Quali "incentivi" per far
crescere l'internet in Italia?
di Giancarlo Livraghi*
- 21.07.99
Molte chiacchiere, pochi fatti;
molte ipotesi di "incentivi" che non risolverebbero il problema, anzi
potrebbero essere dannosi. E non è solo un pasticcio italiano: per esempio le
Nazioni Unite...
Che l'Italia sia arretrata, in fatto di rete,
è chiaro. Ma è sempre più confusa e inconcludente l'arruffata matassa delle
proposte su come risolvere il problema; con il rischio che un'errata diagnosi,
cui segue una terapia sbagliata, finisca col peggiorare il male invece di
curarlo.
Per anni, il problema è stato ignorato.
Diffidenze e terrorismi, mescolate con ingiustificati trionfalismi sulla
presunta "crescita esponenziale", hanno portato le nostre autorità
pubbliche e gran parte dei grandi mezzi di informazione a non capire, e
tantomeno spiegare, di che cosa si trattasse. Di quella confusione stiamo ancora
pagando il prezzo: ciò che è chiaro a tutti gli osservatori attenti della
situazione è che la nostra arretratezza è soprattutto un problema culturale.
Cercare di risolverlo con più o meno pasticciate operazioni tariffarie non è
solo una soluzione semplicistica e inefficace ma anche un sintomo preoccupante
di quanto poco sia capita la vera natura del problema.
Solo nell'autunno del 1998, dopo tanti anni di
disattenzione e di inerzia, si è diffusa la percezione del
"sottosviluppo" italiano. Sentimmo dire, anche da fonti pubbliche, che
la vera soluzione nel problema sta nella qualità dell'offerta: se e quando la
pubblica amministrazione offrirà servizi utili e facilmente accessibili, e lo
stesso faranno le imprese private, avremo una crescita solida e concreta della
rete; tutto il resto è secondario. Ma a quelle sagge parole sono seguiti
pochissimi fatti; mentre continuano ad ammucchiarsi norme e regole che, per
quanto "ben intenzionate", si rivelano inefficaci o nocive. Come per
esempio l'inefficiente e farraginosa legge sulla tutela dei dati personali, l'assurdo
inasprimento delle norme sulla proprietà del software, l'affastellamento di
procedure burocratiche in materia di "tutela dei consumatori"...
eccetera.
Si disse allora che nell'allegato alla legge
finanziaria ci sarebbero stati "incentivi" per lo sviluppo dell'internet.
Sono passati otto mesi e nulla si è fatto. Sorsero fin dall'inizio parecchie
perplessità (vedi Timeo
Danaos et incentiva ferentes)
e a quanto pare la confusione continua. Curiosamente in questo ritardo c'è un
elemento positivo, perché qualche meditazione o esitazione sembra aver evitato
provvedimenti affrettati e sbagliati, come riduzioni tariffarie mal concepite o
ipotesi demenziali (per esempio la bizzarra idea della "rottamazione"
dei computer, che per fortuna sembra definitivamente abbandonata). Ma si
continua a parlarne e sembra che tutti questi mesi non siano serviti a fare
chiarezza.
Il problema delle tariffe
La situazione delle tariffe telefoniche è
estremamente confusa. Che si debba tendere a una generale diminuzione, è
chiaro; molto meno chiaro è come questo avvenga. Sembra che la tendenza
generale, un po' per decisioni normative e un po' per concorrenza nel
mercato, vada verso una riduzione delle tariffe più alte (interurbane e
telefonia mobile) accompagnate da un aumento, variamente interpretato o
travestito, delle tariffe urbane e (o) del canone.
Le varie campagne demagogiche per l'abolizione
della "tariffa urbana a tempo" non solo sono state inefficaci, ma sono
quasi sempre coincise con un aumento del costo di telefonia urbana: o nel costo
degli "scatti", o nel canone che grava su tutti, indipendentemente
dall'uso che fanno delle linee telefoniche. Tuttavia hanno lasciato un segno,
sbagliato e pericoloso: la convinzione, diffusa in molte nostre autorità
pubbliche, che il problema sia soprattutto di tariffe - e che quella sia l'unica
o la più importante soluzione.
Chiunque abbia un po' approfondito il problema
sa che non è vero. Ho il (fondato) sospetto che lo sappiano anche molti dei
nostri politici e delle pubbliche autorità, ma che vedano questo tipo di
intervento come una più o meno facile scappatoia con cui dare l'impressione
di aver fatto qualcosa di concreto e così placare la "pubblica
opinione" (che in questo come in altri casi non è l'opinione dei
cittadini fondata sui fatti, ma una montatura di cui i cittadini male informati
sono la prima vittima).
Ma è vero che l'internet "costa
troppo"?
Se parliamo con una persona che non ha mai usato
la rete, o lo ha fatto solo occasionalmente, ci sentiamo ritualmente ripetere
che "costa troppo". Se ragioniamo con un po' di calma e spieghiamo i
fatti, ci sentiamo rispondere: "Davvero? Ma allora costa poco".
Ne consegue che poi quella persona decide di collegarsi? Spesso no; ma per
motivi nulla hanno a che fare con il costo della connessione.
Come ho già detto varie volte, che lo scarso uso
della rete non sia determinato dalla "tariffa urbana" è dimostrato
clamorosamente da un fatto: la telefonia mobile, con costi enormemente più
alti, è molto più diffusa in Italia dell'internet.
Ma proviamo ad approfondire un po'. A parte le
sempre più diffuse offerte "gratuite" (di cui parlerò fra poco) un
accesso privato alla rete costa fra le 200 e le 300 mila lire all'anno. Con
due minuti di connessione urbana (150 lire) si possono mandare e ricevere cento
o più messaggi e-mail. Una lettera spedita per posta costa 800 lire (più
carta, busta e il tempo di andarla a imbucare) - e molto di più se non è una
semplice lettera ma un documento che supera il peso di 20 grammi. Un fax, se
fuori dalla zona telefonica, costa molto di più. Una persona che in un anno
facesse venti o trenta interurbane (o fax) in meno, ed evitasse di spedire
qualche decina di lettere o cartoline, avrebbe risparmiato più di quanto costa
usare la rete. È sorprendente constatare quante persone, nonostante il gran
parlare che si fa dell'internet, non si rendono conto di questo fatto.
Credo che molte persone potrebbero risparmiare
parecchio nell'uso della rete se sapessero quante cose si possono fare "offline"
invece di restare collegati per molto tempo. Poiché in altre occasioni sono
stato mal capito, vorrei chiarire che non propongo di penalizzare chi fa
collegamenti lunghi. Ognuno deve essere libero di fare come vuole - e ci sono
usi della rete che rendono necessarie connessioni non brevi: variabili da
operazioni impegnative come il trasferimento di software ad attività
generalmente private e spesso "ludiche" (ma non per questo meno utili
e legittime) come le chat. I costi non sono esorbitanti... un'ora di
collegamento in ore serali costa 1500 lire: cioè meno che farsi spedire un CD o
andare al bar con gli amici - e meno di un biglietto del tram. Naturalmente
sarebbe meglio se gli "scatti" (o le tariffe a tempo) costassero
ancora meno; a condizione che sia una pura e semplice riduzione di prezzo e non
un trucco per cui il costo viene a gravare su qualcun altro... per esempio su un
aumento generale del canone o su una tariffa "penalizzante" per chi fa
collegamenti brevi e frequenti (e così facendo, fra l'altro, crea minor
"carico di banda" e aiuta tutti ad avere collegamenti più efficienti
e veloci).
Insomma ben vengano, se sono possibili, vere
riduzioni della tariffa urbana. Ma non al prezzo di aumenti in altre
"voci"; non a beneficio esclusivo del collegamenti lunghi e a danno di
tutti gli altri; e soprattutto non se si crede, sbagliando, che questa sia una
"panacea" in grado di risolvere il problema dell'arretratezza
italiana in rete.
Il quadro complicato (e truccato) di offerte e
promozioni
Mentre le autorità rimuginano su come definire
"incentivi" per l'uso della rete, sul mercato si affollano
promozioni e offerte di vario genere, compresi collegamenti "gratuiti"
alla rete, che complicano ancora di più un quadro già confuso.
Spesso queste offerte non sono trasparenti e
contengono "trappole" non dichiarate. Per esempio Infostrada non dà l'evidenza
che dovrebbe ad alcune clausole del suo contratto, che in deroga (di fatto
violazione) alla legge sulla protezione dei dati personali assoggettano il
malcapitato cliente a una serie di obblighi e condizioni. Per esempio: Il
cliente autorizza espressamente Infostrada ad inviare alla propria casella di
posta elettronica una mail pubblicitaria al giorno. Inoltre accetta il
fatto che i dati relativi all'utilizzo del servizio saranno utilizzati, con i
limiti indicati nel successivo articolo 5, ai fini di individuare gli interessi,
le preferenze e le esigenze del cliente manifestate attraverso tale utilizzo e
programmare, secondo il profilo così determinato, l'invio delle mail
pubblicitarie.... e ancora Infostrada verificherà periodicamente il profilo di
utilizzo del servizio, al fine di personalizzare l'invio delle mail
pubblicitarie in base alle esigenze e agli interessi concretamente manifestati
dal Cliente. Infostrada provvederà all'uopo ad analizzare i siti visitati
più frequentemente dal Cliente e la media delle sue connessioni. E anche Nel
caso in cui il cliente non visualizzi sul proprio personal computer il contenuto
di almeno quattro mail al mese tra quelle inviate da Infostrada a fini
commerciali il servizio verrà sospeso.
Cioè non solo l'utente di questo servizio è
assoggettato a spamming, ma anche a una continua e invasiva ispezione
dei suoi comportamenti e alla conseguente raccolta di dati personali di cui
ovviamente Infostrada può fare commercio. Il problema è stato segnalato
da ALCEI all'autorità per la tutela
dei dati personali (privacy) e all'autodisciplina pubblicitaria.
Vedremo che esito avranno queste denunce e se serviranno non solo a chiarire il
caso singolo ma anche a portare un po' più di trasparenza in tutto il
mercato. Questo è un caso isolato? Credo proprio di no. Confesso di non aver
avuto il tempo e la pazienza di verificare i vari contratti e la crescente
moltiplicazione di offerte, ma sarebbe ingenuo pensare che non siano disseminati
di trappole. Compresi quelli che offrono una connessione inizialmente gratuita
ma sono poi congegnati in modo da imprigionare l'utente in una connessione a
pagamento pressoché perpetua perché è molto difficile disdire il contratto.
Insomma... a caval donato sarebbe molto meglio guardare attentamente in bocca.
Il quadro è ancor più confuso per l'ormai
scatenata guerra
dei portali. Un dettaglio curioso in
questa feroce disfida è che Infostrada con la sua offerta gratuita si muove
direttamente a danno della sua "consorella" Italia Online - e al
tempo stesso annuncia che IOL "è il più grande portale italiano":
affermazione accolta (come spesso accade) in modo acritico dai giornali, senza
badare al fatto che cinque o sei altri contendenti dichiarano lo stesso primato.
In questa giungla, come potranno le pubbliche
autorità introdurre "incentivi" ben congegnati ed efficaci? Se si
punta sulle tariffe (scelta che comunque, secondo me, è inadeguata) il quadro
è sempre più intricato e complesso. Per esempio, come ha osservato Manlio
Cammarata nel suo articolo I
veri problemi del costo dell'internet di
una settimana fa, se si arrivasse davvero all'abolizione della tariffa a tempo
per l'uso dell'internet le offerte "gratuite", basate sui prezzi
di interconnessione, diventerebbero impossibili; ed è facile immaginare che
dietro queste operazioni ci siano lobby abbastanza potenti da mettere
efficaci bastoni fra le ruote a ogni provvedimento che interferisca con i loro
interessi.
Occorre una regolamentazione di queste cose?
Credo e spero di no, perché quasi sempre le regole sono fatte in modo che, come
dicono a Venezia, xe pezo el tacòn del buso (è peggio la toppa del
buco, ndr). Ma credo che una chiara e trasparente informazione ai
cittadini (e alle imprese) sia necessaria, perché almeno chi sceglie questa o
quella soluzione sappia quale prezzo in realtà sta pagando: è evidente che non
siamo circondati di disinteressati benefattori e che nessuna offerta è mai
davvero completamente "gratuita".
E visto che siamo in tema di chiarezza... c'è
un altro argomento su cui sarebbe importante dare informazioni più precise e
serie. Il prezzo e la qualità dei computer e del software.
Macchine scadenti a prezzi esagerati
Se in qualsiasi altro mercato si offrissero
prodotti con prestazioni scadenti, a prezzi esagerati e con una continua
forzatura di falsa innovazione e di artificiosa "obsolescenza",
sarebbe già successo uno sconquasso. Nell'informatica e nella telematica
finora abbiamo continuato a subire; con il benevolo consenso, se non l'esplicito
incoraggiamento, delle nostre pubbliche autorità.
Sembra che oltreoceano stia cominciando a
emergere qualche barlume di buon senso. La spinta a produrre software sempre
più complicati per riempire forzatamente la sempre crescente potenza dei
processori (e l'altrettanto crescente capienza di memorie e hard disk)
si sta esaurendo. Un recente articolo dell'Economist spiega che negli
Stati Uniti il mercato dei personal computer è in crisi. Chi ha comprato un
computer tre o quattro anni fa non vuole cambiarlo senza motivo. Chi ne compra
uno nuovo vuole una macchina più semplice, adatta alle sue esigenze; e vuole
pagarla molto meno. I prezzi stanno crollando; si parla di 300 dollari per un
nuovo PC, con tendenza a scendere. Si è scoperto il fatto che non ha senso
comprare un computer ad alte prestazioni per far giocare un bambino: meglio che
per i giochi usi una consolle. Si sta diffondendo il concetto che le imprese,
come tutte le organizzazioni che si presentano in rete, devono offrire soluzioni
semplici e non tali da obbligare i visitatori a un elevato carico di banda o all'uso
di macchine ad alte prestazioni.
Si affermerà questa tendenza con tutta la forza
che merita? Se si, quanto ci metterà ad attraversare l'oceano e a portare un
po' di buon senso anche da noi? Non lo so; ma sono convinto che sarebbe molto
desiderabile.
Intanto sono proprio i paesi meno avanzati (e
forti importatori di tecnologie), come l'Italia, che dovrebbero prendere l'iniziativa.
Invece di seguire con infantile entusiasmo gli errori altrui, dovremmo
impegnarci per avere soluzioni più adatte alle nostre esigenze.
Se qualcuno ha davvero bisogno di prestazioni
molto elevate, compri una macchina potente e complessa - e ne paghi
consapevolmente il prezzo (che non è solo parecchio denaro, ma anche la fatica
e la difficoltà di far funzionare software complicato e un po' astruso). Ma
per il 99 per cento delle persone (e delle imprese) il 90 per cento delle
prestazioni offerte dai computer e dai software di oggi (per non parlare di
infinite funzioni "occulte" che servono solo a occupare spazio e
ingombrare memoria) è inutile. Il problema, naturalmente, non riguarda solo i
computer ma anche altri aggeggi di ogni genere (vedi Il
pane spremuto e il limone tostato); ma in
questo caso ciò che ci interessa è la particolare perversità di funzionamento
dei personal computer e di molti software attinenti alla rete. Riprenderò l'argomento
alla fine di questo articolo, perché il problema non è solo italiano e mi
sembra opportuno parlare non solo di ciò che accade da noi, ma anche di una
situazione mondiale di cui si sono occupate recentemente le Nazioni Unite. Ma
intanto vorrei osservare un'altra strana circostanza.
Sto lavorando su informazioni abbastanza
complesse che derivano da tre o quattro ricerche sull'uso della rete in
Italia. C'è un dato curioso. Le persone che dicono di avere un computer in
casa sono tre o quattro volte di più di quelle che dicono di collegarsi alla
rete. Come si spiega? Probabilmente è una combinazione di due fattori. Uno è
che, benché abbiano un computer, non considerino l'internet abbastanza
interessante per collegarsi. L'altro è che si siano lasciati ingannare dalla
diffusa propaganda di chi dice che per collegarsi dovrebbero comprare un
computer più potente e costoso e un modem ad alte prestazioni (anche questa è
una sciocchezza, perché la velocità di connessione al provider non risolve il
problema dei "colli di bottiglia" e perché molti usi interessanti
della rete, a cominciare dalla posta elettronica, non hanno bisogno di
connessioni esageratamente veloci).
Che fare?
Insomma, quali "incentivi" sarebbero
davvero utili?
- Prima di tutto: una migliore informazione.
Bisognerebbe far conoscere ai cittadini, in modo semplice e concreto, quali sono
le utilità basilari della rete. Bisognerebbe far sapere che non è affatto
necessario dotarsi di macchine complesse e costose.
- Secondo: una migliore qualità di servizi
offerti. Se e quando le persone scopriranno che collegandosi all'internet
possono evitare code e fastidi in qualche ufficio pubblico, o ottenere più
facilmente informazioni e servizi concretamente utili, avranno una motivazione
molto più forte a collegarsi. Oggi questi servizi o non ci sono, o non sono
efficienti e tagliati sulle esigenze delle persone, o non sono sufficientemente
conosciuti.
- Terzo: la diffusione di tecnologie più
semplici, più facilmente gestibili, meno intricate di complicazioni inutili e
falsamente "amichevoli". Il percorso non è facile, perché si tratta
di rovesciare una tendenza all'elefantiasi e alla bulimia che è già andata
oltre ogni limite del ragionevole; ma almeno bisognerebbe che ci fosse una
percezione chiara e una diffusa conoscenza del problema e una spinta alla
compatibilità almeno da parte dei servizi pubblici (vedi per esempio la
posizione assunta da ALCEI sull'esigenza di Liberarci
dalla schiavitù elettronica, che a
fatica e molto gradualmente sta cominciando ad essere percepita da una parte
della pubblica amministrazione e del mondo politico).
- Quarto: non un incentivo alla sostituzione di
macchine perfettamente efficienti con altre inutilmente complesse e costose ma
il contrario. Un incoraggiamento alla diffusione di macchine semplici, solide e
poco costose (cioè un buon uso di macchine apparentemente "vecchie"
ma ancora efficienti e, al tempo stesso, la diffusione sul mercato di nuovi
prodotti affidabili a basso prezzo).
- Quinto: (e secondo me fondamentale): la
diffusione di un'autentica cultura della rete, basata sui valori umani e sulle
utilità concrete, non sulle tecnologie. Questo significa un rovesciamento della
cultura dominante che impone un'ostica e sgradevole
"alfabetizzazione" tendente a umiliare e imbarazzare le persone
assoggettandole, con un'insopportabile violenza umana e culturale, alle
bizzarrie e ai difetti delle tecnologie (vedi a questo proposito Non
vogliamo essere alfabetizzati).
- Sesto: una de-legislazione o revisione e
semplificazione delle norme esistenti che pongono ostacoli e lacci di ogni
specie alle attività in rete; e un'attenta sorveglianza perché non si
accumulino nuove norme o regole, o errate interpretazioni di quelle esistenti,
che tendono a soffocare le attività in rete prima ancora che abbiano avuto la
possibilità di svilupparsi.
Infine... credo che non basti promuovere l'uso
della rete in Italia, ma sia importante una spinta verso l'esterno. Sento dire
spesso che c'è una scarsità di contenuti in italiano, il che non è del
tutto vero (è un problema di qualità più che di quantità). Ma se ci
limitassimo a far crescere l'accessibilità in italiano ai contenuti
internazionali e la diffusione degli accessi alla rete in Italia, in assenza di
una spinta attiva della diffusione dei nostri contenuti nel mondo, si
accentuerebbe ancora quel fenomeno di "colonizzazione" della nostra
cultura e della nostra economia che è già pesantemente in atto. Naturalmente
non sono pensabili misure "protezionistiche" di alcuna specie; mi
sembra che l'unica soluzione sia una maggiore aggressività. Le nostre imprese
dovrebbero essere incoraggiate in tutti i modi a usare l'internet all'esportazione;
e tutte le organizzazioni pubbliche e private a diffondere più attivamente nel
mondo la nostra cultura e i nostri valori.
Questo pone l'accento su una catastrofe
nazionale, grave comunque ma più immediatamente preoccupante con la diffusione
delle reti di informazione "globale": la scarsa conoscenza dell'inglese.
Occorre una spinta molto più vigorosa perché non solo nelle scuole di ogni
ordine e grado ma nell'intero sistema economico e culturale si definisca come
una priorità la conoscenza di quella che non può più essere considerata una
"lingua straniera" ma è semplicemente la lingua del mondo. Ricordando
che non si tratta di imparare a perfezione l'inglese dei professori di Oxford,
ma di acquisire una conoscenza adeguata di quel diffuso patois
internazionale che permette di parlare con qualcuno in America, in Australia o
in India: quello che due anni fa ho definito il globalese.
Se in più impariamo, nella scuola e nella vita, anche un'altra lingua...
tanto meglio. Ma senza una reale capacità di farci capire in globalese siamo
condannati a essere le vittime, culturali ed economiche, di chi conosce meglio
di noi la lingua del mondo.
Il problema "globale" e le strane
idee dell'ONU
Proprio nel momento in cui InterLex mi ha chiesto
di scrivere questo articolo, il 12 luglio si è diffusa la notizia che le
Nazioni Unite, con parecchi anni di ritardo, si sono accorte dei gravi squilibri
nella diffusione della comunicazione elettronica. Un problema di cui molti (fra
cui l'umile sottoscritto) parlano da anni, ma che finora sembrava dimenticato.
Il problema è semplice: è dolorosamente comico
parlare di "reti globali" quando il 97 o 98 per cento dell'umanità
ne è escluso. Assai meno facili sono le soluzioni. Per esempio il governo
indiano, due anni fa, aveva solennemente dichiarato di voler aprire e
liberalizzare gli accessi, con una diffusa riduzione dei costi e proliferazione
di provider, cui sarebbe stato consentito di accedere non solo alla rete
telefonica ma anche ad altri sistemi, come quelli delle ferrovie e della rete
elettrica. La notizia fu accolta con entusiasmo, ma qualcuno di noi espresse un
dubbio. Le buone intenzioni si sarebbero tradotte in fatti, in un paese afflitto
da una burocrazia e una complessità politica paragonabili a quelle italiane,
con la differenza che devono gestire un paese 17 volte più grande? Purtroppo
quelle perplessità si rivelano fondate. Ancora oggi tutta l'internet in India
dipende da un provider centrale, controllato dallo stato; i costi sono
inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione; la diffusione
della rete nella più grande democrazia del mondo rimane marginale.
Le soluzioni per il mondo, secondo me, sono
simili a quelle che ho tentato di definire per l'Italia. Con in più un uso
adeguato di tecnologie "via etere" (wireless) in quei paesi che
non hanno reti telefoniche abbastanza diffuse e capillari; e con un accento
particolare sulla disponibilità di tecnologie stabili, semplici e poco costose.
Se è difficile per un italiano "non
ricco" spendere troppo per un computer, e soprattutto essere assoggettato a
continue quanto inutili e costose "innovazioni", questo problema
diventa enormemente più grave e pressante nei "paesi in via di
sviluppo". L'internet funziona da vent'anni con tecnologie stabili,
aperte, compatibili, trasparenti e gratuite. Ciò che occorre è diffondere nel
mondo sistemi altrettanto solidi, semplici e stabili, al costo più basso
possibile. Difficile? Credo proprio di no. Ciò che manca non sono le soluzioni
tecniche; è la volontà politica.
(Ho scritto alcune cose a questo proposito già
qualche anno fa... vedi per esempio Il
pendolo di Ermete e l'arte della leggerezza
(ottobre 1996) Il
computer a manovella e la crisi del millennio (ottobre
1997) e Finalmente!
tutto funziona (dicembre 1997).
Da quanto ho letto sui giornali, sembra che l'ONU,
percepito il problema, non abbia finora fatto alcun tentativo di definirne la
soluzione. Se non per proporre un'idea bizzarra quanto perversa: una bit
tax. Cioè una tassa sulla posta elettronica e sul trasferimento di dati,
con cui finanziare non si sa quali investimenti per lo sviluppo dell'internet
nei "paesi poveri". Spero di non dover spiegare perché questa è una
soluzione stupida, perversa e inefficace. Per fortuna sembra che la proposta sia
già stata ritirata. Secondo una notizia
diffusa il 16 luglio l'ONU, in seguito a diffuse proteste, ha dichiarato che
"non ha alcun progetto" di imporre tasse a chicchessia e che "né
le Nazioni Unite né l'UNDP (United Nations Development Program)
hanno il mandato o il potere di creare o amministrare qualsiasi sistema di
tassazione globale". Se si conferma che è una cosa assurda e impossibile,
resta da capire perché la proposta fosse stata annunciata. A quanto pare una
visione radicalmente sbagliata su come favorire la diffusione della rete non è
solo un problema italiano.
Mi sembra che si applichi all'internet, più
ancora che ad altre cose, quel malanno che è ben descritto nell'interessante
articolo di fondo di Alberto Ronchey sul Corriere della Sera del 17
luglio, con l'efficace titolo Media distratti leggi sbagliate - in
cui parla di "un singolare fenomeno del nostro tempo: l'oscillare
continuo dei mass media fra disattenzioni e sensazionalismi" e di
come questo influisca perversamente sull'attività dei legislatori e dei
poteri pubblici.
Ipse dixit.
* gian@gandalf.it
- http://gandalf.it
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