Pubbliche forniture: nubi su Consip?
di Enzo Maria Tripodi* - 10.03.03
L'art. 24 della legge 289/2002
Quella che segue è una breve riflessione sull'art. 24 della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Legge finanziaria 2003). L'articolo in questione, nel
prospettarsi quale autentico regalo di Natale per la CONSIP, reca a mio avviso
qualche controindicazione, a causa di una lettura leggermente avventurosa del
dato giuridico da parte del Ministero dell'economia che, pur senza averne
prove certe, possiamo immaginare alla regia dell'operazione. Che si vogliano
centralizzare le procedure di selezione degli interlocutori delle PA appare
oramai un dato assodato: ciò sulla scorta di valutazioni taumaturgiche del
commercio elettronico B2Go (un nuovo miracolo italiano?). Per averne contezza
basta dare una scorsa all'enfasi, riservata al tema, nell'ambito del DPEF
2003-2006.
Nella fase di attuazione del "miracolo" - evidentemente - è
andato smarrito il libretto di istruzione, come sarà evidente tra un momento.
L'art. 24 della legge 289/2002 da' corpo ad un assunto: per migliorare la
P.A., basta con la gestione "in proprio" delle pubbliche forniture e
degli appalti pubblici di servizi: che tutto passi per CONSIP! Per far ciò, il
nostro legislatore congegna il seguente meccanismo:
a) riduzione a 50.000 euro della soglia oltre la quale la P.A. è tenuta al
rispetto delle modalità di gara (qualunque ne sia la tipologia), stabilite in
sede comunitaria (e recepite nel nostro paese);
b) eccezionalità della trattativa privata, la quale, pur entro la soglia dei
50.000 euro, diventa un vero miraggio: il ricorso alla trattativa privata, anche
quando sarebbe astrattamente possibile, è limitato a casi eccezionali e
motivati, previo esperimento di una documentata indagine di mercato, dandone
comunicazione alla sezione regionale della Corte dei conti (art. 24, comma
5).
Per sfuggire a questa forca caudina - eccettuati i comuni con meno di 5.000
abitanti e le cooperative sociali - un rimedio c'è: "scegliere
liberamente" di stipulare delle convenzioni quadro definite da CONSIP,
ovvero fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione, di
cui al DPR 4 aprile 2002 n. 101. In ogni caso, per procedere ad acquisti in
maniera autonoma, sarà necessario adottare i prezzi delle convenzioni quadro
CONSIP come base d'asta al ribasso, il che equivale a far rientrare dalla porta
ciò che si pensava di aver gettato dalla finestra.
La liberta di scelta appena indicata non riguarda, per principio, le
pubbliche amministrazioni indicate nella tabella C allegata alla legge
finanziaria e, comunque, gli enti pubblici istituzionali, che hanno l'obbligo di
utilizzare le suddette convenzioni quadro definite dalla CONSIP.
In caso di violazione della sceneggiatura appena vista è prevista la nullità
dei contratti stipulati, con la responsabilità personale di chi li ha
sottoscritti ed altri accidenti indicati all'art. 24, comma 4. Comma che,
letto con un po' di astuzia, non mantiene affatto le conseguenze che
prefigura.
Qualche incertezza in punto di diritto
Lasciando perdere il disegno complessivo che ci porterebbe a scrivere pagine
su pagine, la prima perplessità che subito balza agli occhi è costituita, a
tacer d'altro, dal primo comma dell'art. 24, laddove stabilisce che
"per l'aggiudicazione, rispettivamente, delle pubbliche forniture e degli
appalti pubblici di servizi disciplinati dalle predette disposizioni [D.Lgs. 24
luglio 1992, n. 358 e D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, come successivamente
modificati], espletano procedure aperte o ristrette, con le modalità previste
dalla normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria, anche
quando il valore del contratto è superiore a 50.000 euro".
Sorgono, al riguardo, due interrogativi:
a) il legislatore può ridurre la soglia fissata dai decreti di recepimento
fissati in direttive comunitarie?
b) Il "meccanismo" CONSIP è conforme alle regole di concorrenza?
Ad entrambe le domande mi pare si debba dare risposta negativa. E mi spiego,
sempre all'insegna di un non derogabile principio di brevità, dato che i temi
indicati richiederebbero più di qualche giornata in una biblioteca
specializzata.
A proposito dell'attuazione delle direttive comunitarie
Veniamo dunque alla prima questione. Per farlo prendo ad esempio il DLgs
157/95, ma il ragionamento è estensibile. Con questo decreto, com'è
risaputo, è stata data attuazione, nel nostro paese, alla direttiva comunitaria
92/50/CEE del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di servizi. Orbene, se si sfoglia anche distrattamente la
direttiva si può leggere che, a fondamento dell'atto vi è l'esigenza
"di completare la realizzazione del mercato interno", uno spazio
" senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali"; "obiettivi
che richiedono il coordinamento delle procedure per la aggiudicazione degli
appalti pubblici di servizi" "evitando intralci alla libera
circolazione dei servizi". L'art. 7, par. 1, della direttiva, prevede che
la stessa si applichi agli appalti pubblici di servizi il cui importo stimato
al netto dell'IVA sia pari o superiore a 200.000 ECU (ora, leggi euro).
Tale soglia, come si evince da un considerando, è stata fissata con l'intento
di "evitare formalità superflue". La presente direttiva - continua il
considerando - non deve applicarsi agli appalti di valore inferiore a una
determinata soglia; che detta soglia può in linea di massima coincidere con
quella fissata per gli appalti pubblici di forniture [e] che le modalità
riguardanti il calcolo del valore del contratto, la pubblicazione ed il metodo
di adeguamento delle soglie devono essere identiche a quelle previste dalle
altre direttive della Comunità in materia di appalti.
L'intenzione del legislatore comunitario è stata (ed è), con tutta
evidenza, quella di "armonizzare" la materia, ai fini dell'instaurazione
del mercato interno. Se ciascuno Stato fissa in modo diverso, al di sopra o al
di sotto, la soglia indicata, che armonizzazione è? Peraltro, dato che molte
direttive prevedono una clausola di "salvaguardia" nazionale per l'applicazione
di un regime maggiormente restrittivo, qualcuno potrebbe pensare che questo sia
il portato di un principio generale. In altre parole, anche quando la direttiva
non lo dice può apparire scontato che le indicazioni comunitarie costituiscano
il limite superiore ed invalicabile, con l'ovvia conseguenza che, al di sotto
di tale limite, ciascuno Stato membro può regolarsi come meglio crede.
Un siffatto modo di ragionare - che poi è quello dell'anonimo estensore
dell'art. 24 della finanziaria - è del tutto erroneo. Non solo la direttiva
92/50 non prevede alcuna deroga all'art. 7 (tranne i casi e le modalità
espressamente indicate) ma non è neppure trascorso molto tempo da quando la
Corte di giustizia ha stigmatizzato una simile alzata di ingegno (Corte giust.,
sent. 25 aprile 2002, causa C-52/00, Commissione/Repubblica Francese e, in pari
data, causa C-154/00, Commissione/Repubblica Ellenica). Mi riferisco alla
"censura" del comportamento di due Stati membri (la Francia e la
Grecia) che, nell'attuare la direttiva sulla responsabilità del produttore
(direttiva 85/374), hanno pensato bene di eliminare la franchigia prevista in
detta direttiva, cioè la soglia monetaria di danno (500 euro) al di sotto della
quale non si applica la direttiva (e, quindi, anche la disciplina nazionale di
recepimento della medesima). Ma la Corte è stata di diverso avviso, statuendo
che non esiste margine discrezionale per gli Stati membri di adottare o
mantenere disposizioni più severe di quelle indicate nella disciplina
comunitaria, qualora non sia presente una esplicita autorizzazione in tal senso.
Credo poi che, oltre ad un problema d'ordine sostanziale, ve ne sia anche
uno di natura formale. Se l'art. 24 fosse stato notificato alla Commissione
europea (ai sensi dell'art. 44, par. 2, della direttiva 92/50), immagino che
quest'ultima avrebbe subito evidenziato l'illegittimità con il diritto
comunitario. Aspettiamoci dunque che la Commissione proceda ad avviare una
procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese. Qualora ciò non accada
- e ne dubito - al primo tentativo di applicazione delle sanzioni previste nell'art.
24, anche un modesto avvocato penso proprio non farà altro che chiedere al
giudice una interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia, con l'esito
(scontato) che abbiamo già visto.
Una ultima osservazione deve essere fatta. E' in corso di discussione una
proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa
al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
forniture di servizi e di lavori (del 6 maggio 2002, COM(2002) 236 def. -
2000/115(COD), in GUCE n. C 203 E del 27 agosto 2002, p. 210).
Tale direttiva, quando approvata, costituirà il testo unico per gli appalti di
forniture, di lavori e di servizi, proponendo insieme la modifica e la
semplificazione delle direttive 92/50/CEE, 93/36/CEE e 93/37/CEE. Gli obiettivi
della Commissione sono quelli di semplificare il quadro normativo esistente,
rendendolo maggiormente coerente con l'impiego di strumenti telematici ed
altre tecnologie innovative.
La proposta, tra le altre cose, prevede la possibilità per i committenti
pubblici, di stipulare accordi 'quadro', dove i termini non siano tutti fissati
per intero ed in grado di consentire l'aggiudicazione dell'appalto senza la
necessità di applicare tutti gli obblighi contenuti nella direttiva. Vengono
inoltre semplificate e diminuite le soglie, eliminando i precedenti riferimenti
"al controvalore in euro DSP". La Commissione esprime poi una
esplicita preferenza per l'adozione dell'e-procurement, tant'è che non
prevede alcun periodo transitorio in cui sia possibile utilizzare strumenti
innovativi e quelli tradizionali.
Quanto detto sembra una "scusante" per il nostro legislatore il
quale, già che si trattava di "ragionare" sul futuro (a tinte rosee)
di CONSIP, ha pensato guadagnare tempo adeguandosi sin d'ora al futuro quadro
di riferimento normativo comunitario in materia di appalti pubblici, anche se,
va detto, le soglie restano indicate dal legislatore comunitario.
Anche quando fosse previsto agli Stati membri uno ius variandi, sempre la
Corte di giustizia (nelle sentenze sopra citate) ha ribadito che, una eventuale
modifica della direttiva "non può eliminare l'obbligo degli Stati membri
di conformarsi alla disposizione comunitaria attualmente vigente (v., in
particolare, sentenze 12 luglio 1990, causa C-236/88, Commissione/Francia, punto
19; 25 luglio 2002, Commissione/Grecia, cit., punto 26; 25 luglio 2002,
Commissione/Francia, punto 34).
A proposito di concorrenza
Per colmo di paradosso i motivi che dovrebbero giustificare la politica del
nostro legislatore (compreso il "taglio" della soglia comunitaria)
sono la "trasparenza" e la "concorrenza". Sulla
"trasparenza" è meglio rinunciare subito a qualsiasi velleità
esplicativa mentre, sulla concorrenza, è proprio impossibile resistere dal
compiere qualche breve osservazione.
La "procedura" CONSIP determina qualche sospetto di contrarietà
alle norme sulla concorrenza. Questo sospetto - almeno per l'Autorità
antitrust - si è rivelato una certezza nel noto caso del "buoni
pasto", in cui l'Autorità ha posto in evidenza come la razionalizzazione
degli acquisti non può arrivare al punto di comportare una sostanziale chiusura
del mercato dei fornitori, giacchè, trattandosi di"commesse cospicue, si
finisce inevitabilmente per privilegiare solo una certa tipologia di impresa
(quella grande) a scapito delle altre (le PMI, per intenderci). Queste imprese -
essendo in numero ridotto - finiscono, dunque, inevitabilmente per accordarsi,
con l'"implicito" avallo della procedura.
Ovviamente è chiaro che per certi acquisti l'interlocutore finisce per
essere una impresa conseguentemente dimensionata. Ma che questa diventi la
regola per tutti gli acquisti, sembra (e non solo a me), in contrasto con i
principi della concorrenza. Che poi a creare questa discriminazione sia proprio
lo Stato è veramente il massimo. Si supera - addirittura - questa soglia
quando, nell'art. 24, si premette che l'obiettivo è quello della
concorrenza. Mi fermo qui, poiché non credo sia necessario continuare.
Solo un'ultima nota. Sulla riduzione della soglia comunitaria si è già
detto. Tale riduzione finisce per investire CONSIP, quando - non paghi - si
esclude la possibilità, anche sotto 50.000 euro, della trattativa privata. E'
chiaro, a questo punto che, al di là della irragionevole limitazione alla
scelta di un metodo di gara ammesso dal diritto comunitario, inevitabilmente si
finisce per aggiungere benzina al fuoco dei possibili problemi di
anticoncorrenzialità dell'intera procedura gestita "invasivamente"
da CONSIP.
Conclusione: una profezia?
Concludo, da novello nostradamus, con una profezia, correndo consapevolmente
il rischio di essere pubblicamente sbugiardato. L'art. 24 della legge
289/2002, nella sua attuale formulazione, avrà vita assai breve: sei mesi, non
di più. Stiamo a vedere.
|