Il nuovo assetto costituzionale dei diversi livelli di governo (stato, regioni,
autonomie) introdotto dalla riforma del titolo V della Costituzione e ormai
consolidato attraverso, soprattutto, l'interpretazione delle relative
disposizioni offerta dalla Consulta, sembra ormai suggerire una rivisitazione
dei soggetti istituzionali che si occupano di informatica pubblica.
Un recente segnale in questo senso è stato offerto dal nuovo governo, fin
dalla sua costituzione, con l'accorpamento del Dipartimento per la funzione
pubblica e del Dipartimento per l'innovazione in un unico dicastero, nell'evidente
consapevolezza dell'esistenza di un inscindibile rapporto (biunivoco) tra
organizzazione e innovazione tecnologica. Una consapevolezza che, del resto, il
mondo aziendale ha acquisito da tempo (e che, nel settore pubblico, è stata
confermata anche normativamente dal progetto "protocollo amministrativo
informatico", introdotto, a suo tempo dal DPR n. 428/1998 e ora disciplinato
dal titolo IV del Testo unico della documentazione
amministrativa, che prevede,
tra le altre cose, la costituzione, rectius l'individuazione, nell'ambito
dell'ente di aree organizzative omogenee, intese come "gli uffici da
considerare ai fini della gestione unica o coordinata dei documenti"). Senza
dimenticare che le competenze del Dipartimento per l'innovazione varcano i
confini del pubblico, per avventurarsi nei vasti territori del rapporto
cittadini (e imprese)-innovazione tecnologica.
Parallelamente sembra giunto il momento di ripensare il ruolo, la natura e,
soprattutto, l'ambito soggettivo di esplicazione delle funzioni, di un altro
organismo, impegnato fin dal 1993 in prima persona nel processo di
informatizzazione della pubblica amministrazione, l'ex Autorità per l'informatica
nella pubblica amministrazione (AIPA), ora Centro nazionale per l'informatica
nella PA (CNIPA), il quale dopo aver dato una spinta propulsiva determinante
nello sviluppo dell'informatica pubblica, è stato oggetto nel 2003 di un
discutibile intervento normativo di deminutio istituzionale (art. 176 del
DLgv 196/2003), attraverso la ricollocazione presso la Presidenza del consiglio
dei ministri sotto forma di agenzia, lasciando tuttavia inalterate tutte le
funzioni ad esso già intestate.
Diverse sono le ragioni di questo ripensamento.
In primo luogo, va registrata la costituzionalizzazione dell'informatica
pubblica: la lettera r) del nuovo articolo 117 della Costituzione riserva alla
Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di coordinamento informatico
tra stato, regioni e autonomie locali. Al riguardo, va rammentato che la Corte
costituzionale è intervenuta più volte sulla questione, definendo tale materia
(fin dalla sent. n. 371/2004) come "una comunanza di linguaggi, di procedure e
di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi
informatici della pubblica amministrazione".
Con la successiva sentenza n. 31 del 2005 (ma si vedano anche le sentenze n.
307/2004, n. 50/2005 e n. 271/2005) la Corte ha poi precisato ulteriormente che
il coordinamento tecnico può ricomprendere anche profili della legislazione
relativi ai seguenti aspetti:
a) garantire l'interoperabilità e la cooperazione applicativa tra pubbliche
amministrazioni;
b) assicurare una migliore efficacia della spesa informatica e
telematica;
c) generare significativi risparmi eliminando duplicazioni e
inefficienze, promuovendo le migliori pratiche e favorendo il riuso;
d) indirizzare gli investimenti nelle tecnologie informatiche e
telematiche, secondo una coordinata e integrata strategia.
La Corte costituzionale, dunque, non si limita ad affermare che il
coordinamento informatico è finalizzato alla "comunicabilità" tra i
sistemi informativi pubblici, ma stabilisce un sinora inedito (non solo nella
sua giurisprudenza) rapporto strumentale (di garanzia) tra il "coordinamento
tecnico" e "l'interoperabilità e la cooperazione applicativa tra tutte le
pubbliche amministrazioni", a tutti i livelli di governo (Stato, Regioni,
autonomie), i quali ultimi obiettivi (interoperabilità e cooperazione) altro
non sono che il secondo e il terzo livello (oltre l'interconnessione) di quel
complesso ed ambiziosissimo processo di integrazione in rete delle
amministrazioni (all'inizio solo quelle statali), iniziato dall'AIPA con il
progetto di Rete unitaria e proseguito con il Sistema pubblico di connettività,
che intende creare una infrastruttura di rete comune a tutti i soggetti pubblici
(cfr. DLgv 42/2005, oggi confluito nel Codice dell'amministrazione
digitale, CAD, di cui al DLgv n. 82/2005 e successive modifiche).
Siamo alla fase finale del progetto, ma occorre un impegno forte, soprattutto
da parte del nuovo governo: tutti gli sforzi tecnologici, organizzativi e
finanziari dovrebbero oggi essere rivolti alla completa e omogenea (sul
territorio) realizzazione della fase della cooperazione applicativa, dato che
essa rappresenta la ragione ultima della progettazione della rete unitaria (e
della sua evoluzione nel sistema pubblico di connettività): un sistema
telematico in grado di far interagire tra di loro le amministrazioni (a tutti i
livelli di autonomia e di governo) in modo da erogare servizi (amministrativi e
prestazionali) ai cittadini e alle imprese, secondo criteri di omogeneità ed
uniformità sul territorio nazionale. Non certo un sistema telematico in grado
di veicolare soltanto messaggi di posta elettronica e traffico web.
Certo, come ricorda anche il Consiglio di Stato nel parere sulle modifiche al
CAD (febbraio 2006): "su questa strada l'impegno è particolarmente
complesso, soprattutto se si tende ad una cooperazione applicativa diffusa ed
omogenea sul territorio nazionale. Prospettiva questa che rende ancor più
evidente la necessità di un forte coordinamento dei vari livelli di autonomia".
E proprio questo è il punto che ci interessa in questa sede, il
coordinamento tecnico dei vari livelli di autonomia: perché si realizzi la
piena integrazione in rete di tutte le amministrazioni - e dunque, non è
inutile sottolinearlo, si imbocchi la via più moderna ed efficace per innovare,
razionalizzare e semplificare le procedure e la "burocrazia" italiana,
adeguandola agli standard europei - è necessario che vengano adottati da tutti
i soggetti pubblici "comuni linguaggi, procedure e standard omogenei" (nel
che consiste, propriamente, anche nella terminologia della Corte costituzionale,
il coordinamento tecnico).
Né va dimenticato che l'intero processo di innovazione deve avvenire nel
rispetto del principio di solidarietà (tecnologica), che impone di garantire la
diffusione delle nuove tecnologie in maniera uniforme nelle diverse realtà
territoriali del Paese, in modo da evitare il fenomeno del digital divide
nel settore pubblico (che aggiungerebbe arretratezza tecnologica ad arretratezza
economica, del resto interdipendenti): principio, del resto, già codificato in
una norma vigente del Codice dell'amministrazione digitale, il cui art. 14,
comma 3, ultima parte, afferma che "lo Stato, .previene il divario
tecnologico tra amministrazioni di diversa dimensione e collocazione
territoriale".
Ulteriore ragione a sostegno della rivisitazione del ruolo del CNIPA nel
senso di intestare ad esso funzioni generali di coordinamento tecnico, è
rappresentata dal nuovo ruolo e dall'attuale assetto dei poteri e delle
funzioni amministrative delle Regioni e delle Autonomie, che, come noto,
costituiscono oggi il principale vettore per l'erogazione dei pubblici servizi
al cittadino e alle imprese, rendendo ormai essenziale il loro coinvolgimento
nelle strategie generali e il loro diretto apporto per raggiungere un livello
omogeneo di sviluppo nell'offerta di servizi (art. 117, quarto comma, art.
117, sesto comma, art. 118 Cost.).
Tale riassetto istituzionale comporta notevoli conseguenze anche sul piano
dell'erogazione dei servizi pubblici (amministrativi o prestazionali) in via
telematica, in cui sono sempre gli enti locali a costituire il front end
con il cittadino-utente: già la legge delega all'origine del CAD (la legge di
semplificazione 2001, n. 229/2003), all'art. 10, co. 1, lett. b), tra i
criteri di delega, riporta proprio il fine di "garantire la più ampia
disponibilità di servizi resi per via telematica dalle pubbliche
amministrazioni", senza operare alcuna distinzione tra i diversi livelli di
governo; lo stesso Consiglio di Stato nel citato parere sulle modifiche al CAD
afferma che "la disponibilità dei servizi in rete e il godimento uniforme sul
territorio nazionale dei diritti tecnologici costituisce attuazione del
principio del coordinamento informatico di cui alla lettera r) del 117 Cost,
oltre che della già citata esigenza di garantire livelli essenziali comuni
delle prestazioni di teleamministrazione".
Si consideri, inoltre, che la delega conferita a suo tempo al Governo
riguardava (co. 2 dell'art. 10) il documento informatico, la firma elettronica
e la firma digitale, la sicurezza informatica dei dati e dei sistemi e che "le
disposizioni relative a tali ambiti, rientrano in larga misura nella materia dell'ordinamento
civile e in quella dei livelli essenziali delle prestazioni, si applicano a
tutte le pubbliche amministrazioni ed ai privati." (Consiglio di Stato,
parere u.c.).
Va ricordato, infine, sul fronte della tutela dei diritti, l'ampliamento,
operato dal decreto modificativo del CAD, anche alle amministrazioni regionali e
locali dell'ambito di applicazione del disposto di cui all'art. 3 del
decreto legislativo n. 82 del 2005, che, con una disposizione dalla portata
innovativa, prevede un vero e proprio diritto (immediatamente azionabile) all'uso
delle tecnologie, da intendersi come diritto dei cittadini e delle imprese all'uso
delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche
amministrazioni.
Con l'unica limitazione, per le regioni e le autonomie, costituita dalla
disponibilità di "risorse tecnologiche ed organizzative" e dal "rispetto
della loro autonomia normativa"; a tale ultimo riguardo si osserva che, almeno
per le regioni, si potrebbe prescindere dalle suddette limitazioni tecnologiche
e organizzative, tenendo presente che la disposizione disciplina il diritto all'uso
delle tecnologie nelle sole "comunicazioni" con l'amministrazione (altra
ben più importante limitazione oggettiva, da ripensare) e non nella generalità
dei "rapporti" con la stessa (quindi, in sostanza, limitatamente all'uso
del sito web istituzionale e della posta elettronica).
In sostanza, la costituzionalizzazione del principio del (necessario)
coordinamento tecnico tra tutte le amministrazioni, la prospettiva (vicina) di
un'infrastruttura di rete estesa a tutto il settore pubblico (e, in futuro,
aperta a categorie di privati e imprese), l'erogazione di servizi secondo il
modello del front-end locale e del back-office telematico, l'introduzione
nel nostro ordinamento di un diritto all'uso delle tecnologie da parte di
tutte le amministrazioni (con i limiti di cui si è detto), rappresentano
altrettante ragioni a favore di un ripensamento del governo dell'informatica
pubblica, che parta proprio dalla potestà regolatoria tecnica.
Né, a tal fine, il nuovo ruolo della Conferenza unificata e l'istituzione
presso di questa di una commissione permanente in materia (art. 14 CAD, testo
modificato) appare sufficiente dato che la specificità, la complessità e la
rilevanza della materia sembrano richiedere stabili soluzioni organizzative che
valutino, oltre agli aspetti politici, i profili strettamente tecnologici. Come
ricorda anche il Consiglio di Stato nel più volte citato parere del febbraio
2006, è stato già rilevato che "L'attuazione dell'e-government
nel contesto di una profonda riorganizzazione dell'Amministrazione pubblica in
senso federale, richiede necessariamente un'intensa ed efficace cooperazione
tra tutte le diverse tipologie di amministrazione pubblica. Tale cooperazione
per essere efficace non deve limitarsi al livello della concertazione politica
ma deve trasferirsi nei processi di attuazione e di gestione mediante la
costituzione di specifiche strutture amministrative condivise" (v. il
documento, approvato dalla Conferenza unificata il 24 luglio 2003, "L'e-government
per un federalismo efficiente" del Comitato tecnico della Commissione
permanente per l'innovazione e le tecnologie costituita tra i Presidenti delle
regioni e il Ministro per l'innovazione e le tecnologie, in www.innovazione.gov.it).
In realtà, più che pensare all'istituzione di nuovi organismi
(difficilmente conciliabile con il quadro generale attuale della finanza
pubblica) - del tipo "Agenzia nazionale federata per l'e-government" o
centri territoriali di servizio per l'e-gov, come raccomandava il Consiglio di
Stato nel primo parere sul CAD (7 febbraio 2005, n. 11995/04) e la Conferenza
unificata nel parere del 20 gennaio 2005 - andrebbe rafforzato il ruolo del
Centro nazionale per l'informatica, in quanto principale organo di consulenza
informatica di questo Paese (come del resto lo stesso Consiglio sembra dire nel
secondo parere sul CAD), estendendo l'ambito soggettivo di alcune sue funzioni
anche al mondo delle autonomie e, in parte (tenendo presente quanto affermato
dalla Corte cost.) alle Regioni.
In particolare, tale estensione dovrebbe riguardare:
- la potestà regolatoria tecnica prevista dall'art. 7, comma 1, lett. a), del
DLgv 39/1993: le regole tecniche, gli standard e le linee guida in materia di
firma digitale, archiviazione su supporto informatico, protocollo informatico e,
soprattutto, interconnessione, interoperabilità e cooperazione applicativa,
devono essere vincolanti per tutte le amministrazioni, comprese le Regioni e gli
enti locali, in quanto presupposto per la garanzia di un effettivo "coordinamento
informatico" tra tutti i soggetti coinvolti;
- il potere di composizione e risoluzione dei contrasti operativi (in campo
tecnologico-informatico) previsto dall'art. 7, comma 1, lett. i), del DLgv
39/1993, una disposizione forse dimenticata, certamente poco utilizzata, ma che
oggi nel nuovo assetto costituzionale, andrebbe rivitalizzata, disciplinando dal
punto di vista procedurale questa importante funzione (iniziativa,
contraddittorio, organo "giudicante", valore della decisione, ecc.) ed
estendendone soggettivamente la portata applicativa, nella consapevolezza che,
nella prospettiva della piena interoperabilità e della cooperazione applicativa
estesa, sempre più numerosi saranno i contrasti operativi dei vari livelli di
governo della repubblica in materia di sistemi informativi e relative
interconnessioni;
- la funzione di consulente privilegiato per l'informatica, almeno per i
progetti di grande rilievo o di rilevante entità economica (cfr. art. 7, co. 1,
lett. f) del
DLgv 39) delle regioni e delle autonomie, tenendo presente che questa estensione
avrebbe anche una conseguenza diretta, misurabile, in termini di minori spese
per le consulenze esterne in materia informatica.
La natura eminentemente tecnica (informatica) delle regole da emanare e dei
criteri in base ai quali risolvere i contrasti operativi tra gli attori pubblici
esclude che tali compiti possano essere svolti dal Dipartimento dell'innovazione,
anche perché non appare opportuno che tale dipartimento, emanazione diretta del
governo centrale, emani regole tecniche valide anche per le autonomie o che,
sotto altro profilo, possano avere l'effetto di escludere dal mercato
informatico aziende o gruppi imprenditoriali e, soprattutto, risolva contrasti
operativi che coinvolgano le autonomie ed altri enti dell'amministrazione
centrale (risultando leso il principio di terzietà e di imparzialità di
giudizio).
Mentre un'autorità indipendente, che agisca con "piena autonomia,
indipendenza di giudizio e di valutazione" (art. 4 del DLgv. 39/1993, versione
originaria) - motivo per il quale andrebbe restituita al CNIPA la sua originaria
natura, attraverso la soppressione dell'art. 176 del DLgv n. 196/2003, citato
all'inizio - risulterebbe più coerente con il concreto atteggiarsi dei
compiti da svolgere e con la diversa collocazione istituzionale dei vari
soggetti coinvolti nel processo di modernizzazione del Paese.
Un'autorità (non di nuova istituzione, in quanto ritorno all'originaria
natura di organismo già esistente) che risulterebbe, tra l'altro, del tutto
coerente con le più recenti affermazioni della dottrina sul ruolo e la natura
di questi organismi, che tendono a sottolineare (in opposizione alla tendenza
verso l'eccessiva proliferazione di tali modelli) la necessità di una
copertura costituzionale della missione istituzionale (oggi, l'art. 117, lett.
r, "coordinamento informatico di tutti i soggetti pubblici") e, soprattutto
nella nuova prospettiva di maggiore valorizzazione delle autonomie, la funzione
di garanzia dell'omogeneità dei livelli essenziali delle prestazioni sul
territorio nazionale (nel nostro caso, con riferimento ai servizi pubblici
erogati via rete, alla validità del documento informatico pubblico, ecc.),
attraverso il riconoscimento di una generale potestà regolatoria tecnica e del
potere di risoluzione dei contrasti operativi tra tutti i soggetti coinvolti.
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