Il destino si è beffardamente accanito contro un capolavoro
letterario: uno straordinario testo del secolo scorso carico di profondi
significati, di agghiaccianti premonizioni, di disperate denunce, passato
tuttavia alla storia solo per l’abuso di significato che i posteri hanno fatto
di un “felice” termine che in esso compare. Parlo ovviamente di 1984 e del
suo “Grande Fratello”, figura drammatica che oggi è semplicemente un
sinonimo archetipico dei più estremi e volgari reality show della nostra
televisione. Marchiato come “fantascienza ucronica” o tutt’al più
fantapolitica, "1984" di George Orwell è un capolavoro che dovrebbe
essere fatto leggere nelle scuole ed oggi è invece totalmente travisato, se non
dimenticato. Ed appare forse beffardo che sia stata proprio la televisione, che
nel romanzo è l’arma psicologica del Partito, ad essersi presa la vendetta
sul Grande Fratello, tramutandolo da minaccioso dittatore a zimbello delle
masse.
Evidentemente però nella nostra Europa, situata a ventitré anni nel futuro
dagli eventi narrati da Orwell (ma a quasi sessanta da quando furono stati
concepiti dall’autore), c’è qualcuno che non solo ha letto il romanzo dello
scrittore inglese ma lo ha anche apprezzato, tanto da volerne mettere in
pratica, se non gli insegnamenti, quantomeno taluni metodi.
Per chi non lo sapesse, il libro descrive una futuribile (ma
non tanto…) dittatura che, al contrario di tutte le altre del passato, fonda
il suo potere non sulla forza delle armi e la violenza fisica bensì sulla forza
della parola e la violenza psicologica. Adoperando con fredda ed implacabile
ferocia tecniche di propaganda messe a punto con scientifica precisione, il
Partito soggioga la psiche dei cittadini manipolandone sentimenti e addirittura
ricordi, in modo da mantenerli costantemente in uno stato di soggezione
psicologica da cui non riescono ad uscire. “Spacciare deliberate menzogne e
credervi con purezza di cuore; dimenticare ogni avvenimento che è divenuto
sconveniente e quindi, allorché ridiventa necessario, trarlo dall'oblio per
tutto quel tempo che abbisogna; negare l'esistenza della realtà obiettiva e
nello stesso tempo trar vantaggio dalla realtà che viene negata... tutto ciò
è indispensabile, in modo assoluto.” .
Il grandioso disegno del Partito è finalizzato al raggiungimento di uno stato
di controllo definitivo sulle persone, ottenuto non mediante la repressione
delle azioni sconvenienti ma lo sradicamento delle stesse forme di pensiero
sconvenienti. La polizia del Partito non combatte i reati ma gli psicoreati,
ossia l’idea stessa del reato. I cittadini sono così messi nella situazione
in cui non solo non possono materialmente compiere azioni contrarie al
volere del Partito, ma neppure avere idee sgradite ad esso.
Uno degli strumenti fondamentali di questo processo mirato
all’inibizione della volontà stessa delle persone è la neolingua (in
originale newspeak), una lingua artificiale inventata dal Partito e
definita da un apposito Ministero la quale, modellata sulla base di un inglese
estremamente semplificato, dovrà gradualmente sostituire la lingua
correntemente scritta e parlata. Improntata in apparenza a criteri di
razionalità ed economia di pensiero, la neolingua viene imposta alla gente come
modello per migliorare l’efficienza e l’efficacia della comunicazione
verbale quotidiana. In neolingua sono ad esempio aboliti tutti i sinonimi (che
bisogno c’è di dire “rapido” quando si può dire “veloce”?) e tutti i
contrari, i quali vengono espressi semplicemente come negazione del termine
opposto corrispondente (non “cattivo” ma “sbuono”). Le forme verbali
sono ridotte al minimo o addirittura abolite, e gli aggettivi comparativi o
superlativi sono realizzati mediante prefissi sulla forma base (“buono”, “arcibuono”,
“arcipiùbuono”). Periodicamente il Partito pubblica nuove versioni del
dizionario e della grammatica della neolingua, che sono sempre più poveri e
schematici rispetto a quelli precedenti, con l’obiettivo di sradicare
completamente l’inglese tradizionale entro il 2050.
Ma il vero diabolico scopo che sta dietro l’introduzione
forzata della neolingua è in realtà il controllo del pensiero:
eliminando infatti dal lessico tutte le parole scomode, e obbligando alla
formulazione dei soli costrutti verbali consentiti dalla rigida e scarna
struttura semantica della neolingua, il Partito vuole rendere impossibile
dapprima la formulazione in parole di pensieri contrari alla sua filosofia, con
l’obiettivo finale di rendere tali pensieri a lungo andare direttamente non
formulabili dalla mente stessa! L’idea di base è che se una cosa non può
essere detta, alla lunga non potrà più neppure essere pensata. Il
condizionamento del pensiero passa dunque per il condizionamento della lingua:
non avendo più a disposizione parole che esprimono concetti non ortodossi, né
forme linguistiche idonee a rappresentarli, le persone smetteranno addirittura
di pensarli. Non vi sarà così tecnicamente alcuna possibilità di
compiere psicoreati, dato che sarà materialmente impossibile formulare
pensieri non in linea con l’ortodossia politica del Partito.
A qualche acuto osservatore dei nostri tempi tutto ciò
dovrebbe far venire in mente qualcosa. Sinistri presagi di neolingua già si
agitano infatti già da qualche tempo innanzi a noi, magari sotto forma di
quegli ipocriti eufemismi che vanno sotto il nome di political correctness:
“non vedente” anziché “cieco”, “diversamente abile” per “disabile”,
“migrante” o “appartenente ad etnia rom” per non dire “zingaro”, “centro-destra”
e centro-sinistra” al posto di “destra” e “sinistra”. La parola vale
più della realtà e condiziona i comportamenti più di un fatto concreto, come
ben sa quell’azienda americana di fast-food che definisce i propri tre menù
“medio”, “grande” e “grandissimo” anziché, come sembrerebbe più
normale, “piccolo”, “medio” e “grande”.
Ma questo, se vogliamo, è marketing: magari in campo sociale e politico, ma
sempre di marketing si tratta. Ogni esperto del settore infatti sa bene che
basta cambiare il nome ad una cosa per modificarne la percezione da parte delle
persone, anche a parità di tutto il resto.
Il problema è che ultimamente dai segnali sotterranei si è
passati a qualcosa che adombra un vero e proprio disegno orwelliano. O almeno a
questo mi fanno pensare le parole del Commissario europeo Frattini quando
sostiene che, per sradicare il fenomeno del terrorismo, occorre eliminare dai
motori di ricerca le parole “scomode” quali bomba, genocidio o
terrorismo. Molte organizzazioni che si battono per la libertà di
espressione in Rete hanno già protestato parlando di censura, ma la cosa mi
sembra molto più grave: l’intento del Commissario appare infatti assai più
sottile e profondo, stando almeno alle dichiarazioni che ha rilasciato. Dice
infatti Frattini: "Intendo portare avanti un esercizio di esplorazione con
il settore privato su come sia possibile usare la tecnologia per evitare che la
gente usi o cerchi parole pericolose” (la notizia
sul sito della Reuters).
La gente dunque non deve usare parole pericolose!
Sembra di sentire il Grande Fratello, e purtroppo non quello di Mediaset.
Frattini sembra infatti sostenere che sono le parole ad essere
pericolose, prima ancora che i concetti che rappresentano o i fatti che da essi
discendono: non è dunque pericolosa solo la bomba ma anche il concetto
di bomba, ed è dunque poco gradito il fatto che si possa usare la parola
bomba.
Per la commissione europea per la sicurezza occorre dunque far sì che la gente
non possa trovare in Rete parole proibite, perché così smetterà dapprima di
pronunciarle e poi finalmente di pensarle, e tutti vivremo felici e contenti in
un mondo libero da terroristi e criminali. Il prossimo passo naturalmente sarà
quello di togliere le parole proibite dai dizionari e dalle enciclopedie, per
poi passare gradualmente a riscrivere quotidiani e libri. Questa attività, come
ben sa chi ha letto 1984, è proprio il compito istituzionale del Ministero
della Verità: il cui motto è “Chi controlla il passato controlla il
futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”
E nel frattempo cosa succederà? La psicopolizia europea
sorveglierà tutte le query inviate ai motori di ricerca per individuare
tutti coloro che usano parole proibite? “Lo psicoreato non comporta la
morte: lo psicoreato è la morte” ci dice il povero Winston Smith.
Lui pensava a se stesso, io penso alla democrazia.
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