| Verso una
        irresponsabilità oggettiva del provider?di Enzo Fogliani - 24.07.98
 E stata
        salutata con comprensibile entusiasmo nel mondo degli
        internet provider la recente ordinanza del tribunale di
        Roma del 4 luglio 1998, con cui e stato negato un
        provvedimento durgenza volto alla rimozione di un
        messaggio ritenuto diffamatorio posto su un news-server.
 La parte dellordinanza che qui interessa è la
        seguente: "Si rileva il difetto di legittimazione
        in proprio di Centofanti Dario, che non puo essere
        chiamato a rispondere in proprio per le attività svolte
        nella sua qualità di organo responsabile del news-server
        Phanteon s.r.l.. Neppure la Pantheon s.r.l. è da
        ritenersi legittimata passiva dal presente ricorso, in
        quanto il news- server si limita a mettere a disposizione
        degli utenti lo spazio "virtuale"
        dellarea di discussione e, nel caso di specie,
        trattandosi di un newsgroup non moderato, non ha alcun
        potere di controllo e vigilanza sugli interventi che vi
        vengono inseriti".
 
 Tale statuizione è stata da alcuni definita
        "storica decisione", in quanto escluderebbe
        "in maniera tassativa lesistenza di una
        responsabilità oggettiva del provider per i messaggi che
        circolano sul suo server" (così testualmente il
        comunicato stampa leggibile su http://www.mailgate.org)
 
 Peraltro, anche se lordinanza costituisce un passo
        in avanti nel chiarire le responsabilità fra gli
        operatori del settore, sarebbe a mio avviso errato trarne
        la frettolosa impressione che il tribunale di Roma abbia
        finalmente sancito il principo secondo cui il provider o
        comunque il gestore del server non e MAI
        responsabile per quello che vi è immesso da terzi o dai
        propri utenti.
 
 In realtà, così non è. La ordinanza si colloca
        indubbiamente come elemento innovativo dal contenuto
        estremamente qualificato, anche sotto il profilo tecnico,
        nel nostro ordinamento; ma è opportuno evidenziare che
        il suo contenuto  ad unanalisi approfondita
        che tenga conto dellambito della vertenza e del
        quadro normativo, anche processuale, in cui si è svolto
        - è ben lontano dal sancire principi che affranchino a
        priori i provider possibili conseguenze dannose per
        quanto posto sul loro server.
 
 Anzitutto, il punto dellordinanza che qui interessa
        si è pronunciato sulla legittimazione attiva; ovverossia
        si è pronunciato non sul merito della questione, ma
        sullaspetto processuale di chi dovesse essere il
        destinatario della pretesa risarcitoria fatta valere
        dalla parte che si assumeva danneggiata.
 
 E questo un punto estremamente importante. La
        legittimazione passiva dipende essenzialmente dalla
        domanda che viene posta in giudizio. A sua volta, il
        provvedimento durgenza sulla cui richiesta si
        e pronunciato il tribunale deve essere
        anticipatorio di quello che sarà il risultato della
        sentenza di merito. Non sfuggirà che mentre per quanto
        riguarda il provider il tribunale ha ritenuto non
        sussistere la legittimazione passiva (valutazione di
        carattere processuale), per lautore del messaggio
        ha ritenuto non vi sia alcun atto illecito, in quanto
        esercizio di un legittimo diritto di opinione
        (valutazione nel merito).
 
 E quindi da esaminare se, in concreto, la affermata
        carenza di legittimazione attiva possa ritenersi
        coincidente con la "mancanza di
        responsabilità". Per il webmaster, il principio
        affermato non è affatto nuovo, ma una semplice
        conseguenza del disposto dellart. 2049 c.c., in
        applicazione del quale del fatto del preposto risponde il
        preponente.
 
 Per la società provider, la pronuncia è innovativa
        nella misura in cui ha riconosciuto che, per la struttura
        del news-group, il gestore non ha alcun dovere di
        controllo preventivo. E noto che, per il nostro
        ordinamento, "non evitare un fatto che si ha
        lobbligo di impedire equivale a cagionarlo".
        Il fatto che il webmaster (e quindi il gestore del
        server, di cui è presposto) non abbia alcun obbligo di
        controllare preventivamente quanto viene posto sul server
        significa quindi affermare che non può essere ritenuto
        coautore di danni ingiusti che siano provocati a terzi a
        mezzo del server. Sotto questo aspetto, lazione di
        un (preteso) diffamato da un messaggio posto in un
        news-group nei confronti del gestore del server deve
        essere respinto per carenza di legittimazione, in quanto
        il suddetto gestore, non avendo posto in essere alcun
        comportamento dannoso, neppure omissivo (non avendo alcun
        obbligo di controllo) non puo essere il
        destinatario dellazione di risarcimento, che al
        contrario può essere intentata solo contro colui che,
        con il suo comportamento, ha provocato un danno ingiusto (art. 2043 c.c.).
 
 Attenzione però. Ciò non significa affatto che il
        gestore del server possa comunque mantenere sul server
        materiale potenzialmente dannoso senza risponderne. Nel
        momento stesso in cui il provider viene avvisato da chi
        si ritiene danneggiato da qualcosa posto sul server che
        ciò gli procura un danno, la sua posizione cambia
        radicalmente.
 
 Un esempio grossolano può forse chiarire meglio il
        concetto. Poniamo che, anziché un messaggio
        diffamatorio, sul server si immessa una fotografia
        pornografica attinente la pedofilia. Il Webmaster non ha
        alcun obbligo di controllare ciò che viene posto sul
        server; ma nel momento in cui viene avvisato di tale
        situazione ha lobbligo di rimuovere la fotografia
        dal server, per non condurre a conseguenze ulteriori il
        reato già commesso da chi la ha spedita e posta in
        visione al pubblico. (Lesempio è forse estremo, ma
        non poi tanto lontano. Anche se nel nostro caso la
        questione era trattata in sede civile, la diffamazione è
        pur sempre un reato).
 
 Dunque, si diceva, nel momento in cui il webmaster
        diviene conscio dellatto potenzialmente lesivo di
        terzi commesso sul suo server deve compiere una scelta;
        ossia, deve valutare se effettivamente il il preteso
        danneggiato abbia ragione o no.
 
 Nel nostro ordinamento vige il fondamentale principio del
        neminem laedere; ossia, in linea generale nessuno
        è autorizzato a danneggiare un terzo, salvo alcune
        ipotesi in cui tale danneggiamento è ritento dalla legge
        legittimo. Uno di questi casi è il legittimo esercizio
        di un diritto: qui jure suo utitur, neminem laedit.
        E questo il caso esaminato; il tribunale di Roma
        non ha affermato che il messaggio in questione non avesse
        provocato danni allimmagine della banca ricorrente,
        ma ha accertato che le affermazioni del contenuto
        rientravano nellesercizio del diritto di critica
        sancito dallart. 21 della costituzione.
 
 Ma cosa sarebbe accaduto se il messaggio avesse integrato
        gli estremi della diffamazione? Senzaltro, di esso
        sarebbe stato responsabile il diffamante e non il gestore
        del server che lo ha ospitato. Ma non momento in cui
        questi, pur essendo stato invitato a farlo, non avesse
        rimosso il messaggio produttivo del danno dal proprio
        server, avrebbe posto in essere un comportamento omissivo
        che, seppur in misura ridotta, avrebbe verosimilmente
        procurato un danno, costituito dal fatto che altri
        avrebbero potuto leggere il messaggio offensivo.
 
 In questo caso, la valutazione degli interessi
        contrapposti non può valere a giustificare il danno
        provocato al soggetto diffamato dalla permanenza sul
        server del messaggio diffamante. Il gestore del server
        non fa valere alcun suo diritto contrapposto a quello del
        danneggiato che giustifichi un sacrificio degli interessi
        di questultimo. Dal momento in cui è stato
        avvisato che attraverso il suo server è in atto un
        comportamento dannoso, egli deve quindi scegliere se
        sospendere prudenzialmente la visibilità del messaggio
        incriminato, o mantenerlo in linea, contribuendo così ad
        incrementare il danno provocato dal messaggio
        diffamatorio.
 
 E non è questa posizione di poca importanza. Nessuno, se
        non il gestore del server, può cancellare un messaggio
        posto in un newsgroup; neppure il suo autore.
        Nessun altro, quindi, può decidere ed agire se non
        lui.
 
 A questo punto, è chiara la opportunità per il gestore
        del server, di cancellare, dietro richiesta della parte
        offesa, i messaggi di cui sia palese la diffamatorietà.
        Da un lato infatti abbiamo lasserito diffamato, il
        quale ha già subito un danno per la pubblicazione del
        messaggio offensivo e lo vedrebbe incrementato dalla sua
        permanenza alla visione pubblica; dallaltro,
        abbiamo il presunto diffamatore, il quale, peraltro, non
        vanta in alcun modo alcun diritto a che il suo messaggio
        permanga sul server. Non dimentichiamo infatti che
        laccesso ai newsgroup di solito non è basato su un
        contratto fra liscritto alla lista ed il gestore.
        Questultimo mette in genere a disposizione il
        proprio spazio gratuitamente, e puo quindi in ogni
        momento revocarlo, o chiudere addirittura il newsgroup
        basato sul proprio server, senza che nessuno possa
        pretendere da lui alcunché.
 
 Ciò, si noti, è cosa ben diversa dalla
        "censura". Nel nostro ordinamento è ben chiara
        la differenza fra la legittima espressione della propria
        opinione e, invece, la diffamazione. Un giudice che
        accerti una diffamazione non esercita la censura, ma
        accerta semplicemente un reato che procura un danno ad un
        altro. Così il provider che, avvisato dalla parte che si
        ritiene offesa, rimuova un messaggio che anche egli, dopo
        sereno esame, giudica diffamatorio, non penso possa
        essere ritenuto un censore.
 
 Al contrario, la sua inerzia o un suo rifiuto alla
        rimozione sarebbe un comportamento omissivo che, sotto
        certi aspetti, potrebbe essere ritenuto atto ad aumentare
        il danno già procurato dallautore del messaggio
        offensivo; il che, allo stato attuale delle nostra
        legislazione e della nostra giurisprudenza, potrebbe
        essere tuttora ritenuto fonte di responsabilità
        aquiliana a carico del provider.
 * Avvocato, consulente della Naming
        Autorithy italiana |