Aspetti giuridici della registrazione
dei nomi a dominio
di Andrea Monti - 04.10.01
Riportiamo alcuni passaggi del quinto capitolo del libro Trademark
online di Alessia Ambrosini e Andrea Monti, utili per capire la sostanza del
problema della regolamentazione del registro dei nomi a dominio. Per semplicità
di lettura sono state omesse le note a pie' di pagina.
Le Regole di naming
Il fatto che la gestione dei nomi a dominio sia esercitata da una "Authority"
che emana "regole" potrebbe indurre a pensare che queste regole abbiano - in
qualche modo - una efficacia generale e vincolante per tutti. Come se, in altri
termini, l'ente normatore avesse un qualche potere proveniente direttamente o
indirettamente dallo Stato. In realtà questo non è vero, perché i poteri
della Naming Authority e della Registration Authority hanno un'efficacia molto
limitata. Al di là degli aspetti - pur importanti - che verranno trattati in
questo capitolo, il problema della qualificazione giuridica del Registro e dei
suoi atti, nonché della validità delle Regole di naming è molto serio. Come
oramai è stranoto, la "delega" per la gestione del Cc TLD .it è affidata
allo IAT-CNR da ICANN, cioè da un soggetto giuridico di natura privatistica
sottoposto alla giurisdizione e alla legge americana. In altri termini, lo
IAT-CNR (una pubblica amministrazione) esercita le funzioni di Registro (un
pubblico servizio) sulla base di una "convenzione privata" con un soggetto
straniero che può revocarla in qualsiasi momento. In questo contesto, lo
IAT-CNR è l'unico soggetto abilitato a "fare le regole", potere che non
ha mai delegato formalmente a nessuno (e tantomeno alla Naming Authority)
Il nodo da sciogliere, in definitiva, è capire se gli atti della RA possano
essere considerati "atti amministrativi" oppure no. Se la risposta fosse
positiva, bisognerebbe allora verificare se la potestà amministrativa sulla
gestione dei nomi a dominio spetti istituzionalmente allo IAT-CNR o ad altro
organo.
Nel primo caso (lo IAT-CNR è "geneticamente" il Registro), in assenza di
atti formali che recepiscono le Regole di naming o che delegano alla NA il
potere di determinarle, lo IAT-CNR può disporre in pena libertà dei nomi a
dominio. Anche al di là delle Regole stesse, che dunque sono prive di qualsiasi
valore. Il che trascina verso il nulla anche le procedure di riassegnazione e
quant'altro.
Se invece la funzione di ente regolatore per la gestione dei nomi a dominio
spettasse per legge ad altro organo ne deriverebbe che lo IAT-CNR non avrebbe
titolo per svolgere questa attività. Con la conseguente generale carenza di
potere di tutti gli atti emanati in materia (va da sé che anche in questo caso,
le Regole di naming perderebbero qualsiasi valore).
Fra le due possibilità, quest'ultima sembrerebbe la più probabile. Il
sistema normativo comunitario delle TLC già prevederebbe la possibilità di
ricondurre la gestione dei nomi a dominio all'interno della regolamentazione
dei sistemi di numerazione. La direttiva 97/51, una delle tante che hanno
integrato o modificato i "testi sacri" della liberalizzazione delle
TLC si occupa già a partire dai "considerando" (particolarmente
interessanti il 9 e il 10[2]) dei requisiti dei sistemi di
numerazione/denominazione, attribuendo la potestà regolamentare in materia alle
singole autorità indipendenti nazionali.
Si tratta ora di capire se un nome a dominio possa essere (di fatto, o per
estensione della norma) considerato un sistema - ancorché atipico - di
numerazione o denominazione. Certo, il DNS non è tout court equiparabile
alla categoria, ma questo non fa venire automaticamente meno il suo
"diritto di cittadinanza" in questo paese.
Se così fosse, e se dunque si potesse ricomprendere a pieno titolo la species
nel genus ne deriverebbe un argomentoa sostegno della tesi secondo la
quale il soggetto deputato a regolamentare il settore sarebbe appunto l'AGCOM
. E quindi, sulla base delle deleghe di cui sopra, in definitiva il Ministero
delle comunicazioni o lo stesso CNR.
Rimane da valutare l'ipotesi secondo la quale lo IAT-CNR agirebbe in totale
regime privatistico. In questo caso - posto comunque che la materia lo consenta
- saremmo di fronte a Regole di naming e procedure determinate secondo il
diritto civile. Come hanno evidenziato già da tempo alcune pronunce
giurisprudenziali che si sono occupate della questione. Negando valore generale
alle Regole, da considerarsi, al più, come condizioni generali di contratto,
con tutte le conseguenze in materia di forma, vessatorietà delle clausole e
quant'altro.
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Poi ci sono alcune considerazioni di natura giuridica.
L'art. 5 del contratto per i manteiner dice testualmente:
Regole di Naming
Lo IAT-RA opera sulla base delle regole di Naming in
vigore al momento della richiesta di registrazione di un nome a dominio, che
vengono contestualmente accettate dal Provider/Maintainer. Con l'invio della
richiesta di registrazione il Provider/Maintainer accetta le regole di Naming
in vigore in quel momento e si impegna a rispettarle.
Poi ci sono le disposizioni della LAR (argomento sul quale tornerò in uno
specifico paragrafo), secondo le quali l'assegnatario di un dominio dichiara -
fra l'altro - di
.essere a conoscenza e di accettare che
l'assegnazione di un nome a dominio e la sua registrazione sono soggette alle
regole di Regole di Naming ed alle Procedure Tecniche di registrazione stabilite
dalla Naming Authority Italiana
Senza tuttavia che ci sia da nessuna parte l'impegno ad accettare
automaticamente anche le versioni successive delle Regole. In altri termini, il
rapporto fra titolare del dominio e Registration Authority è regolato dalle
condizioni generali (le Regole di naming) in vigore al momento dell'invio
della lettera di assunzione di responsabilità. E non potrebbe essere
diversamente, visto che è assolutamente pacifica l'impossibilità di "cambiare
le regole" dopo che il contratto è stato stipulato senza dare la possibilità
di una nuova manifestazione di volontà.
Il parere dei tribunali
La correttezza di questa impostazione è confermata da un orientamento
praticamente costante della giurisprudenza italiana che attribuisce appunto
valore contrattuale (e dunque limitato solo alle parti contraenti) alle Regole
di naming.
Il primo giudice a pronunciarsi sulla validità generale delle Regole di
naming - negandola - fu il tribunale di Roma nell'ordinanza del 9 agosto 1997
emanata nel procedimento Sege vs Starnet (più noto come "caso Porta Portese").
Il resistente - che aveva registrato il dominio corrispondente al marchio e alla
testata di proprietà del ricorrente - si difese infatti sostenendo la
legittimità della registrazione sulla base del principio first come, first
served applicato normalmente in materia di registrazione.
Regole o condizioni generali di contratto?
In sintesi, dunque, le Regole di naming possono essere considerate "condizioni
generali di contratto" i cui contenuti non possono, di conseguenza, essere
cambiati unilateralmente da una delle parti senza che l'altra manifesti
esplicitamente o implicitamente una qualche forma di accettazione ulteriore.
Come ad esempio chiedere l'applicazione di una nuova clausola, non presente
nel testo delle Regole vigenti al momento della registrazione di un certo
dominio. In altri termini, se un dominio è stato registrato quando non era
possibile trasferirlo e l'assegnatario avanza una richiesta di trasferimento
ai sensi della nuova formulazione delle Regole, questo potrebbe valere come
accettazione implicita delle nuove condizioni di prestazione del servizio. Anche
se, a stretto rigore, sarebbe corretto chiedere esplicitamente a tutti i
titolari di un nome a dominio di accettare le nuove condizioni. E se qualcuno si
rifiuta? In questo caso si potrebbe considerare automaticamente risolto il
contratto. Ma sulla legittimità di una soluzione del genere - considerando che
la RA opera in regime di monopolio - qualcuno (ad esempio l'Autorità garante
per la concorrenza ed il mercato) potrebbe avere più di qualche dubbio.
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