Giovanni Buonomo è stato uno dei componenti della commissione dell'AIPA che tra
il '96 e il '97 ha scritto il DPR 513/97, la prima normativa organica nel mondo
che ha accolto nell'ordinamento giuridico gli strumenti messi a disposizione
dalle tecnologie. Oggi è giudice presso il tribunale civile di Roma: quanto
basta per rendersi conto, prima ancora di aprire il libro, del livello di competenza dell'autore.
Ma "Processo telematico e firma digitale" non è solo un libro che
offre un quadro completo e corretto della materia, perché Buonomo
nell'affrontare i problemi mette in campo anche uno spirito critico e una
passione non comuni.Dunque non solo l'analisi delle norme e il loro inserimento nel quadro
generale, non solo la ricostruzione della loro genesi, ma anche una attenta e
impietosa indagine sugli aspetti problematici. Così per la prima volta leggiamo
l'esposizione dei meccanismi e dei vantaggi del processo telematico, ma possiamo
anche renderci conto di come sia difficile la loro adozione nei tribunali, a
causa di non poche "illusioni" o sviste del legislatore. La seconda
parte, sulla firma digitale, può essere considerata il testo
"definitivo" sulla materia prima del Codice dell'amministrazione
digitale, a chiudere una letteratura sterminata e troppe volte non
corretta negli agganci alla tecnologia e superficiale nell'analisi normativa.
Ora non resta che aspettare una nuova edizione, che affronti i non pochi
problemi sollevati dal "Codice", con il rigore e la chiarezza che
fanno di ogni testo di Buonomo un esempio di come si dovrebbero affrontare i
progressi (e i regressi) del diritto di fronte alla diffusione delle tecnologie
dell'informazione.
Purtroppo ancora una vola si impone un post-scriptum sulle scelte
dell'editore:
più di metà del volume è occupata dalla solita appendice normativa. Inutile,
perché oggi tutti questi testi si trovano in rete. Dannosa, perché fa
lievitare il prezzo di copertina e quindi nuoce a una più ampia diffusione
della conoscenza. E non si dica che il volume più grosso si vende di più,
perché chi conosce i libri sa che spesso sono come i vini: nella botte piccola
c'è quello buono.
|