E' entrato in vigore il 19 marzo il decreto
legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005, "Codice della proprietà
industriale".
Si tratta di una iniziativa legislativa tra le più rilevanti finora varate dal
Governo nel settore delle codificazioni, sia per la materia trattata, sia per l'estensione
degli interventi realizzati con tale speciale codificazione. Il Codice provvede
ad un razionale riassetto della disciplina della proprietà industriale, alla
semplificazione normativa ed al coordinamento delle fonti nazionali e
comunitarie, nonché all'ampliamento della tutela riservata alla proprietà
industriale, alla ridefinizione delle competenze dell'Ufficio italiano
brevetti e marchi ed, in particolare, alla tutela delle invenzioni realizzate
dai ricercatori delle Università e degli enti pubblici di ricerca.
Il nuovo Codice, composto da 246 articoli, si occupa di brevetti per
invenzione, modelli di utilità, disegni e modelli, nuove varietà vegetali,
topografie dei prodotti a semiconduttori, delle informazioni aziendali
riservate, dei marchi e degli altri segni distintivi, mentre contiene solo un
accenno alla materia delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di
origine, la cui complessità necessita di una normativa ad hoc, salvo, poi,
precedere ad una unificazione normativa di tale codice e del secondo (emanando)
corpo normativo al fine di assicurare uno strumento giuridico unitario e
onnicomprensivo.
A voler enucleare i contenuti del Codice, si può affermare che esso è
suddiviso in otto parti che assumono la configurazione di libri a sé stanti, i
cui contenuti sono stati già con lucidità individuati da uno dei primi
commentatori del testo codicistico. Il primo libro risulta dedicato alle "disposizioni
generali, nelle quali sono enunciati i principi fondamentali della normativa de
qua, quali l'ambito di applicazione della normativa, gli obiettivi della
stessa, la disciplina applicabile agli stranieri e le disposizioni in tema di
priorità, comunione ed esaurimento dei diritti". Il secondo appare, invece,
incentrato sulle "norme sostanziali, relative a ciascun titolo di proprietà
industriale, suddivise in apposite sezioni concernenti rispettivamente: marchi,
indicazioni geografiche, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità,
topografie di prodotti a semiconduttori, informazioni segrete e nuove varietà
vegetali.
Nell'ambito delle singole sezioni, ferme restando le naturali differenze
sostanziali e le norme proprie, la disciplina è articolata prevedendo,
preliminarmente, l'oggetto del diritto di proprietà industriale, i requisiti
per ottenerlo e le eccezioni agli stessi, gli effetti della tutela, la sua
durata, i diritti e gli oneri ad essa connessi, le limitazioni a tali diritti,
le cause di decadenza e di nullità".
Quanto al terzo, il medesimo appare ruotare sulla "disciplina per la tutela
giurisdizionale, che reca, in maniera unitaria, le norme riprodotte nelle
singole leggi speciali. Tra le novità si sottolinea il riferimento alle sezioni
specializzate dei tribunali, previste dall'articolo 16 della legge 273/2002 ed
istituite con il decreto legislativo 168/2003, l'introduzione del rito
abbreviato del nuovo diritto societario, le disposizioni integrative della
Commissione dei ricorsi, conseguenti all'applicazione della procedura di
opposizione alla registrazione dei marchi di cui al decreto legislativo 447/99,
la introduzione delle norme sulla pirateria contenute nella legge finanziaria
2004".
Quanto al contenuto dei restanti libri è possibile affermare che essi
appaiono dedicati rispettivamente a:
- le condizioni per l'acquisizione ed il mantenimento in vita dei titoli e le
relative procedure, tra cui quella relativa alla opposizione alla registrazione
dei marchi sopra citata. In tale ambito si noterà che il ricorso alla
delegificazione non ha avuto dimensioni rilevanti e ciò in quanto è stato
giustamente salvaguardato il ruolo determinante delle procedure amministrative
per l'esercizio ed il mantenimento in vita dei diritti brevettuali.
- le procedure speciali, quali quelle relative all'espropriazione, al
sequestro, alla segretazione militare, alle licenze obbligatorie e a quelle
volontarie sui principi attivi farmaceutici, nonché alla Commissione dei
ricorsi;
- l'ordinamento professionale, per il quale vengono riprese le disposizioni
esistenti, contenute in provvedimenti di vario rango;
- la gestione dei servizi da parte dell'ufficio italiano brevetti e marchi;
- le disposizioni transitorie comprensive delle norme abrogate".
Inevitabilmente, il Codice affronta tematiche specifiche delle nuove
tecnologie, non sempre, per la verità, nella maniera migliore.
Prima fra tutte, si evidenzia il particolare riferimento ai domain names.
Originariamente gli stessi risultavano esplicitamente disciplinati agli artt.
118-124. ma non può essere sottaciuto come la questione dell'individuazione
della loro disciplina e prima ancora della loro qualificazione giuridica si
presentasse particolarmente delicata, in quanto la delega in base alla quale il
testo unico è stato emanato prevedeva, esclusivamente, il "riassetto delle
disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale", mentre
mancavano nel nostro ordinamento disposizioni espresse in materia di domain
names. Dunque, non potevano dirsi consentiti, alla luce del dato testuale
della legge delega, interventi che andassero oltre un adeguamento delle norme
esistenti alle nuove problematiche poste dalle nuove tecnologie. Il rischio, ove
si fosse superato il suddetto limite, sarebbe stato quello di un potenziale
sindacato di legittimità costituzionale per il vizio di eccesso di delega.
Compiuta tale doverosa premessa, il codice, affrontando il delicato argomento
ha voluto assicurare ai domain names una tutela non solo sostanziale ma
anche formale, in quanto, per la prima volta, il nome a dominio viene
equiparato, a livello legislativo, agli altri segni distintivi. L'articolo 22
(Unitarietà dei segni distintivi) prevede, infatti, che:
1. È vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e
nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all'altrui marchio se, a causa
dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei
segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa
determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche
in un rischio di associazione fra i due segni.
2. Il divieto di cui al comma 1 si estende all'adozione come ditta,
denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale di un segno
uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non
affini, che goda nello Stato di rinomanza se l'uso del segno senza giusto motivo
consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla
rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
Una volta, quindi, accertato che il marchio registrato debba essere tutelato
anche su Internet, può, quindi, presentarsi il caso in cui un soggetto
registri presso la autorità competente un nome a dominio che corrisponda
in tutto o in parte ad un marchio registrato il cui diritto di utilizzo
è di esclusiva spettanza di un terzo. In questi casi, gli strumenti
adottabili da parte del titolare del marchio registrato laddove ritenga
che l'utilizzo, come nome a dominio altrui, del proprio marchio possa
configurare una attività illecita, sono proprio quelli forniti dalla
normativa in tema di marchi e dalla disciplina sulla concorrenza sleale.
La giurisprudenza italiana e straniera, chiamate a giudicare sui numerosi
casi emersi, ha affermato più volte il principio della equiparazione di
Internet al mondo tangibile, del quale il primo si configura quale naturale
completamento, sancendo, nel contempo, che l'uso di un domain name
sulla rete che riproduca un marchio registrato da un terzo, integri la
fattispecie della contraffazione del marchio in quanto comporta l'immediato
vantaggio, per l'utilizzatore, di ricollegare, nel giudizio del pubblico, la
propria attività a quella del titolare del marchio. E fruire di questa
associazione mentale, ingenerata nel pubblico, significa, inevitabilmente,
sfruttare la notorietà del segno. E, pertanto, già sulla scorta di tale
principio sancito a livello giurisprudenziale, si era pervenuti a ritenere,
prima della novella codicistica., che solamente il titolare di un marchio
registrato avesse il diritto esclusivo di servirsene nella comunicazione di
impresa e, quindi, anche in Internet o all'interno di un sito specifico, o,
come domain name.
Ora, invece, è lo stesso art. 133 del Codice che prevede la possibilità per
l'autorità giudiziaria di disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria
dell'uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo
trasferimento provvisorio, subordinandolo, eventualmente, anche alla prestazione
di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.
Per approfondimenti www.ipsoa.it/dirittodellinternet/statici/attualita.pdf
Per info sulla rivista http://ipshop.ipsoa.it/scheda.asp?ID=000040763
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