Corte cost. 10.07.1968, n. 98
Pres. Sandulli - Rel. Bonifacio
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 46, 29, 34 e 35 della
legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'ordinamento della professione di giornalista,
e dell'art. 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, contenente disposizioni sulla
stampa, promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1967 dal Tribunale di Vibo
Valentia nel procedimento civile vertente tra il Circolo culturale "Salvemini"
e Genovese Salvatore, iscritta al n. 279 del Registro ordinanze 1967 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica dell'11 giugno 1968 la relazione del Giudice
Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Piero Peronaci, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
1. - Con sentenza n. 11 del 21 marzo 1968 questa Corte ha escluso che gli artt.
29, 34 e 35 della legge sull'ordinamento della professione giornalistica 3
febbraio 1963, n. 69, contrastino con l'art. 21 della Costituzione.
Poiché non sono stati addotti dall'ordinanza di rimessione né, comunque,
sussistono motivi che possano indurre ad una diversa conclusione, la questione
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
2. - Nella ricordata precedente occasione venne dichiarata inammissibile, per
difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale concernente
l'art. 46 della citata legge. Su tale disposizione, ritualmente impugnata dal
Tribunale di Vibo Valentia che ha proposto l'attuale giudizio, la Corte deve ora
portare il suo esame, al fine di accertare in primo luogo se-a parte le sue
ulteriori specificazioni che saranno più innanzi valutate-l'obbligo
dell'iscrizione nell'albo giornalistico del direttore e del vicedirettore
responsabile dei giornali quotidiani, dei periodici e delle agenzie di stampa
violi il principio costituzionale secondo il quale "tutti hanno diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione" (art. 21 della Costituzione).
A tal proposito deve essere preliminarmente chiarito che il precetto contenuto
nell'art. 46 va preso in considerazione non solo in riferimento alla libertà di
chi intende svolgere un'attività giornalistica, ma anche quale limite alla
libertà di chi voglia dar vita ad un giornale: limite che deriva da quella
disposizione e dall'art. 5, comma secondo n. 3, della legge 8 febbraio 1948, n.
47-del pari impugnato dal giudice a quo-, in virtù del quale la registrazione
di un giornale o di un periodico viene subordinata alla produzione di "un
documento da cui risulti l'iscrizione nell'albo dei giornalisti, nei casi in cui
questa sia richiesta dalle leggi sull'ordinamento professionale".
3. - Nonostante la diversità del suo oggetto e la maggiore ampiezza del suo
contenuto, anche l'attuale questione deve essere decisa alla luce dei principi
enunciati nella sentenza n. 11 del 1968 e delle ragioni che indussero la Corte
ad escludere che il divieto di esercizio della professione giornalistica per i
non iscritti nell'albo comporti la violazione dell'art. 21 della Costituzione.
Venne allora accertato che l'istituzione dell'Ordine, della quale quel divieto
è corollario, garantisce il rispetto della personalità e della libertà dei
giornalisti perché, nel complesso mondo della stampa e dei rapporti fra
giornalisti ed editori, essa assicura la vigilanza "sulla rigorosa
osservanza di quella dignità professionale che si traduce, anzitutto e
soprattutto, nel non abdicare mai alla libertà di informazione e di critica e
nel non cedere a solleci tazioni che possano comprometterla ". In altri
termini, la Corte ritenne che la funzione affidata all'Ordine non compromette,
ma rafforza quella libertà di manifestazione del pensiero che è ordine
dell'ordinamento democratico e come tale viene tutelata dall'art. 21 della
Costituzione.
Sulla base di questa conclusione l'obbligo imposto dall'art. 46 della legge-nei
limiti in cui viene prescritto che direttore e vicedirettore responsabili siano
iscritti nell'albo - risulta legittimo in entrambi gli aspetti sotto i quali,
come si è detto, esso va valutato. Ed infatti la funzione dell'Ordine -
funzione, giova ripeterlo, che dà giustificazione costituzionale alla sua
istituzione e disciplina-, risulterebbe frustrata ove proprio i poteri direttivi
di un quotidiano, di un periodico o di un'agenzia potessero essere assunti da un
soggetto (non importa che si tratti dello stesso proprietario o di altri) che
per il fatto di non essere iscritto nell'albo non possa essere chiamato a
rispondere di fronte all'Ordine per eventuali comportamenti lesivi della dignità
sua e dei giornalisti che da lui dipendono: vale a dire per inadempienza al
primo e fondamentale dovere di garantire che l'attività affidata alla sua
direzione e responsabilità si svolga in quel clima di libertà di informazione
e di critica che la legge vuole assicurare come necessario fondamento di una
libera stampa.
4. - Se queste sono le ragioni che rendono costituzionalmente valido l'obbligo
di cui si discorre, si deve riconoscere che esse appaiono soddisfatte
dall'iscrizione del direttore e del vicedirettore nell'albo, indipendentemente
dal fatto che si tratti di professionisti o di pubblicisti: nell'uno e
nell'altro caso, infatti, si rende possibile la vigilanza dell'Ordine, nella
quale, secondo quanto si è detto, si deve ravvisare il solo fondamento di
legittimità di quell'obbligo. Aggiungere-come fa il primo comma dell'art. 46
per i quotidiani , per i periodici e le agenzie di stampa di cui all'art.
34-l'ulteriore vincolo di scelta del direttore e del vicedirettore responsabile
fra gli iscritti nell'elenco dei professionisti significa aggravare il limite
posto alla libertà garantita dall'art. 21 della Costituzione, e ciò senza
un'adeguata giustificazione costituzionale. Ed invero, escluso che l'attività
direzionale sia in qualche modo obiettivamente incompatibile con la circostanza
che il pubblicista non esercita il giornalismo in modo esclusivo (tanto è vero
che, secondo quanto dispone il capoverso dello stesso art. 46, egli può
assumere la direzione o la vicedirezione responsabile dei periodici e delle
agenzie diversi da quelli considerati nel primo comma), si può anche convenire
sulla opportunità che, ove si tratti di quotidiani o di periodici ed agenzie di
particolare importanza, le funzioni direttive vengano affidate a chi sia dedito
esclusivamente al giornalismo e possegga i particolari requisiti che si esigono
per l'iscrizione nell'elenco dei professionisti: ma è certo che non ci si trova
qui in presenza di un pubblico interesse né, a maggior ragione, di un interesse
generale di grado tale da giustificare l'intervento della legge, la quale,
quando si tratti di disciplinare l'esercizio di una libertà fondamentale, non
può porre limitazioni che, come quella in esame, non siano in funzione della
tutela di interessi direttamente rilevanti sul piano costituzionale (cfr.
sentenza n. 11 del 1968).
Per questa parte, dunque, il primo comma dell'art. 46 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo.
5. - Per gli stessi motivi, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del terzo
comma dell'art. 47, nella parte in cui si esclude che, nell'ipotesi in cui la
direzione di un quotidiano o di un periodico che sia organo di partito o
movimento politico o organizzazione sindacale venga affi data a persona non
iscritta nell'albo, vicedirettore del quoti diano possa essere un iscritto
nell'elenco dei pubblicisti e vicedirettore del periodico possa essere un
iscritto nell'elenco dei professionisti.
6. - Poiché l'art. 5, comma secondo, n. 3, della legge 8 febbraio 1948, n. 47,
fa rinvio alla legge sull'ordinamento professionale e, quindi, agli artt. 46 e
47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, nel testo quale viene ad essere a seguito
della presente dichiarazione di parziale illegittimità, la questione sollevata
in proposito dal giudice a quo deve essere dichiarata non fondata.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 46
della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'ordinamento della professione di
giornalista, limitatamente alla parte in cui esclude che il direttore ed il
vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia
di stampa di cui al primo comma dell'art. 34 possa essere iscritto nell'elenco
dei pubblicisti;
2) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 47, comma terzo, della citata legge,
nella parte in cui, nell'ipotesi prevista dal primo comma, esclude che possa
essere nominato vicedirettore del quotidiano un giornalista iscritto nell'elenco
dei pubblicisti ed esclude che possa essere nominato vicedirettore del periodico
un giornalista iscritto nell'elenco dei professionisti;
3) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
degli artt. 29, 34 e 35 della citata legge, sollevata in riferimento all'art. 21
della Costituzione;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5,
comma secondo n. 3, della legge 8 febbraio 1948, n. 47, contenente disposizioni
sulla stampa, sollevata in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
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