Libertà di software: un movimento
mondiale?
di Giancarlo Livraghi* - 13.09.01
Un nuovo movimento si aggira per il mondo. Ancora confuso, disordinato, non
molto visibile. Ma sembra che - con molti anni di ritardo - si cominci a
prendere coscienza del fatto che i sistemi informativi e culturali del mondo non
possono essere assoggettati ai capricci e alle prepotenze di un aggressivo
monopolista. Prima di entrare nell'argomento specifico, vorrei fare quattro
premesse.
- È evidente che quando una singola azienda ha oltre l'80 per cento del
mercato su scala mondiale si parli di monopolio - e che l'attenzione si
concentri sul monopolista. Specialmente quando il comportamento di quell'impresa
è, per molti aspetti, criticabile, nocivo e pericoloso. Ma non si tratta di
essere "pro o contro" la Microsoft. Si tratta di stabilire princìpi e
metodi che siano validi per tutti. I sistemi informatici, e ancor più
telematici (in particolare l'internet) sono nati e si sono evoluti
inizialmente nel mondo scientifico e in un quadro di collaborazione aperta. La
degenerazione "proprietaria" ha messo troppe leve fondamentali nelle mani di
interessi privati e di concentrazioni che reprimono ogni libertà: di mercato,
di sviluppo tecnologico, di informazione e di opinione.
- Non si tratta semplicemente di una scelta "fra Windows e Linux". Se è
vero che oggi Linux (insieme ad altre soluzioni libere e aperte della "famiglia
Unix") è la migliore alternativa praticamente disponibile, ciò che conta è
stabilire un principio universalmente valido che assicuri libertà,
compatibilità e trasparenza.
- Non si tratta solo di informatica o telematica. Attraverso il dominio dei
sistemi operativi, e di conseguenza dei programmi, è possibile esercitare un
prepotente controllo sulle reti, sul comportamento di persone e imprese,
invadere il terreno della comunicazione e della cultura, violare la privacy.
Soprattutto quando è nascosto il "codice sorgente" e quindi i contenuti e
il funzionamento dei programmi non sono verificabili. È palese e dichiarato che
l'attuale monopolista ha già fatto molte di queste cose e ha tutte le
intenzioni di fare ancora peggio. Ma se altri si trovassero nella stessa
situazione probabilmente farebbero cose analoghe. O avrebbero la possibilità di
farlo - cosa comunque inaccettabile.
- Nel momento in cui la percezione di questo problema si estende a livello
internazionale, la reazione assume spesso un tono "antiamericano" (con la
sgradevole conseguenza che si possano attenuare le - purtroppo deboli -
spinte antimonopoliste negli Stati Uniti). Non è questo il punto. Se è
preoccupante che ci sia un esagerato predominio di un solo paese sull'informatica
e sull'internet (come sulla cultura e sull'economia del mondo) la soluzione
non sta in limitazioni "protezioniste". Al contrario, occorre una
liberazione del sistema che permetta una più efficace concorrenza da parte dell'Europa
e del resto del mondo.
"Ciò premesso" - veniamo al punto. Con molti anni di ritardo, sembra
che il mondo cominci a svegliarsi e a prendere coscienza del problema. Notizie
diffuse alla fine di agosto 2001 dicono che ci sono varie iniziative tendenti
allo stesso obiettivo. Si stanno sviluppando in Brasile, in Argentina, in
Messico e in altri paesi dell'America latina (tanto è vero che qualcuno
definisce il movimento con un aggettivo spagnolo, software libre, in
assonanza con una nota bevanda). Sembra che non si tratti solo di dichiarazioni,
ma anche di fatti concreti. Per esempio risulta da altre fonti che in Brasile si
stanno adottando soluzioni opensource nel sistema sanitario - in Messico nella
scuola.
In Cina mancano notizie precise e aggiornate - ma da tempo si parla di
adozione "ufficiale" di sistemi operativi opensource (potrebbero essere
interpretazioni cinesi di Linux o di altri sistemi compatibili con Unix).
In Europa sembra che finalmente l'Unione Europea (in particolare il
commissario Mario Monti) stia cominciando a prendere coscienza del problema. Le
posizioni europee sul monopolio del software appaiono ancora deboli e
frammentarie - ma sembra prender forma una strategia per l'adozione di
soluzioni opensource. Le cose procedono un po' lentamente a livello
parlamentare in Francia (dove tuttavia ci sono iniziative diffuse e si sta
formando un'agenzia governativa per "per incoraggiare l'amministrazione
pubblica a usare software libero e standard aperti") e in Germania (dove da
tempo il governo finanzia lo sviluppo di sistemi aperti basati su Unix).
Non mancano, nel mondo, attività "spontanee" che non solo segnalano il
problema ma offrono e realizzano soluzioni concrete. Ciò che finora è mancato
è un coordinamento efficace - nonché un intervento coerente delle autorità
pubbliche, nazionali e internazionali.
Ci sono anche iniziative di imprese private, come quella dell'Ibm che ha
dichiarato di voler investire 200 milioni di dollari per lo sviluppo di
soluzioni opensource in Asia. (E altre che non fanno gran che di concreto ma,
almeno nelle loro dichiarazioni, vedono di buon occhio tutto ciò che può
allentare le catene del monopolio e dare spazio alla libertà di mercato).
Il fatto preoccupante è che tutti tendono a soffermarsi su alcuni aspetti di
dettaglio e perdono di vista la vera natura del problema. (Compresi i magistrati
americani che da otto anni indagano sul monopolio ma finora non hanno ottenuto
alcun risultato - e compresa, come già osservato, l'Unione Europea).
Sarebbe desiderabile che una prospettiva internazionale riuscisse a far
convergere analisi diverse in una diagnosi più organica - e così
indirizzarsi verso una terapia più efficace.
In Italia? Ci sono parecchie situazioni locali in cui la pubblica
amministrazione usa sistemi opensource (anche se il concetto non è
sufficientemente compreso a livello centrale). C'è una mozione
approvata il 26 luglio 2001 dal Consiglio comunale di Firenze che stabilisce "l'impiego
di software libero o almeno open source" nella pubblica amministrazione (un
fatto in sé minuscolo e poco significativo rispetto alle esigenze nazionali ed
europee - che tuttavia ha avuto una certa eco internazionale). Ci sono state
varie iniziative per porre con chiarezza il problema; soprattutto il comunicato
di ALCEI del 29 gennaio 1999 È compito delle istituzioni pubbliche liberarci
dalla schiavitù elettronica - che è ben noto al mondo politico e alla
gestione centrale dei servizi pubblici perché è stato formalmente incluso
negli atti del Forum per la società dell'informazione della presidenza del
consiglio (giugno 1999) oltre che diffuso e documentato in vari incontri e
convegni dedicati a questo argomento.
Ma finora questi evidenti e gravi problemi sono stati ignorati dal
parlamento, dal governo e dall'amministrazione centrale, che hanno
vergognosamente perseverato - con ingiustificabile entusiasmo e servilismo -
nell'asservire i nostri sistemi pubblici (comprese la scuola e la sanità) a
un monopolio straniero e incontrollabile con i "codici occulti" - cioè
con sistemi che è impossibile conoscere e verificare. Come ho scritto altre
volte... è come se la fornitura dell'acqua potabile fosse consegnata a un
monopolista privato che (oltre a farcela pagare più cara del vino) non
obbedisce alle nostre leggi né a quelle europee - e non ci permette un'analisi
chimica di ciò che siamo costretti a bere.
Naturalmente il problema non riguarda solo la pubblica amministrazione. Ma da
qualche parte bisogna cominciare. Se le imprese devono essere lasciate libere di
fare ciò che vogliono (anche se è assurdo che siano così ciecamente "rassegnate")
non è accettabile che tecnologie e metodi sbagliati e dannosi siano adottati
dai servizi pubblici e così "imposti" a tutti. Quindi è dal settore
pubblico che occorre partire - con la speranza che soluzioni più sane, libere
e funzionali si diffondano anche nelle imprese private. Il che non significa
solo risparmiare miliardi e avere sistemi più efficienti, ma anche evitare
inaccettabili invasioni della nostra libertà e autonomia culturale.
Siamo agli inizi di una "insurrezione" mondiale che finalmente porrà con
chiarezza il problema? Speriamo. Per ora è troppo poco - e troppo tardi. Ma
è sempre più evidente che questa situazione è grave e tende a peggiorare.
Dovrà essere in qualche modo affrontata e risolta.
(Articolo tratto da Gandalf)
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