I veri problemi giuridici dei
nomi a dominio
di Andrea Monti - 27.04.2000
Fra gli aspetti problematici generati dalla registrazione di un nome a
dominio ce ne sono alcuni poco o nulla presi in considerazione dalla dottrina.
Mi riferisco in modo particolare al cosiddetto "regime di
circolazione" del nome a dominio, che a sua volta sottintende la corretta
individuazione della sua titolarità.
L'assetto attuale è organizzato in modo che il richiedente riceva in
"uso" il nome prescelto, mentre la "proprietà" rimane della
Registration Authority.
Se questa impostazione può "reggere" in riferimento ai nomi
generici, presenta invece qualche debolezza quando si passa ai segni distintivi
e ai nomi propri.
In estrema sintesi, questi sono i termini del problema: Il titolare di un segno
distintivo ha il diritto di "spenderlo" senza alcuna limitazione (nell'ambito
delle categorie merceologiche e degli impieghi prescelti). Dunque egli è libero
di apporre il marchio su confezioni, prodotti, pubblicità varie.
Ma quando si passa all'internet, curiosamente, questo soggetto subisce una
compressione del proprio diritto, dato che ciò che era "suo" (il
diritto di "spendere" il marchio), con l'atto della registrazione
del nome a dominio si trasforma in un qualcosa appartenente a terzi, e quindi
soltanto da "usare". In altri termini, l'assegnazione di un nome a
dominio sembrerebbe provocare un automatico trasferimento in capo alla RA del
diritto esclusivo di usare un segno distintivo sull'internet sotto forma di
indirizzo (web, e-mail e quant'altro).
Facciamo un esempio pratico: la Coca-Cola detiene tutti i diritti sull'omonimo
marchio che quindi controlla in senso assoluto. Nel momento in cui richiede l'assegnazione
del nome a dominio, di fatto cede automaticamente alla RA di turno una parte del
proprio diritto, senza avere più alcuna voce in capitolo, il che, ammetterete,
è una conclusione difficilmente condivisibile.
Un altro ambito problematico derivante dall'attuale sistema di
assegnazione, riguarda la possibilità di sottoporre ad esecuzione (mobiliare,
presumo) un nome a dominio. Che questo abbia (o acquisti) un valore economico è
fuori discussione. Come è fuori discussione che dovrebbe entrare a pieno titolo
nel patrimonio dell'assegnatario e quindi, in ipotesi, concorrere a formare la
"massa" da mettere a disposizione degli eventuali creditori.
Ma se il dominio viene assegnato in uso (e posto che possa essere considerato un
"bene" in senso giuridico) è evidente che non potrebbe essere
espropriato coattivamente all'assegnatario, in quanto questi non ne sarebbe
proprietario.
La conclusione è che sarebbe necessario stabilire, magari per legge, che l'"espropriazione"
dei nomi a dominio si concreti stabilendo un "diritto di subentro" in
capo al creditore.
Un totale cambio di prospettiva, potrebbe invece essere quello di non
considerare il nome a dominio "in sé", ma di pensare alla
registrazione del dominio come un vero e proprio "servizio". Cosa che
peraltro risponde alla realtà operativa, atteso che la RA offre al richiedente
la semplice possibilità di determinare il contenuto di un campo del database.
In altri termini, ciò significa che il rapporto fra richiedente e RA non
avrebbe nulla a che vedere con la cessione di diritti sui marchi o con altre
fattispecie giuridiche. Ma si configurerebbe appunto come una semplice
"messa a disposizione" di una infrastruttura tecnica, il database dei
nomi a dominio, senza che questo possa incidere sulla titolarità dei segni
distintivi o su altri diritti altrui. In altri termini, non si realizzerebbe
alcuna limitazione delle situazioni giuridiche soggettive preesistenti in capo
all'assegnatario.
Questa soluzione, oltre ad essere coerente, ha inoltre il pregio di
dimostrare, ancora una volta, che non c'è bisogno di una legge ad hoc
per regolamentare un semplice elemento tecnico.
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