La multa inflitta alla Microsoft avrebbe dovuto essere assai più consistente dei
neanche 500 milioni di euro della sentenza finale. E soprattutto non avrebbe
dovuto riguardare solo gli aspetti di cui si è occupata la Commissione europea,
peraltro abbastanza marginali, ma i sovrapprezzi (con conseguenti superprofitti)
che grazie alla sua posizione di monopolio la società americana riesce ad
imporre agli europei e, insieme a loro, ai cittadini di tutto il mondo.
Questa era la richiesta contenuta in una lettera inviata dai responsabili
dell'associazione OpenPa-software aperto nella pubblica amministrazione -
Giancarlo Fornari e Pasquale Russo, al Commissario europeo alla concorrenza
Mario Monti. Nella lettera si ricordava che in un documento trasmesso alla SEC
lo stesso Gates ha ammesso che il margine di guadagno che la Microsoft realizza
sui suoi prodotti è di circa l'85%. Proprio in considerazione di questa
circostanza, nel 2003 la Microsoft ha dovuto stipulare in California, per
salvarsi dalle cause che le autorità e le associazioni dei consumatori di
questo Stato le avevano intentato, un accordo con il quale si impegnava a
versare alle autorità una somma pari ad oltre un miliardo di euro da stornare
ai consumatori locali.
E' questa la direzione verso cui avrebbe dovuto orientarsi la Commissione,
imponendo alla Microsoft di sborsare un risarcimento analogo e, soprattutto, di
abbattere conseguentemente il prezzo dei propri prodotti.
La strapotenza del monopolio americano del software - che costituisce il
contraltare informatico dell'imperialismo della politica americana -
rappresenta in effetti un grave ostacolo per la diffusione su scala mondiale
delle tecnologie informatiche. Ci si scandalizza tanto, e a ragione, dei costi
che le multinazionali farmaceutiche impongono all'Africa e agli altri Paesi
del Terzo mondo per la fornitura delle medicine anti-Aids, ma nessuno si ferma a
domandarsi quanto la "tassa" imposta a chiunque voglia acquistare i
sistemi della Microsoft (di fatto indispensabili per far funzionare anche il
più economico dei computer) ostacoli la diffusione nello stesso Terzo mondo di
quegli strumenti informatici che potrebbero contribuire a farlo uscire dalla sua
tragica condizione di emarginazione.
La strada per liberarsi da questa sudditanza, e su cui si stanno muovendo
molti paesi europei ed extraeuropei (tra i quali da ultimo anche la Cina) è
quella dello sviluppo dell'open software, ossia della capacità di costruire
dal basso e diffondere commercialmente prodotti informatici a codice libero meno
costosi e più sicuri (dei quali Linux è l'esempio più rilevante). Utilizzo
che va promosso anche in Italia, a partire dalle pubbliche amministrazioni,
valorizzando le conclusioni della Commissione promossa a questi fini dal
ministro Stanca (vedi la Direttiva 19 Dicembre 2003), e che andrebbe fortemente incentivato dall'Unione europea.
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