Il professor Roberto Benzi, già componente dell'Autorità
per l'informatica nella pubblica amministrazione, è consigliere scientifico
del Ministro per l'innovazione e le tecnologie. Segue dal 1997 gli aspetti
tecnologici del progetto della carta d'identità elettronica ed è quindi una
fonte autorevole per avere risposte precise sullo stato di avanzamento del
progetto e sui reali problemi della sua realizzazione (vedi Stanca: ripensiamo la CIE? Pisanu: no! sul
numero della scorsa settimana).
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D. Professor Benzi, lo scambio di messaggi tra il
ministro Stanca e il suo collega Pisanu rivela che il progetto della carta d'identità
elettronica non procede come si vorrebbe. I costi sono molto elevati e si
discute della possibilità di eliminare la banda ottica e di spostare la fase di
preparazione dai Comuni a un numero ridotto di centri di servizio. Come stanno
realmente le cose? E, soprattutto, il progetto pubblicato nel 1999 è ancora
attuale o può essere utile un aggiornamento?
R. Il punto da cui eravamo partiti nel 1997 era quello
del rilascio "a vista" della carta introdotto come vincolo organizzativo non
derogabile. Si doveva trovare un metodo per ottenere una sicurezza molto più
alta di quella del documento cartaceo, nel quale sostituire la fotografia non è
difficile per un abile falsario. Ed è banale anche sostituire la foto stampata
sul supporto di PVC. Bisognava trovare un sistema che garantisse che, una volta
inserita la foto, non potesse essere cambiata se non distruggendo, di fatto, la
carta.
Allora ci vollero due anni di discussione per decidere "cosa" dovesse essere
la carta. All'inizio si pensava solo allo strumento di identificazione e non
ai servizi in rete. Poi si pensò soltanto ai servizi in rete e quindi si misero
le due cose insieme. E si scoprì che, dati i vincoli organizzativi, quelli di
sicurezza e quelli politici, era l'unica cosa che si poteva fare.
Il progetto, come progetto, regge ancora, perché altri Paesi che hanno
incominciato dopo di noi hanno adottato la stessa struttura. Le variabili in
discussione sono due: come si emette la carta e quali sono le garanzie di
sicurezza. Laddove la carta è realizzata in una o più strutture all'interno
del Paese si scelgono adeguate misure di sicurezza fisica della carta, diverse
dalla banda ottica.
D. Ma la banda ottica non era stata inizialmente
proposta come supporto di memoria? Non è così nelle regole tecniche?
R. Sì, ma il punto fondamentale è quello di dare
garanzie nel riconoscimento a vista. Dal punto di vista tecnico si può anche
mettere la foto anche nel microchip, ma c'è un problema: quali strumenti
hanno le forze di polizia per riconoscere un soggetto fermato per accertarne l'identità?
E cosa faccio se ci trova all'estero? Una soluzione poteva essere quella di
dotare la polizia di lettori di microchip, ma era una soluzione molto complessa.
D. Complessa nel '97. Oggi che gli agenti di
quartiere hanno il palmare, che tutte le nuove automobili hanno il computer a
bordo, collegato via radio con le banche dati, la questione diventa molto
semplice.
R. C'era, e c'è, il problema che il microchip è
facile da distruggere: basta una banale scarica elettrica. A questo punto se il
microchip è distrutto, la polizia che fa, porta il cittadino in Questura?
D. Esattamente come fa oggi con una persona sprovvista
di documenti.
R. Giusto. Ma il problema non è banale, perché se il
nuovo strumento non funziona allora la gente rivuole la vecchia carta. Allora c'erano
tre soluzioni possibili. La prima era molto semplice: per garantire l'autenticità
della foto, si può far produrre la carta da uno o più centri tecnici che sono
in grado di imprimere la fotografia con tecnologie particolari che la rendono
non sostituibile. Ma a questo punto il rilascio non è più a vista, ci vuole
una settimana. Questa era una possibilità, possibilità concreta perché
mettendo la foto all'interno della struttura di plastica si deve distruggere
la plastica per cambiare la foto.
Un'altra possibilità era di dare la carta normale, come quella di adesso, per
l'identificazione, e una carta elettronica per i servizi. Ma questo avrebbe
significato non avere una carta d'identità più sicura di quella attuale. La
terza soluzione era in un marchingegno che potesse dare la garanzia di
verificabilità della foto. E l'unica garanzia, e ancora oggi non ce n'è un'altra
se si richiede l'emissione a vista, era la banda ottica con l'immagine
visibile. Questo è stato l'unico motivo per cui è stata adottata la banda
ottica.
In ogni caso qualunque cosa si faccia su una carta d'identità o su qualunque
altro documento è necessario metterci sopra qualcosa di esclusiva e totale
proprietà della struttura che emette il documento stesso. Che sia un ologramma
o uno strato di inchiostri particolari, ci deve essere qualcuno che produce
quell'oggetto solo per chi emette quel tipo di documento.
D. E questo aspetto è comunque risolto con la
competenza esclusiva del Poligrafico dello Stato per la produzione della carta
ibrida. Ma non c'è un accorgimento meno costoso della la banda ottica?
R. Come è stato fatto presente al Ministero dell'interno,
ci sono due elementi da considerare: da un lato il costo della carta e dall'altro
la complessità organizzativa. Non soltanto si deve produrre l'oggetto, poi si
deve organizzare la struttura di emissione on line e a vista in 8.100 comuni,
con il cittadino che aspetta davanti allo sportello. Ora, ammettiamo pure di
avere i soldi per la banda ottica, il problema è anche come organizzare il
processo di emissione. La prospettiva di riuscire a fare l'emissione a vista
su tutto il territorio nazionale non è realisticamente praticabile ed è
comunque molto onerosa per i comuni.
D. Però oggi non c'è un Comune che non abbia un
PC, un lettore-scrittore di smart card costa pochi euro.
R. Ma non basta, perché si devono anche fare un certo
numero di operazioni con il sistema centrale.
D. E sembra che sia stato proprio questo, nelle
sperimentazioni, a perdere colpi.
R. Qualsiasi sistema informatico, per definizione, quando
parte perde colpi. L'idea prospettata è questa: invece di spendere nelle
stazioni di emissione dei singoli Comuni e di spendere soldi sulla banda ottica,
riformuliamo il progetto. Diciamo che sul territorio ci sarà un certo numero di
centri servizio per i Comuni, cui comunque spetta il compito di rilasciare la
carta di identità al cittadino, che produrranno le carte su richiesta dei
Comuni e provvederanno alla gestione dei certificati digitali all'interno del
microchip. La procedura riduce la complessità organizzativa sia per i Comuni
che per il Ministero dell'interno. Le carte non verranno più emesse a vista,
ma in questo modo si semplificano le cose risparmiando dei soldi. Bisogna avere
la garanzia di distribuire le carte in tempi brevi e probabilmente in questo
modo possiamo partire su tutto il territorio nazionale senza richiedere ai
Comuni uno sforzo organizzativo che non tutti sono il condizioni di compiere.
Peraltro questa possibilità è già prevista nel progetto, fin dall'inizio. E
in alcuni casi questi centri sono stati fatti.
Ma è chiaro che, dopo tanto lavoro per mettere a punto tutti i dettagli, esiste
la paura che cambiare lo schema di produzione ed emissione della carta potrebbe
determinare una battuta d'arresto, e potrebbe anche significare la morte del
progetto. D'altra parte è vero che per riuscire a portare a termine, e bene,
il progetto attuale, servono almeno ottocento milioni di euro. I casi sono due:
o li abbiamo o non li abbiamo. Se non li abbiamo, questo costo in un modo o nell'altro
finisce per gravare sui cittadini.
D. Che difficilmente lo accetterebbero. Ma allora come
si fa?
R. Adesso siamo nella seconda fase della sperimentazione
il cui completamento è una questione puramente organizzativa. Ma alla fine
dobbiamo capire come passare da 56 a 8.100 Comuni. Anche mantenendo il progetto
così com'è, senza alterare la tecnologia, non possiamo affidare la fase di
assestamento organizzativo a una specie di moto spontaneo del territorio verso l'aggregazione
sui centri di servizio, perché i tempi diventano lunghissimi. Dall'altra
parte c'è il problema dei soldi, che alla fine significa decidere se
mantenere il progetto nella forma attuale, rispetto a possibili guadagni che si
potrebbero avere cambiando alcuni aspetti della tecnologia.
D. Un altro aspetto critico è che tutti vogliono la
carta d'identità elettronica permetterci dentro anche qualche altra cosa.
R. Questa, per fortuna, è un'idea che sta morendo. All'inizio
abbiamo fatto molta fatica a far capire che nella carta d'identità non ci si
deve mettere dentro nulla.
D. Neanche la firma digitale?
R. Solo la firma digitale! E già così si incontrano non
poche difficoltà.
D. Ma se la carta d'identità deve essere anche "dispositivo
sicuro di firma", come la mettiamo in tutte le occasioni in cui il documento
deve essere consegnato a qualcuno, o addirittura depositato con funzioni di
garanzia?
R. Comunque il dispositivo di firma è protetto dal PIN.
D. Ma la norma dice che il titolare deve custodirlo
con la massima diligenza. In realtà il problema è "culturale": si dovrebbe
far capire che il dispositivo di firma non dovrebbe essere affidato a nessuno, a
partire dal commercialista.
R. Il discorso è corretto, ma il punto è
fondamentalmente un altro. Ricordo che il responsabile dei servizi informativi
di un grande Comune chiedeva, nel '99, qualcosa che servisse da dispositivo di
firma e sistema di pagamento. Non sembrava molto, ma in realtà è la cosa più
complicata che si possa chiedere, come si vede nella sperimentazione che sta
avvenendo adesso a Bologna per la CNS. Si dimostra la possibilità di utilizzare
questi strumenti di accesso, per esempio per l'identificazione da parte del
sistema bancario. Per farlo però c'è voluto che il sistema bancario si
attrezzasse in un certo modo, che ci fosse un processo di standardizzazione per
i certificati, un marchingegno molto complicato.
D. Qualcuno pensa di usare la CIE o la CNS anche per l'erogazione
di servizi comunali, come il pagamento dei trasporti o dei parcheggi.
R. Questi servizi, secondo me, sono assolutamente
incompatibili con uno strumento come questo: è lampante che la soluzione per i
trasporti non è in una carta per il cui funzionamento si deve digitare un
codice. Uno dei sistemi più efficienti di pagamento dei trasporti è quello di
Hong Kong: un pezzo di plastica con un'antennina, chiamato Octopus, in cui si
caricano i soldi. E funziona benissimo.
Il fatto di mettere altri servizi nella CIE o nella CNS crea più danno che
beneficio. Già adesso con la firma digitale abbiamo fatto il massimo di sforzo
per mettere insieme due cose, strumento di accesso e firma digitale appunto,
che, tutto sommato, sarebbe meglio che restassero separate. Quello che c'è
oggi nella CIE basta: i dati anagrafici, la foto, eventualmente l'impronta
digitale (sotto forma di stringa di bit, non come immagine).
D. Questa potrebbe essere una cosa molto utile anche
per la firma digitale: con il lettore di impronta incorporato nel dispositivo di
firma, noi potremmo avere una certezza molto elevata, praticamente assoluta, che
la firma è generata proprio dal titolare del certificato.
R. Assolutamente sì. Se nella carta c'è la stringa
che rappresenta l'impronta, e se riusciamo a certificare dei dispositivi
hardware di lettura dell'impronta che garantiscano la non esportabilità della
stringa, sarebbe molto utile, la soluzione ottimale. La tecnologia esiste ma la
certificazione di sicurezza non è facile da gestire.
D. Nella risposta del ministro Pisanu si accenna anche
a una "commistione" tra la CIE e il passaporto elettronico. Non è chiaro
però come si possano fondere due documenti così strutturalmente diversi, visto
che gli accordi internazionali prevedono che il passaporto sia costituito dal
tradizionale libretto con un chip annegato nella copertina di cartone.
R. Io non credo che si possa mettere insieme il
passaporto elettronico con la carta d'identità, dal punto di vista
tecnologico. Per un motivo molto banale: il passaporto elettronico sta andando
per la sua strada ed è coerente con un processo di standardizzazione in sede
internazionale. Se noi seguiamo quel tipo di standard, dobbiamo rifare lo
standard della CIE, che non è un'impresa banale.
In teoria basterebbe riprendere la parte relativa alla lettura di prossimità,
ma in sostanza si dovrebbe rifare daccapo tutto il progetto.
D. Ci sono altri aspetti critici?
R. Come già detto il vero punto di debolezza del
progetto è la complessità organizzativa. Inoltre è necessario ricordarsi che
dobbiamo comunque mandare a regime una macchina che avrebbe dovuto funzionare
anche senza la carta di identità elettronica. Per dirla con chiarezza: non ci
può essere un sistema di identificazione sicuro se prima non c'è l'allineamento
delle anagrafi, se non c'è la sicurezza che un soggetto non è residente
contemporaneamente in diversi Comuni. Il progetto della carta d'identità
elettronica spinge questo passaggio fondamentale.
D. In conclusione, si possono fare previsioni sui
tempi dello sviluppo e dell'entrata a regime del sistema?
R. Il Ministero dell'interno dà per certo, e mi sembra
che questa aspettativa sia corretta, di portare a compimento il milione e mezzo
di carte per la fine dell'anno. A questo punto, chiusa la sperimentazione, se
la decisione è di far pagare la carta al cittadino, si potrebbe passare alla
fase definitiva. La legge prevede cinque anni perché i Comuni vadano a regime,
il che significa che dopo cinque anni non può più essere emesso il documento
cartaceo.
Questa è la previsione ufficiale. La previsione ufficiosa è che questa data
finale verrà definita alla fine della seconda fase della sperimentazione. E'
quindi giusto, prima di effettuare scelte definitive, riflettere se e come
possiamo migliorare le cose.
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