Vecchi problemi per il nuovo Parlamento
da MCmicrocomputer n. 164 - luglio-agosto
1996
L'informazione cambia, la politica non se
ne accorge
Nessun accenno alla società dell'informazione nel programma esposto dal
Governo, mentre inizia la fase finale della liberalizzazione delle
telecomunicazioni. Riparte alla Camera il vecchio e discusso disegno di legge
sulla protezione dei dati personali: ne parliamo con il magistrato Giovanni
Buttarelli.
di Manlio Cammarata
Ci siamo: con il 1. luglio cadono in tutti i
paesi dell'Unione europea i monopoli sulle infrastrutture e sui servizi di
telecomunicazioni, con la sola eccezione della telefonia vocale. Per questa la
liberalizzazione scatterà il 1. gennaio 1998, cioè tra un anno e mezzo. Ma
adesso che succede?
In teoria sarà possibile affittare linee di telecomunicazioni da qualsiasi
soggetto che le possieda, come le Ferrovie dello Stato, l'Eni, la società
Autostrade o l'Enel, e chiunque dovrebbe poter offrire servizi di
telecomunicazioni diversi dalla telefonia vocale su rete commutata. Ma è
probabile che i primi passi della liberalizzazione avvengano nella più totale
confusione e inneschino un complicato contenzioso tra diversi soggetti. Alla
metà di giugno, mentre scrivo, mancano ancora le norme per regolare un
passaggio così delicato verso la "società dell'informazione", e
manca soprattutto la "Authority", l'organismo indipendente che dovrà
vigilare sulla corretta applicazione delle regole della concorrenza e del
rispetto della libertà di comunicazione. Il disegno di legge (molto
discutibile) presentato nell'ottobre dello scorso anno dall'allora ministro
delle poste Gambino, si è arenato ancor prima della fine della legislatura, ed
è difficile che il nuovo Parlamento e il nuovo Governo possano mettere ordine
in poche settimane su una materia così complessa e con tanti aspetti
controversi.
Ma la liberalizzazione delle telecomunicazioni è solo uno dei molti punti che
Parlamento e Governo devono affrontare in tempi brevissimi, per metter mano
anche in Italia alla costruzione delle autostrade dell'informazione. Incombono
il rinnovo del consiglio di amministrazione della Rai e la nuova mappa
dell'assegnazione dei canali TV, ma questi problemi sono ancora visti nella
vecchia maniera: un consigliere a te e uno a me, una rete a te e una a me. Come
se la rivoluzione multimediale fosse un gioco di società o un delirio
futuristico. Invece bisogna pensare alla ridefinizione (anzi, alla definizione
ex novo) dei media pubblici nell'ottica del servizio universale, bisogna
scrivere regole credibili per la televisione via cavo e via satellite, si devono
delimitare i rapporti e le possibili commistioni tra gestori delle reti e
fornitori di servizi. C'è la questione del cablaggio in fibra ottica
dell'intera utenza nazionale, che è la premessa per lo sviluppo dei futuri
servizi multimediali.
Anche sul piano dei servizi "poveri", come Internet e Audiotel, è
necessario emanare con urgenza norme che permettano un vero decollo di questi
settori, oggi strozzati da un'ottusa burocrazia fondata su disposizioni
incomprensibili, come il decreto legislativo 103/95. Su queste pagine abbiamo
parlato fino alla noia di questo provvedimento, emanato l'anno scorso su un
testo del '92 per applicare una direttiva europea del '90, che ostacola di fatto
la fornitura di accessi Internet da parte dei privati, senza peraltro
"conoscere" l'esistenza di Internet e senza considerare il "Piano
nazionale delle telecomunicazioni" del 1990! Piano nazionale che deve
essere urgentemente rivisto, sia alla luce dell'innovazione tecnologica, sia in
funzione del libero mercato. E proprio per Internet il libero mercato sembra
attualmente in pericolo a causa della politica commerciale di Telecom Italia,
sulla quale sta indagando l'Anti-trust.
L'agenda del legislatore è fitta di altri impegni in materia di tecnologie
dell'informazione: si devono rivedere in alcuni punti il decreto legislativo
518/92 sulla protezione del software e la legge 547/93 sui crimini informatici
(ne parliamo nell'articolo che segue con il sostituto procuratore Corasaniti).
Occorrono poi disposizioni essenziali anche per migliorare l'efficienza della
pubblica amministrazione, come quelle sulla validità del documento informatico
e della "firma elettronica", per non parlare della necessità di
coordinamento a livello internazionale delle leggi per la repressione dei reati
commessi con mezzi telematici. Ancora in ambito internazionale è necessario
fare passi avanti per la protezione del diritto d'autore nel campo dei nuovi
media.
Dati personali: è la volta buona?
L'elenco potrebbe continuare a lungo. E' necessario mettere a disposizione anche
attraverso Internet molti documenti pubblici, prima di tutto i testi delle
leggi, gli atti parlamentari e le disposizioni delle pubbliche amministrazioni
centrali e locali. Bisogna mettere mano concretamente alla costruzione della
rete unitaria della PA, assicurando il dialogo con i cittadini anche per via
telematica.
Ma la legge che deve essere approvata con maggiore urgenza è quella sulla
protezione dei dati personali. Il 7 giugno scorso il Governo ha presentato alla
Camera i testi approvati al Senato nella passata legislatura. Come spiega
Giovanni Buttarelli nell'intervista pubblicata in queste pagine, è stata una
scelta obbligata per assicurare al disegno di legge un percorso rapido, ma sono
necessarie molte modifiche, e soprattutto bisogna far sì che tutte le
disposizioni essenziali siano contenute nel testo principale, senza dover
attendere mesi e mesi per un decreto legislativo che metta a punto particolari
di importanza fondamentale, come gli obblighi per i fornitori di servizi di
telecomunicazioni.
La legge per la difesa della privacy, in attuazione del dettato costituzionale e
delle disposizioni europee, sarà la prima occasione per valutare l'impegno del
Parlamento sui temi della società dell'informazione. Non è possibile tollerare
ancora situazioni come quella del CED del Ministero degli Interni, che contiene
chissà quali dati, raccolti chissà come, su chissà quanti cittadini. E' di
pochi mesi fa la "scoperta" che il sistema potrebbe contenere anche
tutti i dati in possesso del gestore unico della telefonia. E quali altre
informazioni?
Un'intervista con l'ex prefetto D'Amato, pubblicata da la Repubblica il 19 marzo
scorso, parla di "schedature all'acqua di rose" e potrebbe far sorgere
un equivoco: che la banca dati del Ministero dell'interno non sia così
pericolosa come qualcuno vorrebbe far credere. Questo poteva essere vero
vent'anni fa, perché oggi il rischio di un Grande Fratello al Viminale è
assolutamente concreto, a causa del progresso delle tecnologie informatiche e
telematiche e delle lacune nel meccanismo dei controlli. Ne parliamo nel
riquadrato.
Il fatto è che con le attuali tecnologie dell'informazione qualsiasi archivio
elettronico può essere alimentato in maniera del tutto automatica da qualsiasi
altro archivio: basta un collegamento telematico e un opportuno software per
"copiare" i dati in maniera completamente automatica. Non occorre
passare fisicamente tabulati o nastri magnetici. L'acquisizione dei dati può
avvenire anche in maniera "trasparente", cioè all'insaputa degli
addetti ai terminali del sistema. I pirati telematici in qualche caso riescono a
farlo addirittura in barba al responsabile del sistema attaccato. Questo
significa che, in teoria, la banca dati delle forze di polizia può contenere
un'enorme quantità di informazioni non previste dalla legge: non solo gli
elenchi delle telefonate, ma anche informazioni finanziarie, sanitarie e di ogni
altro genere. Si pensi che ciascuno di noi lascia una traccia
"elettronica" ogni volta che usa una carta di credito, compie
qualsiasi operazione bancaria, prenota una visita alla USL (nel caso che questa
sia informatizzata) e addirittura ogni volta che si ferma in un hotel (l'Italia
è l'unico paese civile in cui non viene rispettata la privacy di chi pernotta
in albergo).
D'altra parte le stesse tecnologie possono rendere difficilissimo il controllo.
L'amministratore del sistema esaminato può infatti rendere
"invisibile" l'esistenza stessa di qualsiasi informazione o categoria
di informazioni a chi non disponga di un certo livello di autorizzazione
all'accesso. Il terminale messo a disposizione della commissione parlamentare di
vigilanza potrebbe quindi mostrare solo una parte dei dati contenuti negli
archivi. E questo è forse solo l'esempio più significativo tra tanti che
possono essere fatti.
La legge che il Parlamento deve varare al più presto non può ignorare i
rilievi mossi a quella che si è arenato con la fine della scorsa legislatura, e
deve favorire il diritto dei cittadini alla riservatezza più degli interessi di
chi sfrutta le informazioni, soprattutto a fini economici. L'approvazione di
questa legge non solo ci permetterà di entrare nello "spazio"
previsto dall'accordo di Schengen del 1985, con l'abolizione dei controlli alle
frontiere, ma sarà un passo importante verso la realizzazione di quella
"civiltà dell'informazione" dalla quale sempre più l'Italia rischia
di essere tagliata fuori.
[riquadrato]
Il Grande Fratello abita al Viminale?
Il Centro elaborazione dati del Dipartimento della pubblica sicurezza è
stato istituito con la legge 121 del 1. aprile 1981, che ha ridisegnato tutto il
settore e smilitarizzato la polizia. Sette dei centoquindici articoli dalla
legge, dal n. 6 al n. 12, prescrivono i requisiti dei dati e le fonti da cui
possono essere acquisiti, descrivono l'organizzazione del centro, elencano i
soggetti autorizzati all'accesso e le relative procedure e prevedono i possibili
controlli. Questi possono essere compiuti dal Comitato parlamentare per i
servizi di sicurezza o dalla magistratura, nel caso che un cittadino venga a
conoscenza del fatto che nel centro sono custoditi dati che lo riguardano,
inesatti, incompleti o raccolti abusivamente.
Il problema è che per controllare che cosa contiene un sistema informativo è
necessario prima di tutto conoscere la sua struttura e poi disporre dell'accesso
al massimo livello, oltre che disporre delle necessarie conoscenze tecniche. In
caso contrario non si può avere la certezza di vedere tutto, perché
l'amministratore del sistema può rendere perfettamente invisibili archivi e
procedure.
Il disegno di legge sulla protezione dei dati personali che sta per essere
discusso dalla Camera modifica opportunamente le norme della legge 121/81,
affidando il controllo al Garante dei dati e attribuendo al cittadino il diritto
di rivolgersi direttamente al Dipartimento della pubblica sicurezza per avere
conferma dell'esistenza di dati che lo riguardano e, se è necessario, la loro
correzione o cancellazione.
E' sufficiente? In astratto potrebbe esserlo, ma sarebbe meglio accogliere la
proposta di Rodotà per un'indagine tecnica - che deve essere disposta per legge
- da affidare a specialisti di alto livello, che chiariscano una volta per tutte
come funziona il sistema e che cosa contiene (vedi l'intervista su
MCmicrocomputer del mese scorso).
[intervista]
Buttarelli: pronti in autunno
Giovanni Buttarelli, magistrato addetto all'Ufficio legislativo del
Ministero di grazia e giustizia e delegato per l'Italia nella "Autorità
comune di controllo Schengen", da anni segue per il Governo il tormentato
iter del disegno di legge sulla protezione dei dati individuali. E' considerato
il più autorevole esperto italiano della materia: ecco le sue valutazioni su
quella che potrebbe essere la stretta finale verso l'approvazione della legge.
* * *
Dottor Buttarelli, ci risiamo con il 1901 bis e ter? Con la normazione in
due tempi, prima le regole nella legge e poi le eccezioni in un decreto
legislativo, con la conseguente confusione nel periodo intermedio tra i due
provvedimenti?
Diciamo meglio, 2296S e 2343S, che sono i numeri dei progetti del Senato
decaduti con la fine della passata legislatura. La riproposizione dei due testi
già approvati dalla Camera è motivata dalla necessità di evitarne la
decadenza. I regolamenti di entrambe le camere prevedono che, se il Governo
ripresenta senza modifiche entro sei mesi dallo scioglimento del Parlamento dei
testi già approvati da un ramo, questi usufruiscono di una corsia
preferenziale. E' il cosiddetto "ripescaggio". Questo atto di impulso
è motivato dalla necessità di guadagnare tempo nell'iter parlamentare. Ciò
non significa che i testi debbano essere approvato tali e quali, però è un
segnale molto significativo. Come è significativo che il Consiglio dei Ministri
abbia approvato il disegno di legge già nella sua terza o quarta riunione.
C'è da supporre che questa fretta sia dovuta soprattutto alle pressioni
internazionali.
Seguo questa materia in varie sedi internazionali e posso dire che fino a
questo momento la nostra immagine è veramente bassa, anche per questo motivo.
Adesso c'è una certa fiducia nella nostra volontà di porre rimedio a queste
lacune, però all'estero l'inerzia italiana appare veramente incredibile. Si
comprende che c'è un dibattito sulla necessità di scegliere tra certi valori,
se favorire quelli della privacy o quelli della funzionalità della pubblica
amministrazione e delle imprese. Però non si riesce a capire perché il
Parlamento non sceglie, privilegiando l'una o l'altra, o bilanciando gli opposti
interessi. Questa politica dello struzzo all'estero è incomprensibile. Credo
comunque che questa volta ci sia la certezza di avere la legge in tempi assai
ravvicinati, molto probabilmente all'inizio dell'autunno.
Ma non è possibile mettere a frutto il lungo dibattito che c'è stato,
soprattutto nell'ultimo anno, per mettere a punto un testo completo, applicabile
senza troppi rinvii?
Credo che occorra partire da ciò che era avvenuto al Senato, dove si era
ripetuto il dibattito verificatosi alla Camera: la Commissione affari
costituzionali aveva osservato che alcune deroghe, alcune
"concessioni" fatte a chi riteneva che il provvedimento fosse troppo
protettivo della privacy, erano state eccessive, e invitava a essere più cauti
nel prevedere una minore protezione. Poi erano stati presentati oltre duecento
emendamenti, anche se in buona parte ripetitivi, e quindi in realtà meno
numerosi di quanto apparisse. C'era una parte di emendamenti "di
bandiera", che non avevano nessuna speranza di essere presi in
considerazione, perché contrari alla direttiva dell'ottobre '95 o alla
convenzione di Strasburgo: messi così per fare colore o per prolungare il
dibattito in modo di non arrivare all'approvazione prima dello scioglimento
delle Camere. C'è invece un'altra serie di emendamenti che possono e debbono
essere presi in considerazione, e vanno proprio nel senso dell'anticipazione nel
corpo principale della legge di una parte delle misure che si prevedeva di
adottare con un decreto delegato del Governo. Noi eravamo partiti dall'idea che
l'urgenza della legge comportasse la necessità di inserire nel progetto la
maggior parte possibile della direttiva, circa il settanta per cento, e il
trenta per cento lo avevamo riservato al decreto delegato. Questo anche per
beneficiare della riflessione che è in atto a Bruxelles sul modo migliore di
attuare questo trenta per cento (per esempio riguardo alla determinazione della
legge applicabile). Ci sono stati emendamenti per riprendere alcune parti più
"restrittive" o più "favorevoli" della direttiva e metterle
nel provvedimento principale. Questo lavoro tecnico è già stato approfondito,
e quindi non ci sono difficoltà, ferma restando la necessità di verificare la
correttezza giuridica di questi emendamenti. Ma avremo molto da fare
soprattutto dopo l'emanazione della legge, perché negli altri paesi è già
iniziato il dibattito sul modo in cui la direttiva può essere applicata nel
mondo delle tecnologie dell'informazione, soprattutto in Internet. Nel prossimo
autunno ci sarà una conferenza internazionale dei garanti, che dedicherà molte
energie a questo argomento, e c'è un gruppo di funzionari della UE che sta
approfondendo questa tematica. Mentre noi ancora siamo agli albori, perché ci
occupiamo di cose che avremmo dovuto risolvere venti anni fa. Intanto il
contesto internazionale è andato avanti, perché c'è già una proposta assai
avanzata di una nuova direttiva comunitaria sulla protezione della privacy nel
settore delle telecomunicazioni, condotta in porto durante il nostro semestre di
presidenza. Questa direttiva aggiungerà qualcosa alla precedente e quindi
offrirà degli scenari diversi. Per esempio, si occupa del diritto di comparire
o non comparire negli elenchi telefonici, o della disciplina
dell'identificazione del chiamante sulle linee ISDN. Qui c'è da una parte il
diritto di chi chiama di sopprimere l'identificativo, e viceversa il diritto di
chi è chiamato di non essere molestato da telefonate anonime. Ci sono anche
riferimenti a chi, nell'ambito delle reti, è responsabile della sicurezza, un
altro aspetto che la direttiva generale non aveva risolto.
La sicurezza è un altro punto fondamentale. Noi a che punto siamo?
Per il momento è tutto affidato alla buona volontà dei singoli operatori,
dopo l'approvazione della legge le misure di sicurezza saranno obbligatorie per
l'applicazione dell'articolo 15. C'è da osservare poi che il progetto della
rete unitaria della pubblica amministrazione porterà inevitabilmente alla
redazione di norme aggiuntive per disciplinare aspetti che altrimenti
ostacolerebbero il processo di rinnovamento: penso ad esempio al pieno
riconoscimento giuridico del documento e della elettronico e della firma
digitale, e all'identificazione di alcune regole, se si riterrà di farlo, in
materia di crittografia. A questo riguardo il Belgio ha adottato alcune
settimane orsono una legge in materia di crittografia, molto breve e molto
simile a quella francese, che probabilmente a mio avviso è superata. Comunque
è una disciplina tutta nazionale, che non so quanto sarà efficace. Anche il
dibattito che è in atto negli Stati Uniti sull'esportazione dei software per la
crittografia è la dimostrazione che una disciplina interna non può risolvere
il problema. Non so se matureranno le condizioni per un accordo internazionale.
Nel frattempo però, facendo tesoro del dibattito americano, si potrebbe
pensare ad una disciplina "soft", che faccia un uso apprezzabile dei
codici di autoregolamentazione. |