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 Le regole dell'internet

Tra minaccia reale e stupro virtuale
di Daniele Coliva - 23.07.98

La stampa ha riportato, sia pure con diverso risalto, la notizia della denuncia di due ragazzi per tentata violenza sessuale in danno di una giovane donna. In sé la notizia, purtroppo, non si distaccherebbe dalla cronaca alla quale siamo abituati, se non per il fatto che lo "strumento" di commissione del reato sarebbe stata Internet.

Per spiegare: la condotta articolata si sarebbe svolta mediante un martellamento di email, messaggi su usenet e sul web, tutti legati dal filo conduttore della volontà di ottenere l'assenso della ragazza a prestazioni sessuali. Più esattamente, secondo quanto riferisce la Repubblica del 19 luglio scorso, due ragazzi hanno riversato su Internet una quantità enorme di messaggi dai quali "Stefania" appariva via via in vendita, oppure come l'oggetto di richieste di prestazioni sessuali. Dalla falsa rappresentazione della persona sulla rete alla pressione psicologica mediante un mail bombing di dimensioni inusitate.
Come spesso accade in questi casi, è difficile compiere una valutazioni giuridica precisa, tuttavia a prima vista balza agli occhi la novità della fattispecie: il tentato stupro via Internet. Qual è il nesso tra la tragica materialità del reato contestato e la virtualità dello strumento informatico? La mancanza di elementi più specifici sull'esatta articolazione della condotta illecita contestata induce alla prudenza; la magistratura difficilmente ricorre a configurazioni così "ardite" se non in presenza di elementi oggettivi precisi. Non si conosce il contenuto di quei messaggi, tuttavia non ci si può non interrogare sulla fondatezza dell'imputazione.

La norma incriminatrice prevede infatti la punizione con la reclusione da 5 a 10 anni per "chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali" (art. 609 bis, introdotto dalla legge sulla violenza sessuale, la n. 66 del 15/2/96). La chiave interpretativa della vicenda è, a prima vista, in quelle "minacce" e nel loro fine, appunto l'atto sessuale. La carenza di notizie dettagliate sulla condotta impone prudenza, però rimane la perplessità di fronte ad un'ipotesi di reato il cui nocciolo è rappresentato dalla coercizione al compimento di atti sessuali, che sarebbe stata tentata (art. 56 c.p.: atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un reato) attraverso lo strumento informatico.

Poiché sembra che la relazione tra la vittima e gli indagati si sia risolta nel terreno virtuale, ritengo tutta da verificare l'ipotesi di una costrizione via e-mail idonea a configurare il reato previsto dall'art. 609 bis e non, piuttosto, il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.: chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punti con la reclusione sino a 4 anni). L'evidente matrice comune dei due reati, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, induce a meditare attentamente sul vero elemento differenziante, costituito appunto dagli "atti sessuali", la cui concretezza appare urtare con la virtualità dello strumento. Il problema non è semplice, in quanto si tratterà di valutare in fatto la condotta degli indagati. Col tempo avremo più informazioni.
Ciò che preme porre in evidenza è che Internet in questo caso non rappresenta un elemento differenziante rispetto al passato. Come è stato rilevato giustamente sempre in Repubblica del 19 luglio scorso a pagina 12 (Reati via Internet), la rete è solo uno strumento, alla pari del telefono o delle lettere. "Se nuovo è lo strumento, vecchissimo è l'obiettivo dei molestatori fiorentini" osserva il commentatore, ponendo in guardia da fuorvianti generalizzazioni sulla presunta, e abusata, pericolosità di Internet. Il punto, ed è la conclusione più amara e malinconica, non è lo strumento, ma le persone che lo usano, che non sono cambiate nonostante il progresso tecnologico.

* Avvocato