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 Nomi a dominio

Domain grabbing, le prime soluzioni
di Andrea Monti - 01.01.99

(Riprendiamo, per gentile concessione dell'autore e dell'editore, l'articolo pubblicato su Computer Programming - Edizioni Infomedia - n. 62 - ottobre 1997 Sempre di Andrea Monti, e sullo stesso argomento, si veda anche "The italian court approach on domani grabbing", su "The internet newsletter" -New York Law Publishing - settembre 1998, alla URL http://www.ljx.com/newsletters/internet/1998/1998_09_index.html)

Il problema della natura giuridica dei nomi di dominio è di sempre maggiore attualità ed è destinato a costituire uno degli aspetti centrali nell'ambito del commercio elettronico. E' oramai un fatto notorio che molto spesso - e non solo all'estero - spuntino come funghi controversie che hanno ad oggetto siti Internet e anche in Italia questa tendenza si sta affermando sempre di più. Dopo il provvedimento del Tribunale di Pescara (del quale ho già parlato in un numero precedente di CP), il primo ad occuparsi del problema, due ordinanze - una del Tribunale di Milano e l'altra del Tribunale di Roma - di quest'estate hanno fissato i punti di riferimento per le future controversie in materia, ancora una volta dimostrando quanto sia discutibile l'approccio di chi sostiene la necessità di un diritto del Ciberspazio sul presupposto dell'insufficienza della legge come la conosciamo oggi.

Le due situazioni (Milano e Roma) sono strutturalmente identiche: una società detiene un marchio registrato, un'altra società che opera nello stesso settore registra il dominio corrispondente al nome del concorrente e offre gli stessi servizi, in mezzo il GARR che nelle regole di naming si limita a verificare se il nome richiesto sia o meno disponibile. Come è facile immaginare si tratta di una situazione molto complessa che può, astrattamente, configurare una serie di violazioni di legge dalla concorrenza sleale, all'abuso di marchio, alla lesione del diritto al nome all'illecito civile tout court, anche se in concreto non è sempre facilissimo dare la prova di tutto ciò.

Tanto per darvi un'idea dei problemi nei quali ci si imbatte: come faccio a dimostrare al Giudice che la stampa delle pagine corrisponda esattamente a ciò che il mio avversario ha messo in linea? E se il provider smonta le pagine, cancella i log e quant'altro, che valore hanno quei pezzi di carta visto che nemmeno il Notaio ha il potere di certificazione necessario nel caso specifico?
Mentre ci pensate un po' su vado avanti con il ragionamento.

L'ordinanza del Tribunale di Roma

I fatti.
Un provider operante su Roma si fa assegnare il dominio http://www.portaportese.it e sul proprio sito organizza un mercatino telematico di inserzioni gratuite. Nulla di problematico se però sia in Rete che (soprattutto) in edicola non pre-esistesse la testata Portaportese di proprietà di un'altra società romana che da anni detiene i diritti di privativa sul nome in questione.
I legittimi titolari si rivolgono al Giudice perché - in attesa del verdetto definitivo - impedisse l'utilizzo del dominio contenente la parola "portaportese".
In sintesi dalla lettura dell'ordinanza emanata dal Tribunale di Roma il 2 agosto scorso si possono desumere i seguenti principi:

  • L'utilizzo di un dominio corrispondente al marchio altrui implica oggettivamente e per se stesso una situazione di sicura confondibilità per gli utenti e quindi realizza sia la violazione della legge sul marchio che quella sulla concorrenza sleale
  • L'assegnazione del dominio da parte del GARR non ha il potere di incidere sui diritti di terze parti e quindi non può essere opposta ai legittimi detentori del marchio.

L'ordinanza del Tribunale di Milano

Qualche mese prima il Tribunale di Milano aveva avuto occasione di pronunciarsi esattamente sullo stesso problema che si poneva negli stessi identici termini: una società, la Amadeus, è titolare di un marchio che un'altra società, la LOGICA S.r.l., utilizza come nome di dominio per offrire servizi analoghi.
Pur se sostanzialmente dello stesso tenore di quello romano, il provvedimento in questione presenta alcune diversità interessanti, vale a dire:

  • Il dominio concorre ad identificare i servizi commerciali offerti da un sito
  • Il sito stesso configura di fatto il luogo (virtuale) ove l'imprenditore contatta il cliente fino a concludere il contratto
  • Il TOP LEVEL DOMAIN non ha efficacia distintiva e quindi non è idoneo a diversificare un nome dall'altro. In pratica Amadeus e Amedeus.it sono - ai fini della legge - assolutamente la stessa cosa.

I due provvedimenti coordinati insieme tratteggiano dunque uno schema abbastanza preciso dei criteri ai quali ispirarsi per la soluzione di questo tipo di controversie, con particolare riferimento alla questione della validità giuridica dell'operato del GARR.

Le responsabilità della Naming Authority

Anche se il GARR si limita ad assegnare un dominio a chi lo richiede applicando la regola del first come-first served ciò non significa che sia del tutto estraneo alle controversie tipo quelle che di cui stiamo parlando.
Essendo infatti il proprietario dei domini (che vengono dati al provider in una mezza specie di affitto) è l'unico a poterli togliere a chi li ha ricevuti in assegnazione. Del resto sono le stesse regole di naming a stabilire che in caso di ordine dell'Autorità Giudiziaria il dominio può essere senz'altro revocato. Stando così le cose è evidente che in tanto l'ordine del Giudice potrà essere formulato in quanto l'ente sia stato preventivamente citato a comparire non - si badi - perché ha una qualche responsabilità nel fatto concreto, ma solo perché in prospettiva sarà destinatario di un provvedimento giudiziario.

La questione è seria perché se - come è ragionevole aspettarsi - le cause in materia cominceranno a moltiplicarsi gli avvocati del GARR dovranno schizzare da una parte all'altra dell'Italia e, pensando al caso Playboy-Playmen, forse anche fuori dai patrii confini, a meno di non rivedere i criteri per l'assegnazione dei domini e le procedure di contestazione che al momento dimostrano più di un bug.

Istruzioni per l'uso

Venendo alla praticaccia, se siete titolari di un marchio e avete proprio deciso di fare causa a chi vi ha "scippato" il dominio probabilmente dovrete anche voi seguire la strada già percorsa dai vostri predecessori facendo due cose.
La prima: convincere il Giudice, con un ricorso in via d'urgenza ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile, della necessità di inibire immediatamente l'uso del dominio al concorrente.
La seconda: proseguire il giudizio formulando la richiesta di risarcimento del danno, l'inibitoria definitiva all'uso del dominio e la pubblicazione del dispositivo della sentenza su uno o più periodici.
Attenzione, tutto quello che avete letto non significa che chiunque detenga un marchio possa automaticamente farsi assegnare il dominio corrispondente perché è necessario che ricorrano alcuni elementi, vale a dire:

  • Entrambi i soggetti coinvolti devono essere imprenditori
  • Devono operare in settori analoghi
  • Fra di loro deve esistere un rapporto di concorrenza

Questo è proprio il distinguo contenuto nell'ordinanza del Tribunale di Pescara alla quale ho fatto riferimento in precedenza: in quel caso il Giudice ha posto alla base della decisione - fra l'altro - il fatto che uno dei due soggetti non fosse un imprenditore ma il Presidente di un'associazione non-profit e che quindi non aveva titolo per agire contro l'assegnatario di un dominio.

Va da sé che si vi trovaste dal lato di chi detiene il dominio, dovreste resistere cercando di provare esattamente il contrario di quello che ho appena detto.
Da qualsiasi parte siate, in bocca al lupo!