Considerazioni a margine della prima relazione della Commissione UE in merito
all'applicazione della direttiva n. 31/2000*
Prima parte
Nella sostanza, dunque, il «meccanismo» di responsabilità operante
ai sensi della direttiva è basato sul presupposto della cosiddetta conoscenza
del fatto e mancata attivazione. Per cui se qualcuno «segnala» ad un hosting
provider la presenza di un contenuto asseritamente illegale ospitato in
Internet per conto di un cliente, quel provider diviene - per ciò solo -
corresponsabile nell'eventuale illecito realizzato dal proprio avventore
qualora non provveda immediatamente a rimuovere detto contenuto dalla
Rete.
Come già abbiamo avuto modo di affermare il provider, così operando
(e cioè, oscurando le informazioni diffuse on line dal proprio
cliente), si rende tuttavia potenzialmente inadempiente (ex art. 1218 c.c.) nei
riguardi del proprio predetto avventore, per il caso in cui il contenuto rimosso
dalla Rete si dovesse rivelare, in seguito, lecito ed assolutamente inoffensivo.
Tralasciando le considerazioni di carattere teorico-dogmatico sulla
imputabilità del provider per atti compiuti dai propri clienti, tutto
ruota allora attorno al concetto di notification.
Così l'art. 16 del DLgs 70/2003 dispone che il provider è ritenuto
responsabile degli illeciti qualora: "a) non sia effettivamente a
conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto
attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze
che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non
appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti,
agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne
l'accesso".
Il problema è «scottante» per l'interprete, tenuto conto che, come già
abbiamo avuto modo di affermare e come oggi confermato anche dalla Commissione
UE nella relazione sulla attuazione della direttiva 31/2000/CE, in assenza di una
regolamentazione ad hoc è sufficiente a «far scattare» la
corresponsabilità del provider (assieme a quella principale del proprio
avventore) una «qualsiasi» comunicazione (anche magari una semplice e-mail)
inviata dal soggetto che si presume leso. Dal che ne deriva consequenzialmente l'obbligo
giuridico del provider di rimuovere il contenuto immesso on line dal
proprio cliente, ad ogni (verosimile) segnalazione di illecito pervenutagli.
Da una parte, dunque, il provider ha l'obbligo giuridico di attivarsi
al fine di impedire il perpetrarsi di violazioni commesse on line dai
propri clienti mediante la porzione di server loro concessa. D'altra (come
già detto), è tenuto a valutare attentamente l'attendibilità delle notification
che gli perverranno, se non vorrà rendersi contrattualmente inadempiente nei
riguardi del proprio cliente per l'ipotesi in cui il contenuto rimosso dalla
Rete si riveli affatto illecito o illegittimamente utilizzato.
La situazione del provider è inoltre aggravata dalla assenza nel DLgs
70/2003 di una disposizione analoga a quella contenuta, ad esempio, nella
normativa statunitense, laddove si dispone che, nell'ipotesi di cui sopra,
sarà il soggetto che ha inviato la notification ad essere direttamente
tenuto a risarcire il cliente per l'inadempimento contrattuale del provider.
Il problema costituito dalle notification è tanto sentito, anche nell'ambito
comunitario, che nella precitata prima relazione sulla attuazione della
direttiva 31/2000 è dedicato all'argomento un intero paragrafo.
La prima considerazione che muove l'estensore della relazione è che al
momento di adottare la direttiva si decise, in seno all'Unione, di non
disciplinare le procedure di «notifica e rimozione», limitandosi solamente l'articolo
16 della direttiva ed il considerando n. 40 ad incoraggiare l'autoregolamentazione
in questo campo.
Tale impostazione è stata (purtroppo) acriticamente seguita anche dagli Stati
membri, al momento di recepire la direttiva nelle rispettive legislazioni.
Tra gli Stati membri soltanto la Finlandia ha, infatti, inserito nella
propria legislazione una disposizione che stabilisce una procedura di «notifica
e rimozione», anche se unicamente in rapporto alle violazioni del diritto d'autore.
Per tutti gli altri Stati membri tale problematica rimane ancora aperta,
restando relegata nella sfera di una autoregolamentazione che tarda a mostrarsi,
tenuto conto che - come anche riferito dalla Commissione UE - il solo Belgio ha
sinora stabilito una procedura di coregolamentazione orizzontale, mediante l'adozione
di un protocollo di cooperazione con l'associazione locale dei fornitori di
servizi Internet (il documento è disponibile al sito www.ispa.be/en/c040201.html).
Conscia, dunque, della grave lacuna determinatasi a seguito della inattività
delle parti sociali, la Commissione, nella propria relazione sulla attuazione
della direttiva n. 31/2000, ha allora: «attivamente incoraggiato gli
interessati a sviluppare questo tipo di procedure».
Appare pertanto necessario che, in sede di autoregolamentazione, si determinino
almeno gli elementi minimi di validità delle «notifiche», stabilendo,
altresì, modalità uniformi per le procedure di «rimozione». Ciò soprattutto
tenuto conto che si avrà comunque per l'Internet provider nel prossimo futuro
(come già osservato, anche da altri) un ruolo inedito ed allarmante da novello
«censore telematico», privo di toga o corona.
A monte restano, infatti, in considerazione i penetranti (ed inquietanti,
anche alla luce del disposto di cui all'art. 21 Cost.) poteri di sindacato
e controllo sull'informazione e sulla libertà di manifestazione del
pensiero on line attribuiti dalla direttiva n. 31/2000 (ed in seguito dal DLgs
70/2003) ad un soggetto privato quale è (e rimane) l'Internet provider.
In conclusione venendo al piano comparatistico risulteranno utili ad
orientare l'interprete le seguenti ulteriori considerazioni finali.
Più restrittiva dell'art. 16 DLgs 70/2003 risulta essere la corrispondente
norma francese dettata dalla Loi n. 719/2000, la quale - a seguito di
intervento abrogativo da parte del Conseil constitutionnel - nel
determinare in capo al provider l'obbligo giuridico di attivarsi
(sanzionabile anche penalmente) richiede l'emanazione di un provvedimento dell'autorité
judiciaire.
Al riguardo si noti, inoltre, come il Conseil constitutionnel francese
abbia dichiarato la contrarietà alla Costituzione di una disposizione della Loi
n. 719/2000, per molti versi simile a quella dell'art. 16, proprio per la
parte in cui affermava che il provider sarebbe incorso in responsabilità (anche
penale) nel caso di omessa rimozione del contenuto ospitato on line, a
seguito di semplici esortazioni alla rimozione pervenutegli dai
presunti offesi.
Ha affermato, in tal senso, il Conseil constitutionnel che, omettendo di
precisare le condizioni di forma di una tale responsabilità ed inoltre, non
determinando le caratteristiche essenziali del comportamento colpevole,
tale da determinare, all'occorrenza, la imputabilità degli interessati, il
legislatore transalpino aveva disatteso i dettami che gli derivano dall'articolo
34 della Costituzione.
In ragione di ciò, il Conseil constitutionnel ha dichiarato pertanto
la illegittimità costituzionale dell'art. 43-8 della predetta legge, nella
parte in cui disponeva che: «- ou si, ayant été saisies par un tiers
estimant que le contenu qu'elles hébergent est illicite ou lui cause un
préjudice, elles n'ont pas procédé aux diligences appropriées» (nella
libera traduzione degli autori: "- o se, essendo stati portati a conoscenza
da un terzo che reputa illecito il contenuto ospitato [dal provider], oppure
ritiene che detto contenuto gli causi un pregiudizio, non hanno proceduto alle
appropriate diligenze").
Ma vi è di più.
Per valutare la fondatezza e legittimità delle notification che
perverranno, i provider saranno tenuti ad affrontare gli elevati costi necessari
ad apprestare uffici ad hoc, che si avvalgano della collaborazione di
qualificato personale specializzato.
Muovendo da tali considerazioni riveste allora grandissimo interesse una recente
decisione con la quale la Corte federale austriaca di giustizia costituzionale
ha dichiarato incostituzionale la «Sezione 89» del Telekommunikationsgesetz
(Legge di telecomunicazione), nella parte in cui impone(va) che le spese
necessarie ad attivare le previste «misure di monitoraggio» dei contenuti
veicolati sulle reti di trasmissione fossero poste a carico degli stessi
fornitori di servizi di telecomunicazione.
Ha rilevato, al riguardo, la Suprema corte austriaca che: «la determinazione
di chi deve sopportare le spese deve essere proporzionata allo stato ed agli
interessi dei fornitori di servizi di telecomunicazione. Orbene, poiché dalla
norma non si rivela alcuna considerazione per la regola di base della
proporzionalità e poiché essa non riesce a limitare i carichi finanziari, la
Sezione 89 del Telekommunikationsgesetz, nell'ultimo comma, è da
ritenersi incostituzionale (omissis). Il fatto, poi, che lo Stato possa
aver affrontato restrizioni di bilancio, non è, in sé stesso, sufficiente a
giustificare la corrente regolamentazione delle spese prevista dalla Sezione n.
89 del Telekommunikationsgesetz» (Der Österreichische
Verfassungsgerichtshof - VfGH, G 37/02 Ua - Sentenza del 27 febbraio 2003,
nella libera traduzione curata dagli autori).
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