Pagina pubblicata tra il 1995 e il 2013
Le informazioni potrebbero non essere più valide
Documenti e testi normativi non sono aggiornati

 

 A futura memoria

In questa sezione di InterLex sono raccolti vecchi articoli, pubblicati originariamente su carta, che per un motivo o per l'altro tornano di attualità
La situazione italiana nella sfida multimediale
Da MCmicrocomputer n. 150 - aprile 1995

Un'indagine della Commissione industria del Senato

I politici incominciano ad accorgersi delle novità. Finalmente disponiamo di un'analisi abbastanza completa e verosimile della situazione italiana: da dove si parte, chi saranno gli attori nella prima fase del cambiamento, quali ostacoli si dovranno superare per partecipare alla costruzione dell'Infrastruttura Globale dell'Informazione.

di Manlio Cammarata

Nei mesi scorsi ho scritto che i politici italiani non si occupano dei temi della società dell'informazione, che "il legislatore dorme". Ho sbagliato per mancanza di informazioni. Infatti, dal 2 agosto '94 al 7 febbraio '95, l'ottava Commissione permanente del Senato "Lavori pubblici, comunicazioni" ha svolto una "Indagine conoscitiva in materia di multimedialità", i cui risultati sono stati riassunti in una relazione consegnata alla Presidenza il 9 febbraio.
La notizia in sé non è particolarmente importante, perché una relazione su un'indagine conoscitiva non ha alcuna efficacia giuridica e non risolve alcuno dei molti problemi aperti; tuttavia il documento parlamentare riveste un notevole interesse perché è la fotografia della situazione italiana alla vigilia della conferenza del G7 sulla società dell'informazione, svoltasi a Bruxelles il 25 e 26 febbraio (se ne parla diffusamente in questo stesso numero di MCmicrocomputer).
Scorriamo dunque il documento alla ricerca di qualche informazione interessante. Si parte con una premessa sul processo di digitalizzazione e di convergenza delle tecnologie, osservandone gli effetti sull'occupazione e sulla vita dei cittadini, senza trascurare le incognite relative al mantenimento delle identità culturali. Quindi si elencano i temi da sviluppare nell'indagine. In primo luogo si cerca di tracciare un quadro generale tenendo conto di alcune peculiarità del nostro sistema: concorrenza soltanto iniziale nel settore dei servizi a valore aggiunto, monopolio SIP sulle infrastrutture di rete, scarso sviluppo dell'editoria elettronica, sistema televisivo quasi esclusivamente basato sull'etere (con assenza totale della TV via cavo e disponibilità solo fra qualche tempo e a talune condizioni del satellite), apertura solo in tempi recentissimi della concorrenza per telecomunicazioni mobili. In tale contesto, la Commissione intende verificare come nel nostro paese, nei prossimi cinque-sette anni se: a) possa crearsi un ambiente favorevole alla creazione di nuovi servizi a valore aggiunto e multimediale; b) le infrastrutture possano adeguarsi alle necessità di cui al punto a) [...]; c) possano accrescersi la capacità e la competitività dell'industria nazionale nel sostenere lo sviluppo della multimedialità [...]; d) possa trasformarsi l'assetto del sistema radiotelevisivo attraverso il cablaggio del territorio nazionale [...]; e) possano ulteriormente svilupparsi i servizi di comunicazioni mobili; f) possa accrescersi in particolare lo sviluppo congiunto di telecomunicazione ed informatica attraverso una maggiore interoperabilità dei sistemi e una più spinta standardizzazione.

Il "riferimento essenziale"

Il secondo punto della premessa introduce il tema fondamentale delle possibili sinergie tra i gestori delle reti già esistenti (Telecom, Ferrovie dello Stato, Autostrade ecc.). Inoltre occorre approfondire il tema, sul quale ci si è a lungo soffermati in altri paesi, dell'integrazione verticale tra gestore di rete e offerta di servizi: da un lato infatti vi possono essere sinergie; dall'altro l'operatore di rete, qualora mantenga in suo controllo alcuni segmenti di mercato, può distorcere la concorrenza nel settore dei servizi ovvero può in qualche modo restringere l'accesso alla rete.
E' dunque necessario individuare un organo di regolamentazione. Si prospetta la possibilità di un'unica autorità per telecomunicazioni, informatica ed emittenza televisiva, che potrebbe assumere tutte le competenze anche in materia di antitrust oppure organismi separati per telecomunicazioni e antitrust. Fino a qui la premessa dell'indagine.
La Relazione vera e propria parte da una valutazione della premessa, che conferma la validità degli assunti iniziali e traccia un quadro generale della società dell'informazione. A parte alcune incertezze di linguaggio, che mostrano come gli estensori non abbiano una particolare familiarità con i temi in discussione, si conferma il quadro generale ben noto a chi segue le discussioni sulla società dell'informazione. In particolare si parla di "autostrade informatiche"e di Internet, e si prende il Rapporto Bangemann e le sue conclusioni come "riferimento essenziale" per affrontare il tema.
Fermiamoci un attimo, perché da queste prime pagine emerge l'importanza del documento: accogliere la visione comune della società dell'informazione e prendere il Rapporto Bangemann come punto di riferimento significa accogliere in pieno lo spirito dell'evoluzione, nei termini in cui si sta delineando in ambito internazionale. Insomma, non si prospetta una "via italiana" alla società dell'informazione, ma ci si inserisce nella prospettiva comune dei paesi industrializzati, che è l'unico sistema per costruire e far funzionare l'infrastruttura globale. Se consideriamo alcuni precedenti, per esempio il ritardo nella diffusione della televisione a colori o l'assurda regolamentazione della TV via cavo, il sostanziale accoglimento delle posizioni internazionali è una novità del tutto positiva.
Le valutazioni della Commissione proseguono esaminando gli effetti della rivoluzione multimediale, citando i dati attuali e le previsioni di altri paesi, senza trascurare i molti punti sui quali ci sono ancora forti incertezze, dai modi di evoluzione delle reti alle dimensioni e alla struttura del mercato. L'ultimo paragrafo delle valutazioni mette in evidenza alcuni rischi della rivoluzione multimediale: in primo luogo quello di reintrodurre o di aggravare disuguaglianze sociali tra i consumatori [...]; inoltre vi sono rischi per la tutela della privacy individuale.
Ritorna poi i tema dell'identità culturale: La rivoluzione multimediale nei paesi europei accresce di molto le potenzialità dell'offerta di comunicazioni in un contesto tuttavia di insufficiente produzione interna dell'industria dei contenuti: vi è quindi il rischio da un parte di uno spreco tecnologico, dall'altra di una nuova e più massiccia invasione di servizi e di produzione radiotelevisiva extra europea, con l'annesso pericolo di un appannamento dell'identità culturale dei diversi paesi e di una ulteriore marginalizzazione, tra l'altro, dei comparti nazionali dello spettacolo e dell'intrattenimento.

Analisi della situazione italiana

Prima di proseguire nella lettura del documento, dobbiamo porci un piccolo problema di comunicazione: come chiamarlo? Il titolo originale, nel solito linguaggio politico-burocratese, fa impallidire le creazioni di Lina Wertmueller: "DOCUMENTO APPROVATO DALLA 8a COMMISSIONE PERMANENTE / (Lavori pubblici, comunicazioni) / nella seduta del 7 febbraio 1995 / Relatore Bosco / A CONCLUSIONE DELL'INDAGINE CONOSCITIVA / promossa dalla Commissione stessa nella seduta del 2 agosto 1994; svolta nelle sedute del eccetera eccetera / IN MATERIA DI MULTIMEDIALITA'". Propongo di battezzarla "Relazione Bosco", un titolo breve che in futuro dovremo citare spesso.
Dunque la Relazione Bosco, chiarito il contesto generale, esamina la situazione attuale in Italia. E sono botte da orbi. Lo spazio a disposizione impedisce di pubblicare per intero il secondo capitolo. Cito solo qualche passaggio.
La situazione italiana è refrattaria alla liberalizzazione del mercato e a processi di innovazione. Il grado di monopolio nelle telecomunicazioni rimane tra i più elevati dei paesi industrializzati. Le tariffe di affitto dei circuiti per servizi di telecomunicazione sono assai elevate. Non è stata tuttora recepita la fondamentale direttiva comunitaria n. 388 del 1990 sulla liberalizzazione dei servizi a valore aggiunto di telecomunicazione e i diversi tentativi di recepimento sono stati contrassegnati dalla volontà di ritardare la liberalizzazione. L'impegno italiano nella ricerca è insufficiente. L'industria nazionale delle telecomunicazioni è stata indebolita dalla mancata costituzione di un polo nazionale (progetto Telit). Per tutelare il monopolio dell'emittenza pubblica a metà degli anni settanta si impedì con una legge restrittiva lo sviluppo della TV via cavo nel nostro paese. Numerosi studi sullo sviluppo della diffusione via satellite sono rimasti lettera morta e non sono stati neanche resi pubblici. Non si è realizzata un'efficace gestione dello spettro delle radiofrequenze. Attualmente lo spettro delle radiofrequenze è congestionato dai servizi radiotelevisivi, con l'effetto di penalizzare soprattutto lo sviluppo presente e futuro dei servizi di comunicazione mobile (vi sono circa 4.000 richieste di licenza giacenti). Si sono approvate norme che obbligano le pay-tv a trasferirsi entro tempi ravvicinati su infrastrutture quali il cavo e il satellite che non si sono rese disponibili. Manca un raccordo tra le competenze pubbliche in materia di editoria, spettacolo, emittenza radiotelevisiva e relativi settori industriali. Le installazioni di reti ISDN sono nell'ordine di 1.500 in Italia, di 15.000 in Francia, di 25.000 in Gran Bretagna e di 60.000 in Germania nel 1993. Per quanto riguarda la penetrazione della TV via satellite vi sono oggi in Gran Bretagna circa 3.230.000 soggetti collegati, 6.500.000 in Germania, 150.000 in Francia e 200.000 in Italia. Per quanto riguarda la Tv via cavo le reti in funzione sono 1.900 in Germania, 163 in Francia, 130 in Gran Bretagna (di cui 43 abilitate a fornire anche il servizio telefonico) e 0 in Italia. In Francia vi è una disponibilità di 7 canali via satellite e 7 via cavo; in Germania una disponibilità di 6 canali via satellite e 7 via cavo; in Gran Bretagna vie è una disponibilità di 20 canali via satellite e 20 via cavo, in Italia siamo a zero. In Gran Bretagna vi sono 4 canali via etere più una pay-tv via etere, in Germania vi sono 6 canali via etere; in Italia vi sono 9 emittenti nazionali via etere, 2 pay-tv e circa 870 emittenti locali.
Questa non è una relazione, è un atto d'accusa. Ma la corte, pardon, la Commissione, ascolta anche la difesa: Da parte del gestore pubblico di telecomunicazioni sono stati evidenziati anche gli aspetti positivi della situazione italiana, con riguardo all'intenso processo di investimenti realizzato sulla rete: i collegamenti tra città e tra centrali nelle città sono già realizzati in fbra ottica; è in fase di avvio la posa della fibra ottica nelle reti urbane per quanto riguarda le centrali e gli "armadi" siti presso gli edifici (mentre non è per il momento prevista la fibra ottica nel collegamento dagli "armadi" fino alle residenze, ad eccezione di grandi utenti). Insomma, dice Telecom, ci stiamo dando da fare per recuperare il ritardo. C'è da crederlo, perché quanto più veloce sarà il recupero, tanto più forte sarà la sua posizione al momento della liberalizzazione del mercato.

Che fare?

Il terzo capitolo della Relazione Bosco si intitola "Suggerimenti per lo sviluppo del mercato multimediale" e riassume le indicazioni avanzate dai soggetti "auditi" dalla Commissione. Inizia con la considerazione che si dovrebbe costituire un comitato consultivo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri formato da esperti di elevata qualificazione e dai più importanti operatori dei settori considerati, allo scopo di definire una vera e propria agenda per il Governo, per il settore pubblico e per quello privato. Inoltre, poiché il prossimo 25-26 febbraio si dovrà tenere a Bruxelles la prossima riunione del G7 in cui si parlerà, tra l'altro, proprio di società dell'informazione, occorre che la Presidenza del Consiglio nomini esperti per predisporre un rapporto approfondito sui temi oggetto dell'indagine parlamentare (c'è da sperare che ciò venga fatto in vista della prossima riunione del G7, che si terrà in giugno ad Halifax, in Canada, e avrà ancora come tema di fondo la società dell'informazione).
Quindi la Relazione ricorda il livello di priorità assegnato dall'amministrazione americana al progetto della Infrastruttura nazionale dell'informazione (NII) con la costituzione di un'apposita "trask force". Altri (soggetti ascoltati dalla Commissione, ndr) hanno proposto l'elaborazione di un vero e proprio "progetto-Paese" che utilizzi la multimedialità come volano di sviluppo economico e di politica industriale. Si riprende poi il concetto, fondamentale nel Rapporto Bangemann, di affidare al settore privato la guida del cambiamento. Occorre in Italia un'incisiva opera di liberalizzazione delle telecomunicazioni: si tratterebbe di liberalizzare non solo l'offerta di servizi a valore aggiunto (ivi compresa la rivendita di capacità trasmissiva a terzi) e di nuovi servizi radiomobili, ma anche (e possibilmente in anticipo rispetto alle scadenze previste dalla CEE) di liberalizzare la telefonia locale e la costruzione e la gestione di infrastrutture [...]. Potrebbero essere utilizzate per l'offerta di servizi di telecomunicazione infrastrutture dei rete oggi utilizzate ad uso privato da parte di aziende di pubblica utilità (Ferrovie dello Stato, Enel, eccetera).
Ma liberalizzare non significa deregolamentare indiscriminatamente: La liberalizzazione dovrebbe essere accompagnata, secondo tutti i soggetti intervistati, da modalità rinnovate di regolamentazione: non quindi liberalizzazione come assenza di regole, ma come accesso al mercato subordinato a norme più moderne che si adattano al processo di innovazione tecnologica ma che entro periodi di tempo determinato sono mantenute stabili, sono rese ben conoscibili a tutti gli operatori, mentre viene esercitata una stretta sorveglianza sul loro rispetto. Seguono una serie di indicazioni più dettagliate sul piano tariffario, normativo e di sviluppo industriale non solo per l'industria nazionale delle telecomunicazioni ma più specificatamente per il settore del software applicativo e di quello ad esse destinato, riqualificando il ruolo della Finsiel. Qui si rileva una delle contraddizioni della Relazione: il gruppo Stet, nel cui ambito si trova Finsiel, deve essere privatizzato a breve termine, e non spetta quindi allo Stato la sua eventuale riqualificazione. E' interessante il punto successivo: Lo Stato dovrebbe anche farsi carico di sostenere lo sviluppo dei servizi e la promozione della domanda, attraverso la definizione di progetti pilota, avviando la riorganizzazione delle reti informatiche della pubblica amministrazione, facilitandone l'accesso ai cittadini e promuovendo l'offerta di servizi di elaborazione del patrimonio informativo delle reti pubbliche. Poco più avanti si cita il Piano triennale dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, ma non si rileva che c'è un contrasto di fondo tra l'impostazione di questo e lo spirito della Relazione. E' vero che il Piano triennale pone la costituzione della rete della pubblica amministrazione come elemento essenziale per il funzionamento efficace dell'amministrazione stessa, ma in un'ottica ancora fortemente dirigistica e burocratizzata, ben lontana dai principi della società dell'informazione. Quello che invece dovrebbe valere è, ancora una volta il "modello Internet", assunto anche dal rapporto del CER (MCmicrocomputer n. 147), che implicitamente è accolto dalla Commissione del Senato: Si potrebbe giungere a costituire vere e proprie reti civiche territoriali per l'offerta di servizi, le quali, oltre ad un effetto diretto, potrebbero anche sortire la conseguenza indiretta di accrescere l'alfabetizzazione telematica dei cittadini e quindi la domanda di servizi privati.

Il cablaggio del territorio

Il quarto capitolo della Relazione è dedicato ai problemi di cablaggio del territorio e alla riforma del sistema radiotelevisivo. E' un accoppiamento ardito nell'ottica italiana della diffusione televisiva esclusivamente via etere, ma correttamente la Commissione valuta la situazione futura, quando il cavo costituirà il mezzo diffusivo più importante. Il problema principale è: quanto tempo ci vorrà e quanto costerà cablare l'Italia? I diversi soggetti interpellati dalla Commissione hanno fornito dati fortemente divergenti, e la Relazione ne dà diligentemente conto. Quanto ai tempi, qualora fosse già vigente una normativa che rendesse possibile la cablatura, le stime rinviano al 2000 e oltre per l'allacciamento del 20 per cento delle famiglie e di circa quindici anni per una più congrua percentuale. Qui però c'è un equivoco: si pensa ancora di stendere i cavi per la TV, quelli bloccati dalla normativa degli anni '70. Invece è ormai acquisito che la TV via cavo e i servizi telefonici viaggeranno sugli stessi cavi, già in parte operativi. Quindi il problema è quanto tempo Telecom impiegherà per completare il cablaggio in fibra ottica tra le centrali cittadine e gli armadi, e poi eventualmente verso i palazzi, dando per scontato che all'interno di questi resterà nella maggior parte dei casi il doppino attuale (vedi MCmicrocomputer del mese scorso). La Relazione prevede invece il cablaggio in fibra ottica fino al marciapiede (ovvero fino al piano terra dello stabile) con una prosecuzione in rame e in coassiale fino al domicilio dell'utente (ovvero in fibra ottica solo se l'utente richiede una mole elevata di servizi), e questo complica le cose e aumenta tempi e costi. L'altro problema, e questo è considerato dalla Relazione, è la possibilità che avranno altri soggetti di stendere cavi e di far passare su questi sia il segnale televisivo, sia i servizi telefonici di base. Secondo Teknibank, mentre le prospettive di un investitore intenzionato a cablare solo allo scopo di offrire servizi televisivi sono assai incerte (è stato stimato un tasso di rendimento interno dell'1 per cento in 10 anni), esse sono invece assai più promettenti se vi è la possibilità di offrire anche il servizio telefonico (il tasso di rendimento interno sale fino al 20 per cento) con benefici effetti per gli utenti (le tariffe telefoniche possono ridursi anche del 25 per cento). Si citano le esperienze negative di Francia e Germania, dove non c'è ancora il ritorno degli investimenti fatti per la TV via cavo, contrapposte a quella inglese: Nel regno Unito si prevede un investimento privato di 20 mila miliardi e si sono già realizzati un milione di allacciamenti in soli 14 mesi, proprio in dipendenza di una legislazione che che consente a tali operatori di far viaggiare su tali infrastrutture qualsiasi tipo di servizio.
Ma quanto costa cablare la Penisola? Le cifre oscillano da 30 mila miliardi (considerando l'80 per cento delle famiglie italiane) a 40 mila (per 20 milioni di famiglie). Si sono fatte anche simulazioni per un allacciamento al 2002 di 4 milioni di utenti con un costo da 2 a 2,5 milioni per utente, di mille/duemila dollari per utente, più altri mille per il videoserver, ovvero di circa 1500 dollari per utente nel caso di fibra fino all'armadio dell'edificio con proseguimento in coassiale ed invece di 2.250/3000 dollari con fibra ottica nell'appartamento. A parte la difficoltà di comparare le diverse soluzioni, non appare giustificata la differenza di costo per andare dal marciapiede all'utente con la fibra ottica o con il cavo coassiale (lo scarto è minimo, e si va verso una maggiore convenienza della fibra), mentre può essere accolta se si confronta il cablaggio ex novo in fibra o in coassiale con il mantenimento del doppino attuale.
Il capitolo esamina poi l'utilizzo del satellite, anche nella prospettiva della diffusione a pagamento e tematica, oltre che per i servizi di telecomunicazione, pur considerando che la diffusione via satellite non consente l'interattività. Viene svolta un'analisi dettagliata delle possibili soluzioni con i satelliti già in servizio e con quelli di prossimo lancio, che offrono anche la possibilità di estendere le trasmissioni italiane in ambito europeo. Si prosegue esaminando più in dettaglio la prospettiva di impiegare il doppino telefonico per far giungere i servizi multimediali dall'armadio a casa dell'utente. Viene messa in rilievo la qualità relativamente modesta del segnale che può essere ricevuto con questo sistema, ma si considera anche la possibilità di utilizzare questo mezzo in un arco di tempo limitato soprattutto per offrire servizi telematici ai cittadini, secondo un progetto avanzato da Finsiel.

Frequenze e servizio pubblico

Il quarto capitolo prosegue con il vecchio e fondamentale problema dell'assegnazione delle frequenze, che conduce fatalmente a quella che ormai viene comunemente chiamata "l'anomalia italiana", cioè il controllo di quasi tutti i canali disponibili a livello nazionale concentrato nelle mani di due soli gestori. La Relazione non si sofferma sul fatto che le vicende politiche hanno portato al controllo di fatto di quasi tutte l'etere televisivo nelle mani di una sola parte politica e se la cava citando l'opinione del Garante per la radiodiffusione e l'editoria, il quale ha rilevato come dall'esperienza di Paesi stranieri possano derivare utili indicazioni per l'assetto del servizio pubblico radiotelevisivo, con organismi direttivi composti da soggetti nominati da realtà istituzionali diverse (allo scopo di mantenere una stabilità di indirizzo e di indipendenza al variare delle maggioranze parlamentari) e con una pluralità di organismi incaricati rispettivamente dell'indirizzo e della gestione.
E così arriviamo al quinto capitolo, intitolato "Reti e servizi", che ritorna sul problema della liberalizzazione. Si considerano in primo luogo vantaggi e svantaggi della concorrenza tra reti affidati a gestori diversi (minor costo di un'unica rete integrata o moltiplicazione di investimenti per giungere a un'offerta differenziata), concludendo senza prendere una posizione decisa (contraddicendo in qualche modo alcune affermazioni precedenti): Infatti, anche se l'offerta della rete da parte di un unico soggetto potrebbe avvenire, per determinanti di tipo tecnologico, in condizioni di minore costo rispetto ad un'offerta concorrenziale, i vantaggi del consumatore restano potenziali e dipendono in modo cruciale dalla capacità dell'autorità pubblica, notoriamente a corto di informazioni, di controllare i prezzi del monopolista e di garantire che lo stesso, in tempi ragionevoli per le diverse categorie degli utenti, offra ad essi soluzioni non standardizzate, bensì flessibili rispetto alla differenziazione della domanda. Nel documento del Centro studi sui processi di internazionalizzazione (CESPRI) si parla pertanto espressamente di una contrasto tra una concezione "geodesica" dello sviluppo delle reti - tante reti private specializzate che si interconnettono, idea tipicamente statunitense - e una concezione "integrata" delle rete - unica rete disponibile per tutti, concetto caro ai francesi [...]. Si è rilevato altresì che in Italia, concretamente, il monopolio delle telecomunicazioni ha avuto come effetti un ritardo nell'innovazione delle telecomunicazioni e una penalizzazione delle esigenze dell'utenza affari.
Segue una rassegna delle reti "alternative" disponibili in Italia, quelle della Società Autostrade, dell'Enel, della SNAM e delle Ferrovie dello Stato (si veda il riquadrato) e si cita il Libro Verde dell'Unione Europea, la prima parte del quale è stata approvata durante i lavori della Commissione, che prevede la liberalizzazione totale delle infrastrutture le entro il 31 dicembre 1998. Ai problemi dell'apertura del mercato delle reti si affianca quello della eventuale separazione tra la gestione del trasporto e l'offerta di servizi e quello della licenza di fornire da parte dello stesso soggetto sia il servizio telefonico di base, sia i servizi avanzati. Stranamente la Relazione non si occupa di un problema essenziale, la fornitura del "servizio universale", cioè di chi debba assumersi i maggiori costi necessari per raggiungere con i servizi "di base" anche le utenze che per collocazione geografica o per altri motivi non siano economicamente convenienti per i gestori.

Chi detta le regole?

Il sesto capitolo si apre con una rassegna dei diversi pareri esposti alla Commissione sul tema dell'Autorità che dovrà regolare le telecomunicazioni. Le divergenze riguardano soprattutto la separazione o l'unificazione in un solo organismo dei settori delle telecomunicazioni e dell'emittenza radiotelevisiva. Il problema, per la verità, dovrebbe essere automaticamente risolto in favore dell'autorità unica in funzione dell'evoluzione tecnologica: quando TV e servizi di altro genere passano sugli stessi cavi, e diventa impossibile distinguere il bit televisivo dal bit di Internet, che senso hanno due autorità diverse? Ma la Relazione non affronta questo aspetto. Un'altra divergenza esaminata è quella relativa alla possibile attribuzione all'Autorità per le telecomunicazioni anche dei compiti di antitrust: si conclude che, nel caso vengano mantenuti i due organismi distinti, essi dovrebbero operare in stretto coordinamento.
L'ultimo interrogativo riguarda l'eventuale indipendenza dell'Autorità di regolamentazione dal Governo. Si esaminano le esperienze francese, inglese e statunitense, che sono basate su modelli diversi, ma si premette che dai contributi resi durante l'indagine la motivazione che sembra emergere [a favore dell'ipotesi di separazione] è rappresentata dalla inefficienza dimostrata nel tempo dalle strutture tecniche del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni. Il Ministero è apparso sino ad oggi una struttura burocratica poco disponibile a recepire le innovazioni ed ha partecipato ad un processo collusivo tra politici, imprese fornitrici, imprese di servizi, sindacati.
Due note chiudono il capitolo: la prima osserva che rimane aperto il problema dei compiti del Governo in adempimento del Rapporto Bangemann in ordine al quale occorre definire indirizzi e comportamenti per lo sviluppo del mercato multimediale e quindi per la politica industriale e l'occupazione. La seconda avanza un'ipotesi innovativa: In un contesto di valutazione degli organismi istituzionali va esaminata anche la proposta di unificare tutte le competenze governative attualmente disperse in materia di spettacolo, informazione, editoria (Ministero delle attività culturali).
E con questo siamo alle conclusioni, che costituiscono il settimo e ultimo capitolo della Relazione Bosco. Cito anche qui i passaggi fondamentali.
Il Governo e il Parlamento devono assumere tra le priorità della loro attività l'avvio anche nel nostro Paese della rivoluzione multimediale, come fondamentale occasione non solo di crescita e di sviluppo economico, ma anche di miglioramento della qualità della vita dei cittadini e di diffusione delle informazioni. Al riguardo il Governo deve indicare al più presto una figura di responsabile dell'indirizzo e del coordinamento delle azioni strategiche [...]. Il Parlamento ed il Governo devono sciogliere quanto prima il nodo concernete la riorganizzazione o la ridefinizione degli organismi di regolamentazione tecnico-economica dei tre settori (informatica, telecomunicazioni, emittenza radiotelevisiva) [...]. Lo Stato deve impegnarsi maggiormente nella ricerca nel campo delle telecomunicazioni e dell'emittenza radiotelevisiva [...]. E' importante avviare un coordinamento tra diversi Ministeri, con programmi formativi sia per figure professionali tecnicamente qualificate sia per diffondere una alfabetizzazione informatica al fine di favorire l'accesso ai nuovi servizi da parte di tutti i cittadini [...]. Per quanto concerne i servizi di telecomunicazioni a valore aggiunto (ivi compresa la rivendita a terzi di capacità trasmissiva affittata) occorre procedere ad una loro immediata liberalizzazione, secondo le disposizioni comunitarie; su scala nazionale va anche valutata l'ipotesi [...] di anticipare la liberalizzazione del servizio di telefona vocale prima della scadenza comunitaria.
Quest'ultima considerazione introduce altri aspetti, quali la revisione delle tariffe, anche in relazione agli oneri del servizio universale, e della cablatura accelerata del territorio a livello nazionale da parte della sola Telecom, anche con l'utilizzo della capacità residua delle reti alternative. A livello locale, invece, si suggerisce di anticipare le scadenze comunitarie affidando la cablatura e l'offerta di servizi a soggetti privati zona per zona, a seguito di gara. E anche di servizi telefonici e video su doppino, evitando che possano essere favoriti Stream (che è controllata da Telecom) e le società collegate ai nuovi gestori delle infrastrutture. Gli ultimi punti riguardano la necessità procedere rapidamente al riassetto del sistema radiotelevisivo, anche in funzione della diffusione via satellite, con particolare riferimento all'emittenza locale; l'eventuale opportunità di agevolazioni fiscali per favorire gli investimenti; la possibilità di regolamentazioni asimmetriche che limitino le posizioni dominanti; la privatizzazione della Stet e il ruolo della Rai; la regolamentazione del mercato pubblicitario e la tutela del pluralismo; infine l'individuazione di un ruolo del Parlamento in vista di una "legge quadro" e di un'ampia normazione secondaria, fino a trasformare l'attuale Commissione di vigilanza in Comitato parlamentare per il sistema delle telecomunicazioni.

Colmare il ritardo

Non era necessaria un'indagine parlamentare per mettere in luce il ritardo italiano nel settore delle telecomunicazioni, e quindi nell'avvio della "rivoluzione multimediale". La situazione è da tempo sotto gli occhi di tutti, soprattutto a livello europeo. Ma la relazione della Commissione del Senato giunge pressoché contemporanea alla conferenza del G7 sulla società dell'informazione, quindi in un momento quanto mai favorevole per attirare l'attenzione delle forze politiche su questi punti. Purtroppo in questo periodo i politici sono presi da ben altre questioni, un'incombente scadenza elettorale rimanda a un nuovo Parlamento la risoluzione di problemi che avrebbero dovuto essere affrontati da tempo. E i rischi di arrivare in ritardo ai caselli delle autostrade dell'informazione, o di percorrerle con veicoli troppo lenti, sono molti e gravi: mancato rilancio dell'occupazione, minore sviluppo economico, colonizzazione culturale.
Il ritardo è già molto forte, potrebbe diventare incolmabile.

[RIQUADRATO]
Il manifesto della buona volontà

La Relazione dell'ottava Commissione del Senato non ha la forza visionaria e rivoluzionaria dei programmi di Al Gore, né il senso della missione d'impresa che si respira nel Rapporto Bangemann. D'altra parte non si cimenta degli equilibrismi mediatori dei documenti comunitari europei e non si prospetta obiettivi grandiosi come la relazione della Conferenza del G7 di Bruxelles.
E', semplicemente, il resoconto di un'indagine conoscitiva. I senatori hanno ascoltato decine di "addetti ai lavori" e quindi hanno tratto un bilancio di quello che è emerso dalle audizioni. Se qualche punto non è stato sviluppato abbastanza, si deve forse più alle lacune degli "auditi" che a uno scarso impegno dei senatori. E i punti che andrebbero rivisti o approfonditi sono parecchi: primo fra tutti quello della digitalizzazione delle informazioni, che rende sfumati e mutevoli i confini tra i diversi mezzi di comunicazione e impone quindi una diverso approccio alla regolamentazione del sistema radiotelevisivo. La questione è complessa, perché i principali attori italiani della rivoluzione dell'informazione non hanno alcun interesse, in questo momento, ad essere confusi in un unico "mix" multimediale. Potrebbe essere una forma di miopia non diversa da quella che ha determinato il ritardo accumulato negli anni dal gestore unico delle telecomunicazioni, Le conseguenze potrebbero essere ancora una volta e ancora più gravemente negative per lo sviluppo delle telecomunicazioni nel nostro paese. Tuttavia, nonostante i suoi limiti, la Relazione Bosco è l'unico, vero fatto nuovo nel quadro dell'interesse della politica italiana sui temi della società dell'informazione. Per la prima volta disponiamo di un quadro completo, e probabilmente abbastanza attendibile, della situazione delle infrastrutture e della visione strategica dei principali protagonisti del cambiamento. E' un buon punto di partenza per scrivere, finalmente, un programma serio per l'ammodernamento dell'Italia nel settore delle comunicazioni e colmare il ritardo che ci separa dagli altri paesi industrializzati. Chi lo farà, e quando?

[RIQUADRATO]
Aspettando Tommaso...

La notizia sull'esistenza di una relazione sulla multimedialità in Italia mi è giunta quasi per caso. Ventiquattr'ore dopo il servizio informatica del Senato mi forniva non solo il testo della relazione, ma anche un voluminoso dossier con i resoconti sommari di tutte le audizioni. E lo stesso dossier, in forma digitale, era nella mia casella elettronica su MC-link, grazie alla cortesia dell'ingegner Mauro Fioroni. Il fatto strano è che la Relazione, stampata ovviamente in fotocomposizione, non è disponibile nella banca dati dei testi, ma esiste solo nel formato cartaceo.
Tutto questo merita una riflessione.
Nei mesi scorsi avevo telefonato al Servizio informazioni parlamentari per sapere se ci fossero iniziative sui temi della società dell'informazione, ma la ricerca aveva dato esiti negativi, sulla base di parole-chiave come "informazione" e "telecomunicazioni". Se mi fosse passato per la testa di chiedere "multimedialità" il risultato sarebbe stato affermativo, e forse ci sarei arrivato se avessi avuto la possibilità di compiere personalmente la ricerca.
Al mio posto un cittadino americano si sarebbe collegato a Internet e avrebbe digitato "http://thomas.loc.gov/. Su "Thomas" (Jefferson) avrebbe potuto cercare e ottenere tutte le informazioni disponibili sull'attività delle commissioni del Congresso, e avrebbe potuto anche inviare le sue opinioni e le sue richieste ai molti parlamentari dei quali Thomas riporta l'indirizzo elettronico. Questa si chiama "trasparenza" ed è uno degli ingredienti fondamentali della democrazia.
Avremo anche noi un nostro "Tommaso", o Giuseppe, o Mario?
Risponde l'ingegner Fioroni che ci sono due progetti infrastrutturali, rispettivamente della Camera e del Senato, e che "è in corso di definizione un protocollo che tenderà a raccordare i servizi parlamentari offerti su Internet dalle due Camere". Prima si cerca di dare i servizi Internet all'utenza interna, deputati e senatori, poi si installerà un Web server per aprire il Parlamento sulla "rete delle reti". I tempi? "Speriamo per la fine di quest'anno".
M. C.

[RIQUADRATO]
Le reti "alternative"

Se fosse accolto il modello americano di infrastruttura nazionale dell'informazione, fondato su una "rete di reti", il futuro sistema italiano unirebbe all'infrastruttura di Telecom le altre reti oggi presenti sul territorio, costruite da alcuni enti pubblici per le proprie esigenze operative. La Relazione Bosco fornisce parecchie notizie in proposito.
La Società Autostrade ha comunicato che entro il 1995 disporrà di 3.519 chilometri di rete in fibra ottica (dati a 2 e 34 Mbps, immagini a 565 Mbps) e di una rete in rame della medesima estensione (con un cavo e 7 bicoppie), mentre è già in funzione una rete radiomobile monocanale. "Resta a disposizione un'apprezzabile residua capacità di trasporto delle informazioni".
L'Enel ha comunicato di disporre di una rete fissa in ponte radio (1.600 tratte radio operanti nelle bande 2,6 - 2,3 - 18 GHz e 440 MHz; la rete è digitale per il 30%, la totale digitalizzazione è prevista per il '98), di due reti radio nazionali, attualmente in tecnologia analogica, ma in fase di passaggio al digitale, di una rete analogica ad onde convogliate (il segnale passa sui cavi dell'elettricità) e di un sistema radiomobile che collega circa 20.000 addetti alla manutenzione sull'intero territorio nazionale; inoltre c'è una rete mista (rame e fibra) di 2.000 chilometri. Il grado attuale di utilizzo è pari al 75% e le specifiche sono conformi a quelle previste per il gestore nazionale.
La Snam ha invece cavi telefonici di tipo interurbano, quasi esclusivamente in rame, posti a fianco delle condotte, e ponti radio che collegano i punti terminali dei gasdotti. Ci sono inoltre ponti radio con dorsali di grande capacità, che lavorano nella banda tra 1,7 e 1,9 GHz, in fase di passaggio dall'analogico al digitale; collegamenti a media capacità tra i 2,3 e i 2,4 GHZ, in parte digitali; collegamenti urbani digitali a 17 GHz e monocanale a 450 MHz. E' programmata la stesura di due cavi in fibra ottica accanto al gasdotto che proviene dall'Algeria, che corre lontano dai centri urbani; c'è poi un sistema radiomobile con 3.500 terminali e una rete telefonica che serve 40.000 utenti. Tutti gli apparati sono omologati e conformi alle specifiche internazionali, la capacità è praticamente tutta utilizzata, ma può essere aumentata.
Ventimila chilometri di cavi, 17.000 dei quali in rame, 1.100 in fbra ottica e 1.500 in linea aerea costituiscono la rete delle Ferrovie dello Stato, composta in primo luogo da infrastrutture che seguono i tracciati delle principali dorsali, connesse a piccole sottoreti. Le tecnologie sono analogiche FDN e digitali PCM e consentono i collegamenti in fonia e dati tra tutte le località della rete ferroviaria nazionale. La rete telefonica è costituita da 15 centrali intercompartimentali e 330 periferiche, che servono 60.000 utenti e sono interconnesse alla rete pubblica e alle altre reti ferroviarie europee. Il tutto è attualmente utilizzato al 90% e non dovrebbe creare problemi per il collegamento alla rete pubblica.
Nell'insieme si tratta di un'infrastruttura di dimensioni notevoli. Il fatto che la capacità residua attualmente disponibile sia relativamente modesta non costituisce un grave problema: l'evoluzione tecnologica consente di moltiplicare a ritmi accelerati la banda passante, sia sui cavi di rame, sia su quelli in fibra ottica. E gli enti proprietari delle reti potrebbero conseguire notevoli introiti affittando la capacità trasmissiva a Telecom e ai diversi soggetti che saranno sul mercato dopo la liberalizzazione.