarsi tutti i dati che gli servono, in tempo reale. Il vantaggio per i cittadini sarà enorme. Però ci sono alcuni problemi da risolvere: la certificazione è un'attività degli uffici pubblici regolata da diverse leggi nate prima dell'era telematica, leggi che devono essere adeguate ai nuovi mezzi.
Prendiamo, per esempio, il certificato del Casellario Penale: la vecchia legge prescriveva che esso andava richiesto nel luogo di nascita del cittadino, e se questo si era trasferito in un'altra città, la procedura diventava lenta e costosa. Ora tutti i casellari penali sono elettronici e connessi tra loro, e la legge è stata modificata affinché da qualsiasi ufficio giudiziario i certificati possano essere richiesti per via telematica, e quindi in tempo reale, a tutti i casellari italiani. Ma non è ancora sufficiente, perché la validità del certificato è data dalla firma autografa del Cancelliere, così come il certificato anagrafico è valido se è firmato dal Sindaco o da un suo delegato. Ora non è pensabile che dietro ogni sportello elettronico ci sia una schiera di funzionari che firmano pezzi di carta (il progetto che la Syntax sta realizzando prevede che ogni sportello sia collegato con almeno dodici diverse amministrazioni!) e quindi bisogna cambiare la legge: il momento della certificazione va spostato all'indietro, dalla compilazione del documento, all'archivio stesso. Cioè l'informazione deve essere considerata certa non perché porta una firma a penna, ma perché proviene da una determinata fonte.

MC: Ma questo rende più facile la falsificazione dei documenti!

Limone: No, perché la legge prevederà anche i mezzi per rendere il documento elettronico difficilmente falsificabile, come l'uso di carta filigranata e un timbro a secco, in rilievo, apposto dal terminale stesso. In questo modo falsificare un certificato sarà "difficile" come falsificare le banconote. Bisognerà mettere a punto anche questioni tecniche, come la standardizzazione dei dati e dei protocolli di comunicazione. Solo dopo che saranno risolti tutti questi problemi si potrà passare all'introduzione della carta elettronica del cittadino, cioè a una sorta di certificato globale che ciascuno possa avere con sè al momento opportuno.

MC: Quindi dobbiamo prevedere tempi lunghi...

Limone: Non molto, perché il prototipo dello sportello polifunzionale sarà pronto entro il '91, come la carta a microprocessore che, nell'ambito dello stesso progetto, sarà sperimentata in Valle d'Aosta per tutti gli utenti del Servizio sanitario. Poi sarà una questione di volontà politica: se veramente si vorrà modernizzare la macchina dello Stato bisognerà stanziare i finanziamenti necessari.

MC: Dodici amministrazioni collegate a un solo terminale! Sembra fantascienza. Ma le amministrazioni sono pronte per essere collegate?

Limone: Più di quanto si pensi, a parte il problema della standardizzazione, che sarà definito a mano a mano che procederà il progetto del prototipo di sportello polifunzionale. Oggi la maggior parte dei Comuni ha completato l'informatizzazione di servizi più importanti, e nelle città più grandi è operante anche il collegamento con le banche dati dell'INPS. Per la parte fiscale, molti Comuni possono già accedere all'Anagrafe tributaria e scambiare informazioni sulle posizioni dei singoli cittadini. I casellari penali sono completamente informatizzati, come le Camere di commercio. Anche la trasformazione dei registri del Catasto, almeno per i centri più importanti, sarà cosa fatta entro il prossimo anno.

MC: Allora, quando potrò presentarmi a un solo sportello per avere il certificato di residenza, la fedina penale, e il certificato della Camera di Commercio?

Limone: Subito, qui a Roma, alla prima Circoscrizione. C'è uno sportello polifunzionale sperimentale che funziona da più di un anno. C'è anche il Cancelliere che firma i certificati...