Far crescere la rete al servizio dei
cittadini
di Giancarlo
Livraghi - 01.03.99
(Intervento per ALCEI
al convegno "Internet:
i diritti telematici")
Vorremmo prima di tutto ringraziare gli
organizzatori di questo convegno per il fatto di averlo voluto e per la chiara
intenzione di vedere la rete nella sua realtà e nei suoi valori, come uno
strumento per la società civile, per l'economia, per la cultura, anziché
(come troppo spesso accade) come una specie di "oggetto estraneo" da
reprimere, controllare, censurare prima ancora di averne capito la natura e le
potenzialità.
Il tema principale di questo intervento è la
recente proposta di ALCEI sulla compatibilità
e trasparenza delle tecnologie; ma ci sono alcuni altri argomenti cui ci sembra
necessario accennare, come o problemi fondamentali di libertà e cultura della
rete, la discussa e discutibile questione delle tariffe e degli incentivi e
alcuni fenomeni gravi che sembrano sfuggire all'attenzione dei grandi mezzi di
informazione e dell'opinione pubblica, come gli illegittimi e ingiustificabili
sequestri di computer.
L'Italia, purtroppo, è ancora molto arretrata
nell'uso dei nuovi sistemi di comunicazione. L'uso della rete sta
gradualmente crescendo, ma siamo ancora molto lontani da un livello di
diffusione e di attività adeguato al ruolo della nostra cultura e della nostra
economia.
L'Italia ha oltre il 12 per cento del prodotto interno lordo in Europa, il 14
% delle automobili, oltre il 17 % dei telefoni cellulari - e il 7 % della
rete. Per numero di host internet rispetto al reddito siamo all'ultimo
posto nell'Unione Europea - e su scala mondiale siamo dietro a molti paesi
dell'Europa orientale e dell'America latina. Lontanissimi dai livelli dei
paesi più avanzati, come gli Stati Uniti, i paesi scandinavi, l'Olanda, il
Belgio, la Svizzera, l'Austria, eccetera.
Uno dei problemi fondamentali nella diffusione
globale della rete è stato segnalato nella
"Dichiarazione di Bonn" http://gandalf.it/net/bonn.htm dell'Unione
Europea del 9 luglio 1997: quello dei have not, cioè dei "non
abbienti" di informazione. Non solo sono esclusi dal circuito informativo
molti paesi "in via di sviluppo" (compresi non pochi dell'area
Europa-Mediterraneo) ma anche gran parte della popolazione in paesi come l'Italia.
Non potremo avere una vera civiltà della rete finche le nuove tecnologie
saranno considerate "un giocattolo per i ricchi" anziché uno
strumento di vita e di partecipazione per tutti e in particolare per quelle
categorie sociali che oggi sono "emarginate". Alle "buone
intenzioni" espresse in quella dichiarazione (e anche in altre circostanze)
non sono, finora, seguiti i fatti; né in Europa né, in particolare, in Italia.
Trasparenza e compatibilità: liberarci dalla
"schiavitù elettronica"
L'importanza dei sistemi operativi freeware,
cioè open source, da qualche tempo è salita
"all'onore delle cronache". Non è più un argomento riservato a
pochi esperti di tecnologia, ma un tema che si pone con sempre maggiore
intensità anche nei grandi mezzi di informazione
e nel mondo delle imprese.
Ciò che ci sembra importante notare è che non
si tratta solo di un problema tecnico ma di un fatto rilevante per l'economia
e per la società civile. Cioè di un tema politico nel senso più serio
e alto della parola.
Non si tratta soltanto di software ma anche di
linguaggi e "protocolli"; cioè di tutto ciò
che riguarda non solo l'informatica ma anche la telematica e i sistemi di
comunicazione.
Il tema può apparire tecnicamente complesso ma
nella sostanza è estremamente semplice. I sistemi di comunicazione del nostro
paese (come di tutte le nazioni del mondo) non debbono essere asserviti a
tecnologie di cui non ci è neppure consentito conoscere la natura e il
funzionamento. Inutilmente complesse, inutilmente costose, spesso inefficienti.
Se nessuno può "dettare" le scelte tecniche alle imprese private, si
può e si deve stabilire che tutto ciò
che è pubblico (cioè la Pubblica Amministrazione e tutti i servizi al
pubblico, da chiunque
gestiti) debba essere pienamente compatibile e trasparente.
Per non rendere troppo lungo questo intervento
preghiamo i partecipanti a questo convegno,
e tutte le persone interessate, di leggere i documenti che abbiamo preparato. (I
documenti sono stati distribuiti ai partecipanti al convegno e sono reperibili
su questo sito: il comunicato news/cs990128.htm del 28 gennaio 1999 e il
documento documenti/9902_allegato_OpenS.htm che esamina alcuni altri aspetti del
problema e fornisce una serie di fonti per ulteriori approfondimenti).
Vorremmo solo sottolineare che all'asservimento
tecnico segue l'asservimento culturale ed
economico. Non è esagerazione o fantasia, ma è un fatto reale, che al
monopolio delle tecnologie segue il dominio dei contenuti. È insensato
consentire che leve di controllo come queste siano gestite da chiunque, in modo
arbitrario e impenetrabile. Sarebbe come affidare la gestione acquedotti a
qualcuno che non ci consente neppure un'analisi chimica dell'acqua potabile.
Si tratta di un problema che, ovviamente, non
può essere completamente risolto in un solo paese. Intendiamo infatti proporlo
anche su scala internazionale. Ma abbiamo preferito definirlo prima di tutto in
Italia, perché questo è il nostro paese e perché ci sembra un'occasione
importante per i nostri rappresentanti nell'Unione Europea e nella comunità
internazionale. Per una volta le autorità e le forze politiche italiane,
anziché solo "recepire" (non sempre in modo eccellente) le direttive
europee su questi temi, potrebbero prendere l'iniziativa e assumere un ruolo
propositivo su un tema che non è meno importante della "piattaforma
digitale" per la televisione o dei sistemi di telecomunicazioni, anche se
finora sembra essere sfuggito all'attenzione dei grandi interessi economici e
del mondo politico.
Libertà e cultura
Accenniamo solo brevemente a questo tema perché
ci sembra che finalmente, almeno in questa sede, ci sia consenso su alcuni punti
fondamentali.
È venuto il momento di mettere fine alle
insistenti campagne di "criminalizzazione" e
"demonizzazione" della rete, che sono uno dei motivi del nostro
sottosviluppo e del disagio dei cittadini nei confronti delle nuove tecnologie.
Come di ogni tentativo di censura, comunque travestita, o di classificazione o
"filtraggio" sei contenuti.
Secondo noi è anche importante correggere quella
grossa parte del sistema informativo che pone troppa attenzione alle forme più
spinte e bizzarre dell'avanzamento tecnologico, a usi marginali e poco
rilevanti della rete, creando una diffusa percezione dei sistemi telematici come
qualcosa di difficile, costoso, complesso, "estremo" e quindi
interessante solo per pochi tecnomani e di nessun rilievo per la vita e la
cultura delle persone e delle famiglie. Molti cittadini pensano "questa
cosa a me non serve" e hanno ragione, perché la "cosa" che si
sentono proporre e raccontare non è la rete nella sua realtà e utilità
concreta ma un arruffato mondo di presunte "innovazioni" spesso
inutili ed effimere. Ha ragione chi dice che la rete crescerà davvero in Italia
quando i cittadini si troveranno davanti a servizi semplici e utili, offerti
dalle imprese private come dalla pubblica amministrazione. Su questa strada
siamo appena agli inizi in tutto il mondo - e particolarmente arretrati in
Italia.
Tariffe e "incentivi"
Senza alcun desiderio di polemica, vorremmo dire
che non condividiamo gli entusiasmi di chi pensa che l'abolizione della
"tariffa urbana a tempo" sia una bacchetta magica capace di risolvere
tutti i problemi della rete in Italia. Siamo d'accordo sull'utilità di
agevolazioni anche tariffarie per facilitare l'accesso alla rete, ma
crediamo che il problema debba essere visto nel quadro più esteso dei molti
fattori che influiscono sulla situazione.
Altri interventi in questo convegno hanno già
indicato alcuni motivi per cui il problema delle tariffe non è cosi' semplice
come può sembrare. Vogliamo qui limitarci a dire che se fosse davvero possibile
abolire, sic et simpliciter, la "tariffa a tempo" (come negli Stati
Uniti) questo potrebbe non solo eliminare un costo nell'uso del telefono (e-o
della rete) ma anche molti trucchi e trucchetti più o meno palesi con cui si
genera una moltiplicazione di "scatti" e quindi di spesa. Ma non ci
sembra che questa sia una possibilità concreta.
Finora le campagne per l'abolizione della
"tut" hanno portato ad aumenti delle tariffe o a
"manovre" che giovano solo ai venditori di telefonia (in particolare
la Telecom) a danno degli utenti. Ci sembra quindi importante verificare ogni
attuale o possibile manovra sulle tariffe per capire dove si nascondono gli aumenti
di costo; per cui ciò che (in apparenza) "agevola" qualcuno in
realtà è pagato da qualcun altro (o dalla stessa persona o impresa sotto una
"voce" diversa).
Per esempio ci preoccupa l'idea che si pensi a
manovre tariffarie mirate solo ad agevolare collegamenti lunghi e
continuati. Quel tipo di utilizzo (che sia per motivi di lavoro o di studio o
per divertimento, come le chat line) è senza dubbio legittimo e non dev'essere
ostacolato o penalizzato. Ma il rischio è che per favorire un tipo di utilizzo
della rete se ne penalizzino altri (per esempio con un aumento del canone o con
il mantenimento dei gravami sul "primo scatto") e quindi, ancora una
volta, la manovra tariffaria, sotto le "mentite spoglie" dell'agevolazione,
si traduca in un danno per i cittadini e per le imprese.
Soprattutto, non dobbiamo illuderci che una
riduzione, o anche un'ipotetica (quanto poco
probabile) eliminazione totale dalla "tut", possa miracolosamente
farci uscire dalla nostra
arretratezza. Questa ipotesi è ampiamente smentita dai fatti. La diffusione
della rete
è enormemente maggiore che da noi anche in paesi dove c'è la "tariffa a
tempo". E anche
senza guardare fuori dai nostri confini basta osservare la smisurata crescita in
Italia della telefonia cellulare, nonostante le tariffe molto più alte della
telefonia "urbana".
I problemi sono altri, e vanno esaminati con
serietà. Tecnologie inutilmente costose e complesse. La percezione, artatamente
diffusa quanto totalmente falsa, che per collegarsi alla rete occorrano computer
di alte prestazioni e prezzo esorbitante. La mancata diffusione di nozioni
elementari come il fatto che la "posta elettronica", anche ai costi
attuali, può far risparmiare molto rispetto al telefono interurbano (o
cellulare), al fax e perfino alla posta ordinaria. Eccetera...
Se solo si facesse meglio conoscere a tutte le
famiglie e imprese che già hanno un computer il semplice fatto che possono
collegarsi con le macchine che hanno, senza acquistare altro che un modem; e
incoraggiare la diffusione, per chi ancora non ha un computer, di macchine
efficienti a prezzo basso (anziché pensare all'assurda ipotesi di una
"rottamazione" che incoraggerebbe solo il passaggio da macchine
perfettamente adeguate ad altre inutilmente più costose) avremmo probabilmente
dato l'avvio a una più seria e solida diffusione dell'uso della rete in
Italia.
Il problema dei sequestri
Ci sono molti altri temi che secondo noi meritano
di essere approfonditi; per esempio l'affollamento di norme e pastoie che,
anche se motivate da "buone intenzioni", si traducono spesso in abusi,
restrizioni ingiustificate, complicazioni burocratiche e altri danni. È noto
che l'ipertrofia normativa è uno dei freni più gravi allo sviluppo del
nostro paese e che tende ad assumere forme particolarmente perverse quando si
tratta di materie nuove e spesso non ben capite né da chi detta le norme, né
da chi le applica.
Ma per oggi ci limitiamo a segnalare un problema,
molto grave e quasi totalmente ignorato dall'opinione pubblica e dai grandi
mezzi di i formazione. I sequestri di computer.
Questo incredibile abuso continua a ripetersi da
almeno cinque anni. Il famigerato crackdown italiano del 1994 è noto nel
mondo come la più estesa e violenta operazione del genere mai avvenuta in un
paese democratico. Le proteste di allora (vedi il comunicato news/sequestr.htm
ALCEI del 31 marzo 1995) hanno ottenuto qualche risultato. Infatti ci sono molte
indagini condotte correttamente; come ci sono sentenze che definiscono con
chiarezza la non perseguibilità penale del possesso di software non registrato
(uno dei più diffusi pretesti, anche se non l'unico, per ripetute
"ondate" di perquisizioni e sequestri).
Ma l'abuso continua. Anche in tempi recenti
sono centinaia, se non migliaia, i casi di computer (talvolta addirittura
server) arbitrariamente sequestrati. Per esempio un'indagine molto estesa nel
1998 (e tuttora non conclusa) riguarda il possesso di giochi
"copiati". Ci sono casi (e non sono rari) di persone che hanno
acquistato un gioco elettronico sul mercato, in buona fede (almeno "fino a
prova contraria") e quindi non sono accusabili né di
"ricettazione" né di "incauto acquisto". Eppure si sono
viste sequestrare un computer, che dopo molti mesi non è stato restituito.
La coltre di nebbia che circonda questi abusi è
dovuta in gran parte dal silenzio delle vittime, che temono
"ritorsioni"- e spesso si sentono consigliare dai loro avvocati di
tacere per evitare "guai peggiori". Questa diffusa e barbarica paura
la dice lunga sul modo in cui sono condotte le indagini.
Senza entrare nei dettagli, né fare un elenco
dei molti abusi di ogni specie perpetrati nel corso di queste indagini, basta
qui ribadire due fatti fondamentali.
Privare una persona di un computer vuol dire
togliere a quella persona uno strumento di lavoro e di vita culturale; e spesso
anche danneggiare altre persone od organizzazioni che non sono in alcun modo
coinvolte nell'indagine. Oltre che un intollerabile abuso, questo è anche un
atto contrario alle leggi del nostro paese (a cominciare dalla Costituzione) e
ai fondamentali "diritti dell'uomo".
Il sequestro di computer (e spesso, assurdamente,
anche di "periferiche" o altre attrezzature) è del tutto inutile ai
fini dell'indagine; ci sono altri metodi, di provata efficacia, che possono
dare agli inquirenti tutto ciò che occorre senza sequestrare né un computer,
né un "disco rigido".
(Fin dalle sue origini ALCEI si è sempre
impegnata contro ogni forma di repressione; nei prossimi giorni diffonderà un
nuovo comunicato sul tema specifico dei sequestri).
Queste operazioni inutilmente terroristiche e
repressive sono un abuso intollerabile. Oggi più che mai è necessario portarle
alla luce e porre fine un comportamento, da parte di alcuni magistrati e di una
parte delle "forze dell'ordine", che è vergognoso e inaccettabile
in un paese civile.
Questa è anche una prova di quanta ignoranza, e
ingiustificata ostilità, sia ancora diffusa nel nostro paese nei confronti
delle nuove tecnologie e delle persone che ne fanno uso.
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