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Le regole dell'internet

Internet, la libertà è solo per gli altri? 

di Manlio Cammarata - 01.10.07

 
Si è svolto a Roma il 27 settembre scorso il Dialogue Forum on Internet Rights: un'affollata conferenza internazionale, promossa dal ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione Nicolais e dal sottosegretario Magnolfi. E' stata una riunione preparatoria dell'Internet Governance Forum che si terrà a Rio de Janeiro dal 12 al 15 novembre prossimo.

Per capire la dimensione e il significato dell'evento è opportuno fare qualche passo indietro. L'Internet Governance Forum (IGF) è nato nel novembre del 2005 dal World Summit on Information Society di Tunisi. La  prima riunione dell'IGF si è svolta nel 2006 ad Atene, con la partecipazione di organizzazioni di quasi cento Paesi. In quella sede l'Italia ha avanzato la proposta di un Bill of Rights, una "carta dei diritti" dei cittadini della rete. 

Ma che cosa significa Internet Governance? E come si colloca una "Carta dei diritti" dell'internet nel contesto dell'Internet Governance? Prima ancora: che cosa si intende con l'espressione Internet Rights, cioè "diritti dell'internet?
Domande cruciali per chi vede nella rete uno strumento fondamentale di libertà e di progresso e non dimentica che essa è disponibile solo per una piccola parte della popolazione del mondo. E che in molti casi, anche quando è disponibile, non è un libero strumento di comunicazione.

Dalle risposte a queste domande deriverà non solo il testo, ma anche l'efficacia della progettata carta "costituzionale" dell'internet. Un'idea suggestiva, ma che potrebbe restare una mera dichiarazione di princìpi, perché l'IGF non ha poteri decisionali. La carta dovrà essere adottata da un organismo capace di imporne l'adozione da parte degli Stati del mondo. E questo organismo, è stato detto da tutti, non può essere che l'ONU.
Ma tutto questo non implica l'affidamento all'ONU del "governo" dell'internet, perché governance non significa "governo" nel senso che diamo a questa parola in italiano. "La governance consiste in tutte le azioni delle amministrazioni necessarie per far fare ai cittadini e alle imprese le azioni che abbisognano per compiere i propri fini" scrive Antonio A. Martino nella premessa al quaderno "Aspetti giuridici di internet" realizzato dalla sezione italiana dell'Internet Society come contributo all'IGF di Rio (il quaderno sarà disponibile on line nei prossimi giorni e potrà essere richiesto in versione "fisica" da questa pagina).

Non tutti condividono questa impostazione. Qualche tecnologo di lungo corso ricorda che la governance della rete è fatta di regole che si chiamano RFC, che in sostanza sono "raccomandazioni" tecniche condivise. Il problema è che lo sviluppo globale dell'internet impone l'esistenza di regole giuridiche accanto a quelle tecniche. Ma le regole giuridiche devono essere fatte proprie dagli Stati. La sfida della carta dei diritti è appunto far condividere anche queste ultime, considerando che ci sono molti posti in cui la parola "diritti" ha un senso molto limitato. 

Dagli Internet Rights al Bill of Rights: i diritti dell'internet sono stati il piatto forte della conferenza del 27 settembre. I relatori hanno parlato di diritti umani, di libertà di espressione e di accesso ai contenuti, di sicurezza e difesa della privacy, di protezione dei minori, di libertà dai condizionamenti commerciali e di responsabilità sociale. Dell'internet come servizio universale.

Stefano Rodotà ha volato alto, come al solito, descrivendo il cambiamento epocale determinato dalla forza delle tecnologie. Che oggi, ha detto Rodotà, danno un significato molto più ampio di quello che si poteva intendere nel 1948 con l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: "Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere".

E il ministro delle comunicazioni Gentiloni ha riconosciuto che le misure repressive del precedente governo in materia di  diritti di proprietà intellettuale non hanno dato risultati e che occorrono nuove forme di tutela. Sulla stessa lunghezza d'onda il sindaco di Roma Veltroni, per il quale la condivisione dei contenuti ha un aspetto "alto" e non è solo pirateria e violazione di diritti. Ancora, per Veltroni, il controllo e la registrazione delle attività degli utenti, anche se motivati da preoccupazioni per la sicurezza e dalla lotta al terrorismo, spesso si configurano come pure restrizioni della libertà, di dubbia efficacia e realizzabilità.

Utopie? Qualcuno ha ricordato che proprio ad Atene, mentre le autorità parlavano di libertà di espressione, un blogger  greco veniva arrestato.
Ma anche a casa nostra il concetto di libertà di espressione incontra qualche difficoltà. L'Italia è l'unica nazione democratica in cui la professione di giornalista non è libera. Commette un reato chi si dichiara giornalista senza essere passato sotto le forche caudine della corporazione (art. 45 della legge n. 69 del 1963). Come se non bastasse, circola in questi giorni un disegno di legge che vorrebbe imporre a chiunque dia informazioni via internet, anche "anche in forma non imprenditoriale per finalità non lucrative" l'iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione. In parole povere, la schedatura dei blogger (vedi Riforma dell'editoria: non siamo tutti giornalisti).

E' un fatto che quando si parla di regole dell'internet troppi politici intendono "controllo dell'internet". Ecco l'uscita del commissario europeo Franco Frattini, che vorrebbe cancellare dai motori di ricerca tutte le parole che possono essere associate al terrorismo (vedi La “frattinizzazione” non è l’unica minaccia di Giancarlo Livraghi). Ecco il disappunto di Pierferdinando Casini proprio al Dialogue Forum on Internet Rights, dove parlava nella sua veste di presidente dell'Unione interparlamentare, a proposito della rete "nata al di fuori del controllo governativo".

Alla fine della storia c'è da temere che tutti i discorsi sulla libertà riguardino quella degli altri. Non è a questo che pensano i promotori del Bill of Rights, ma non si può trascurare il rischio che tante buone intenzioni restino tali per un tempo lunghissimo.
Rodotà ha concluso il suo intervento con le prospettive del Forum di Rio: "Sarà possibile fissare priorità, individuando le materie, le aree, le tecniche di regolazione che si prestano ad iniziative più immediate. Ma il vero risultato politico sarà quello di stabilire che, dal 2008, il tema dei diritti deve essere affrontato in una delle grandi sessioni pubbliche dell’Internet Governance Forum. Sarebbe uno di quegli atti simbolici dai quali può trovare avvio una nuova realtà".

Un po' di ottimismo non guasta...

 

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