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 Le regole dell'internet

Il diavolo nel sito e il provider diventa esorcista
di Manlio Cammarata - 16.07.98

Non si è ancora spenta l'eco del sequestro del server di Isole nella Rete e già si è verificato un nuovo caso di oscuramento di siti di associazioni senza scopo di lucro.
Il fatto è questo. In una pagina della sezione
Oltre il Confine, che meritoriamente la rete civica di Roma mette a disposizione delle associazioni non-profit, viene pubblicato un messaggio in cui si parla di satanismo, sesso e turpitudini varie. Sembra anche che, cliccando su un'immagine, si acceda a un sito di pedofili. Un parroco siciliano vede e denuncia il fatto. La responsabile della rete controlla, inorridisce e... cancella tutto. Proprio "tutto", tutti i siti "linkati" dalla pagina delle associazioni, compreso il Telefono Azzurro, L'Associazione italiana Carabinieri, l'Associazione italiana diritti dei bambini, il Coro universitario di Roma...
Immediata, come al solito, la reazione della Rete, con l'immediata riproduzione del testo su un sito all'estero e un viavai di messaggi nelle aree di discussione.
La giustificazione addotta per il drastico black out è che occorreva mettere ordine nella pagina (vedi il puntuale resoconto di
Repubblica.it).

Le due vicende non possono essere messe sullo stesso piano, ma richiamano l'identico problema, ancora una volta quello della responsabilità del provider.
Il caso di Isole nella Rete è un esempio di ottusità del potere (questa volta quello giudiziario), al quale troppo tardi si è cercato di porre rimedio con un cavillo procedurale, che ha reso possibile la sollecita restituzione del server. Invece il bust di Roma è senza dubbio frutto di un errore di valutazione, che non incide sul valore di una delle migliori reti civiche italiane. Ma che impone una riflessione.

Fino a che punto un fornitore di spazi Web (o la persona delegata dal titolare a questo compito) può o deve intervenire per rimuovere un contenuto critico? Si tenga presente che, nel momento in cui si accerta l'estraneità del fornitore del servizio alla diffusione del contenuto contestato, è difficile persino per il giudice ordinarne la cancellazione (non a caso, nell'ordinanza del Tribunale di Teramo di cui si è parlato la settimana scorsa, l'ordine di cancellazione è rivolto all'autore, non al provider).
Tanto più, di fronte alla semplice segnalazione di un terzo, il provider può rivestire il ruolo di censore? La legge non impone a un cittadino qualsiasi di adoperarsi per far cessare un presunto atto illecito. Nel caso in questione, come in molti altri, non si può chiedere al fornitore di servizi di valutare se la diffusione di un testo possa o no costituire un reato. E' un compito che spetta al magistrato.
Ma ci sono casi in cui la pericolosità o l'illiceità di un contenuto sono evidenti, come in questo, dove compare addirittura un link a un sito pedofilo. In queste situazioni il provider ha l'obbligo di intervenire? O ne ha solo la facoltà? Oppure - ipotesi non peregrina - un suo intervento può costituire un atto illecito, almeno sul piano civile?

Verrebbe spontaneo rispondere che è necessario definire dei limiti, oltre i quali l'intervento sia consentito o dovuto. Ma non è facile, perché spesso entrano in gioco valutazioni assolutamente soggettive.
Lo stesso contenuto "blasfemo" che fa scattare un sacerdote cattolico può lasciare del tutto indifferenti altre persone (di fatto i contenuti di quel messaggio sono sgrammaticate rimasticature di tesi ben note). Sotto questo punto di vista l'intervento del provider, che prontamente esorcizza il diavolo dal suo server, si rivela come un atto arbitrario di censura.

Eppure il problema dei contenuti critici immessi dai titolari degli spazi Web, o dai partecipanti alle aree di discussione, esiste ed è grave. Si deve fare qualcosa per limitare i possibili danni, e questo "qualcosa" è la rimozione, che tuttavia non può restare un puro arbitrio del fornitore del servizio.
E' necessaria una regola che dia al provider il diritto di "usare le forbici" in determinati casi, sollevandolo da responsabilità sia nei confronti dell'autore del contenuto quando decida di intervenire, sia di fronte alla legge, quando ritenga di non dover oscurare una pagina o un intero sito.
Questa regola può essere introdotta nel contratto di affitto (anche a titolo gratuito) dello spazio sul server, e può essere prevista dal futuro codice deontologico dei fornitori di servizi, in modo che si abbia certezza dei diritti e dei doveri e, per quanto possibile, un atteggiamento comune dei diversi provider.

Comunque tutto questo non eviterebbe che il diavolo esorcizzato da un server possa immediatamente comparire su altri dieci o cento siti della Rete. Il che confermerebbe la visione di quelli che vedono Internet come un'invenzione diabolica, mentre si tratta solo del primo mezzo di comunicazione sul quale non può funzionare alcun tipo di censura.