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 Le regole dell'internet

Dalla parte dell'Inquisitore
di Giancarlo Livraghi* - 26.10.2000

Non resisto alla tentazione di cominciare con una piccola parafrasi di Giuseppe Giusti.

Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnesco
per qualche commentuccio e critichina
e mi gabella per donchisciottesco
perché metto i bugiardi alla berlina...

Ma con l'ironia mi fermo qui, perché il discorso è molto serio.

Questa volta... voglio provare a mettermi dalla parte delle autorità e di chi ha il non facile compito di difendere i deboli (in particolare i bambini e gli adolescenti) contro ogni sorta di violenze e persecuzioni. Immaginiamo che ci sia un Inquisitore Centrale (mentre in realtà c'è una moltitudine di iniziative confuse e sconnesse) e che sia una persona onesta, seria, competente, equilibrata, senz'altro scopo o ambizione che trovare davvero soluzioni efficaci e utili alla società civile.

Supponiamo che questo autorevole personaggio mi dica "senta un po', visto che brontola e critica tanto, è capace di dire qualcosa di costruttivo? Secondo lei, come dovremmo fare?" In questa improbabile ipotesi... ecco che cosa gli risponderei.

Prima di tutto, illustre signore (o signora), lei sa bene che definizioni generiche e confuse impediscono di aggredire efficacemente qualsiasi problema o malanno. Come un buon medico deve fare una diagnosi precisa per prescrivere una cura, anche un terapeuta sociale deve identificare con chiarezza la natura del male per poter intervenire con gli strumenti giusti e con la necessaria incisività.
Prima di arrivare al caso che più agita gli animi in questo periodo, prendiamo un esempio diverso per chiarirci le idee. Che cosa significa essere "nazisti"? Un collezionista di cimeli potrebbe raccogliere anche cose di quel periodo e di quel regime - non per bieca simpatia ma per completezza della sua collezione. Possiamo criticarlo quanto vogliamo, ma non è "incriminabile". Una persona può avere opinioni inaccettabili, come quella che nega l'Olocausto. Ma democrazia e libertà di parola significa obbligarci a permettere che siano espresse anche le idee più assurde e sgradevoli; e non vietarle o nasconderle, ma contrastarle con argomenti efficaci, che certamente non mancano. In Germania hanno proibito Mein Kampf. Sarebbe stato meglio diffonderne la lettura e l'analisi critica, per capire quanto orribili possano essere le conseguenze di teorie di quella specie. E i fatti confermano che quel divieto non ha eliminato in neonazismo - anzi probabilmente l'ha favorito. Ma a un certo punto... c'è un limite che non può e non deve essere superato. Pare che alcune organizzazioni razziste stiano diffondendo elenchi di ebrei con l'incoraggiamento a perseguitarli. In molte situazioni è difficile stabilire dove sia il limite fra un'opinione e un'istigazione a delinquere, ma in questo caso è chiaro. Non basta ostacolare la diffusione di quel materiale. Occorre risalire all'origine e mettere i responsabili "in condizione di non nuocere". Difficile? Forse. Ma se gli inquirenti israeliani sono riusciti a stanare nazisti in Paraguay dovrebbe essere molto più facile individuare quest'altra specie di delinquenti.

Veniamo alla cosiddetta "pedofilia". Il termine è ambiguo; e giocando sull'ambiguità si stanno dicendo e facendo cose sbagliate, inefficaci e pericolose. Non si tratta solo di valutazione della gravità (un arduo compito che credo vada lasciato alla magistratura, ai criminologi e agli pisichiatri). C'è un'ovvia differenza fra leggere Lolita e violentare una minorenne (o qualsiasi persona "non consenziente"). Fra questi estremi può essere molto difficile stabilire una "graduatoria" sensata e ragionevole. Mi limito a segnalare che il problema esiste; e se in teoria è quasi impossibile risolverlo in pratica è meno arduo, perché credo che persone esperte, competenti e lucide possano definire con una certa chiarezza le differenze fra diversi comportamenti che si possono constatare nella realtà - e quindi le soluzioni più efficaci, in ciascun caso, per reprimerli o correggerli (e soprattutto prevenirli).

Perciò vorrei consigliarle, Supremo Inquisitore, di imporre rigorosamente definizioni molto più precise di quel generico termine "pedofilia" che accende gli animi e confonde le idee. Non è solo una parola impropria, che permette ad alcuni di nascondersi dietro un ambiguo "amore per i bambini". Ma mette nella stessa categoria cose profondamente diverse e così ottenebra le menti, scatena pericolose "cacce alle streghe" e ostacola (se non impedisce del tutto) interventi più efficaci e incisivi.

Di conseguenza, vorrei suggerirle di organizzare i necessari interventi non in un generico e indistinto pastone emozionale o con occasionali "giri di vite" ma con operazioni metodiche, continue nel tempo, e ognuna mirata su una specifica patologia. Non sono un esperto in anomalie sessuali o in patologie della famiglia. Non credo quindi di poterle offrire una classificazione precisa delle diverse "malattie sociali". Ma per esempio, e in generale, credo che siano abbastanza evidenti alcune distinzioni.

Gli omicidi (o infanticidi). Per quanto si può capire dalle cronache, alcuni gravissimi delitti non sono generati da patologie della sfera sessuale ma da altre forme di perversione. Le une e le altre dovrebbero essere indagate non solo per incriminare i responsabili ma per individuare, per quanto possibile, le possibilità di prevenzione.

Gli abusi nelle famiglie. Si ripete continuamente che sono l'80 per cento del problema. Sembra molto probabile che sia vero. Ma non si vede traccia di interventi atti a risolverlo. Se è vero (come sembra) che oggi siano un po' meno rari i casi di denuncia, è un piccolo passo avanti. Ma ciò che serve è un profondo, continuo, costante, paziente lavoro di educazione sociale, perché le vittime siano incoraggiate a non "subire in silenzio". L'impresa è difficile, anche perché c'è il costante rischio di incriminare innocenti (quale migliore arma contro un "nemico" che accusarlo di efferati delitti?) e perché ci sono omertà di ogni specie. Questo problema non è nuovo (esiste fin dalla notte dei tempi) e non si può risolvere con "fiammate" estemporanee di aggressività. Occorre pazienza, formazione attenta e profonda delle persone che se ne occupano. Vorrei consigliarle anche di introdurre filtri attitudinali... e di non lasciare che a lavorare su questa delicata materia ci siano persone tendenti al fanatismo o con qualche altro problema psicologico (non occorre essere psichiatri per sapere che spesso chi aggredisce con accanita ferocia una patologia o un comportamento distorto è un malato, più o meno represso, proprio di quella sindrome).

Vorrei inoltre suggerire un diffuso, prudente e ben pensato lavoro di informazione e di educazione. Non fatto in modo tale da indurre incubi e terrore (questo potrebbe favorire i criminali oltre che creare inutili e pericolosi disagi sociali). Ma con un'intelligente misura di contenuto e di tono e con una forte sensibilità umana. Dove trovare un nuovo Collodi, un nuovo Munari, un nuovo Rodari che sappia parlare con il tono giusto ai bambini? E chi sappia fare altrettanto bene un lavoro efficace per aiutare i genitori?

E fuori dalle famiglie... quel venti per cento dov'è? Negli ambienti dove ci sono i bambini o gli adolescenti. Non solo (come si usa dire - ed è anche vero) "nei giardini pubblici". Nelle scuole, nei collegi, negli oratori, nelle chiese. Bisogna avere il coraggio di aggredire il male dovunque si nasconda. Anche questo è un problema profondo, che occorre affrontare con costanza, pazienza e metodo. Provvedimenti estemporanei come "un poliziotto davanti a ogni scuola" non risolvono nulla - e hanno l'effetto negativo di dare l'illusione che "si sia fatto qualcosa".

Ci sono anche ambienti dove è "ben noto" che avvengono cose orribili. Non è il caso di "puntare il dito" su questa o quella città, perché il male è diffuso in molte parti del territorio. Che senso ha scandalizzarsi "a posteriori" perché qualcuno, ritenuto colpevole, è stato assolto? Senza sapere se è un criminale sfuggito alle maglie di un'indagine o un innocente ingiustamente perseguitato. Queste ambiguità servono solo a peggiorare la malattia. Si indaghi più a fondo, con l'indispensabile riservatezza. Si trovino prove certe prima di mettere all'erta i colpevoli. Insomma si faccia quel buon lavoro di indagine (e di repressione) che, visti i risultati, palesemente non si è saputo fare.

Se questa è la parte più importante (più di nove decimi del problema) non sono qui a dirle, Grande Indagatore, che sia da trascurare quell'aspetto su cui si sta concentrando il massimo del clamore e della confusione; cioè la diffusione e il traffico di immagini. Sgombriamo il terreno dal fracasso e dagli isterismi... e vediamo di che cosa si tratta. Anche in questo caso, non si può "fare di ogni erba un fascio". Se un sedicenne ha un rapporto sessuale con una quindicenne che accetta volentieri le sue effusioni, si tratta di "adulti consenzienti". Se lo stesso ragazzo guarda con "concupiscenza" la fotografia di una ragazza svestita che non ha compiuto 18 anni, è un criminale? Qui, di nuovo, "tirare la riga" fra comportamenti accettabili e immondi delitti può non essere facile in alcuni punti intermedi... ma agli estremi della gamma la distinzione è molto chiara. E, ancora una volta, usare terminologie ambigue è deviante e pericoloso. Una premessa fondamentale è che si tratta, anche in questo caso, di un male antico. Pensare che sia qualcosa di nuovo, nato dalle tecnologie di oggi, significa commettere fondamentali errori di diagnosi - e quindi di terapia.

Esiste, da molto tempo, un commercio di materiali che è troppo benevolo definire "pornografici". Se ci sono ancora, vuol dire che non si è fatto abbastanza per colpirne l'origine. Può essere vero che "scoraggiare gli acquirenti" contribuisca a frenare il "mercato". Ma è illusorio che possa essere sufficiente. Se è giusto ostacolare alle frontiere l'importazione dell'avorio, non credo che riusciremmo a salvare gli elefanti senza un controllo diretto sui luoghi in cui vivono. Il problema è che, mentre sappiamo dove sono gli elefanti, abbiamo idee troppo vaghe su dove sono i produttori di film o fotografie in cui qualcuno (non solo bambino) subisce orribili torture e violenze. Che cosa è stato fatto, da cinquanta o più anni in qua? Da quanto possiamo constatare, troppo poco. Chi indaga su queste vicende chiede migliore collaborazione internazionale. Ha ragione. Ma che cosa hanno fatto i nostri governanti e parlamentari, che strepitano su estemporanei e demenziali interventi d'urgenza, per ottenere quella collaborazione? Che cosa si sta facendo, nelle "segrete stanze" in cui si concordano sistemi internazionali di polizia, per organizzare meglio queste indagini? Dalle dichiarazioni di alti ufficiali delle forze dell'ordine risulta che si è fatto poco o nulla.

Non ritorno sul tema di quanto sia assurdo "criminalizzare" l'internet, perché lei già conosce le mie osservazioni su questo argomento - e mi auguro che le condivida. Vorrei solo ripetere che se è utile usare la rete per individuare i colpevoli (o quei pochi che hanno l'ingenuità di "farsi pescare" frequentando un ambiente così facilmente indagabile) non è affatto sufficiente. L'importante sarebbe seguire i fili che portano fuori dalla rete, là dove i più orribili commerci e le peggiori insidie sono sempre state - e continuano a essere. E lei m'insegna, con l'indubbia competenza ed esperienza che l'ha portata al suo ruolo, come ogni prematuro clamore sia un aiuto ai criminali. Un buon cacciatore si muove in silenzio, cautamente, pronto a balzare solo quando è vicino alla preda ed è ben sicuro che sia la bestia giusta. Chi per colpire un fagiano stermina fringuelli viene giustamente denunciato come criminale ecologico. Si usano i tamburi, in una battuta di caccia, solo quando dall'altra parte la trappola è ben guarnita.

La ringrazio per la sua pazienza e non vorrei annoiarla oltre. Ma mi permetta un ultimo, rispettoso suggerimento. Metta un freno severo ai fanatismi, ai fautori di indiscriminati "bombardamenti" e a ogni altra iniziativa estemporanea e selvaggia. Perché sono un favore ai criminali e un pericolo grave per la società civile. Quando si autorizza un linciaggio, per qualsiasi motivo, si scatenano forze perverse e incontrollabili. Quando si spara a casaccio si colpiscono soprattutto persone innocenti. E non è detto che tutte siano così deboli da subire senza reagire. Le sembra impensabile che un nostro assatanato bombardiere faccia come quel missile che colpì l'ambasciata cinese al Belgrado, e magari vada a danneggiare un'istituzione delle Nazioni Unite che si occupa di combattere lo sfruttamento dei bambini? Chiunque abbia un po' di competenza tecnica sa come un rischio del genere sia tutt'altro che improbabile. E non gioverebbe certo alla ricerca di collaborazione internazionale per la repressione dei veri criminali.

Verifichi anche, la prego, che a nessuno degli operatori di polizia "vada alla testa" l'argomento dell'indagine. Ci vuole freddezza, calma, determinazione. Può sembrare poca cosa, rispetto a una "santa causa", la persecuzione di migliaia di innocenti; o che si continui in pratiche perverse come i sequestri di computer. Ma non solo è un'inaccettabile barbarie; alla fine si ritorcerà contro tutto il sistema di indagine e di repressione. Perché così come le vittime dei violentatori, se efficacemente aiutate, trovano il coraggio di parlare, anche le "vittime silenziose" di molte indagini mal governate, che oggi hanno troppa paura per insorgere, un giorno potrebbero uscire dall'ombra. E quel giorno sarà molto imbarazzante per chi infligge ingiustamente - e inutilmente - sequestri, umiliazioni e inaccettabili persecuzioni. Inoltre (come certamente sa) un clima in cui "tutti sono criminali" è il terreno più favorevole ai criminali veri; specialmente ai più astuti e incalliti, e perciò più pericolosi.

Su questo argomento vedi anche:
Il coro dei bugiardi alla seconda crociata

Chi si rivede: il diavolo nella rete

* gian@gandalf.it - http://gandalf.it