Tribunale di Firenze - Ordinanza 7 giugno 2001, n. 3155
(Dada c. Novamarine)
Sez. II
Pres. Braccagni - Rel. Pompei - Dada Spa c. Novamarine 2 Spa
Il Tribunale, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue.
Con ordinanza del giudice delegato in data 12/9/2000, veniva inibito alla
Gema '96 S.r.l. ed alla Dada S.p.a., in accoglimento del ricorso ex art. 700
c.p.c. e 63 R.D. n. 929/42, proposto dalla Novamarine 2 S.p.a., l'uso del nome
di dominio "Novamarine.it", o, comunque, del nome "Novamarine"
nella forma di "domain name", costituendo il nome "Novamarine"
marchio registrato dalla società Novamarine S.p.a., corrente in Olbia, Via dei
Lidi.
Avverso l'ordinanza, ha proposto reclamo la Dada S.p.a., deducendo di essersi
semplicemente limitata, in qualità di "provider", ad effettuare la
registrazione del nome di dominio per conto della Gema S.r.l., e che ciò non
può importare una sua responsabilità, non potendo ritenersi il provider
responsabile per aver provveduto ad effettuare la registrazione dei nomi di
dominio su richiesta dei clienti.
La reclamante contesta, altresì, che la tutela concessa ai segni distintivi
dell'impresa, ed, in particolar modo, ai marchi, sia applicabile anche alle
forme di utilizzazione degli stessi come nomi di dominio, non essendo
ravvisabile, in tal caso, un'ipotesi di violazione della legge marchi.
Deduce, inoltre, che, anche a voler ritenere applicabile la disciplina a tutela
del marchio d'impresa ai nomi di dominio, non può comunque non osservarsi che,
data la mancanza, nel caso in esame, di affinità tra i prodotti od i servizi
offerti dalla Novamarine 2 S.p.a. e quelli offerti dalla Gema '96 S.r.l., non
sussiste alcuna possibilità, per il consumatore, di confusione del prodotto,
ovvero di confusione circa la sussistenza di rapporti contrattuali o di gruppo
tra il titolare del marchio e l'imitatore, dovendosi oltretutto escludere che la
capacità distintiva, rinomanza e diffusione sul territorio del marchio "Novamarine.it"
siano tali da indurre a ritenere che dall'utilizzo del nome a dominio "Novamarine.it"
la Gema S.r.l., operante in tutt'altro settore economico, possa trarre un
qualche vantaggio economico. Infine, la reclamante contesta la ravvisabilità,
nel caso in esame, del periculum in mora, necessario presupposto per la
concessione del provvedimento cautelare, essendo il sito registrato in fase di
allestimento e, dunque, ancora inattivo.
Chiede, pertanto, la revoca dell'ordinanza reclamata.
Costituitasi, la Novamarine 2 S.p.a. ha chiesto il rigetto del reclamo; si è
altresì costituita la Gema '96 S.r.l., chiedendo l'accoglimento del reclamo
proposto dalla Dada S.p.a., deducendo, al riguardo, che il marchio "Novamarine"
non merita alcuna tutela, dovendo ritenersi nullo in quanto privo del requisito
dell'originalità, contestando che la tutela concessa ai segni distintivi
dell'impresa ed, in particolar modo ai marchi, sia applicabile anche alle forme
di utilizzazione degli stessi come nomi di dominio, contestando, infine, la
ravvisabilità, nel caso di specie, dei presupposti dell'art. 2598 c.c., non
sussistendo rapporto di concorrenza tra le parti. Ciò premesso in fatto, in via
preliminare deve essere esaminato il problema dell'applicabilità delle norme
poste a tutela dei segni distintivi dell'impresa, ed in particolare di quelle
relative ai marchi, alla fattispecie della registrazione di un sito Web con un
nome, che già è tutelato come marchio di impresa. Come è noto, la
giurisprudenza quasi unanime è orientata nel senso di risolvere i conflitti tra
"domain names" e marchi attraverso il ricorso alle norme che regolano
i rapporti tra segni distintivi (si vedano, sul punto, tra le tante, ord. Trib.
Milano, 9/6/1997 che, nel caso "Amadeus", ha assimilato il
"domain name", in quanto luogo virtuale di reperibilità
dell'imprenditore, all'insegna; ord. Trib. Modena, 23/10/1996, che, nel caso
"Foro it.", ha affermato che l'utilizzazione abusiva del segno altrui
come "domain name" costituisce una violazione del diritto di
esclusiva; ord. Trib. Roma, 2/8/1997, che, nel caso "Porta Portese",
ha affermato l'idoneità confusoria del "domain name" con l'altrui
marchio, stimolata dalla enorme potenzialità distintiva del messaggio
Internet). Il problema presenta risvolti di notevole complessità, laddove si
consideri che il mondo della comunicazione in rete ha azzerato le frontiere
spazio-temporali, e, non essendo assoggettato né ad un'autorità centrale, né
ad una normativa uniforme, finisce con il dar luogo ad un ordinamento
universalmente strutturato e funzionante secondo regole di natura tecnica, cui
non fa riscontro, peraltro, l'uniformità, nei singoli Stati, della disciplina
giuridica.
Il mondo della comunicazione telematica, in una parola, costituisce
indubbiamente un ordinamento particolare, caratterizzato da proprie regole
tecniche, in relazione al quale pone il problema della regolamentazione
giuridica da parte dei singoli Stati, e cioè, dei vari ordinamenti con i quali
quello telematico viene ad essere in relazione.
La peculiarità e delicatezza del rapporto tra mondo telematico ed ordinamenti
giuridici nazionali è evidente sol che si pensi alla difficoltà di ricondurre
nell'ambito dei criteri giuridici codificati secondo i principi della sovranità
nazionale i rapporti generati da un mezzo di comunicazione decentralizzato, si
osa dire diffuso, che istituisce correlazioni tra soggetti al di là delle
frontiere nazionali con le conseguenti e note difficoltà di impostare, per
esempio, i problemi della giurisdizione e della competenza. Ciò contribuisce a
spiegare come, a fronte dell'indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, volto
a risolvere i conflitti tra "domain names" e marchi attraverso il
ricorso alle norme che regolano, nel nostro ordinamento, i rapporti tra segni
distintivi, parte della giurisprudenza sia, invece, orientata nel senso di
privilegiare, nella regolamentazione del fenomeno, quelle peculiarità derivanti
dalla particolare natura della comunicazione telematica, e, dunque, a ritenere
l'autonomia dei rapporti alla stessa riconnessi, in virtù della peculiarità
delle regole di organizzazione tecnica, che fondano il carattere universale
dell'organizzazione informatica, e che, dunque, dovrebbero universalmente
ispirarne la disciplina sul piano giuridico.
In quest'ultimo indirizzo si collocano le due ordinanze di questo Tribunale, in
data 29/6/2000 (Giud. Rel. Monteverde) ed in data (Giud. Rel. Gallini), volte a
negare la corrispondenza tra nomi di dominio e segni distintivi dell'impresa,
con conseguente esclusione dell'applicabilità ai primi della disciplina dettata
per i secondi. L'indirizzo in questione erige a criterio risolutore del
conflitto la regola del "first come first served", che consente
l'assegnazione di un domain name ad un determinato soggetto in via esclusiva,
sulla base della priorità cronologica della richiesta, al duplice scopo da un
lato, di prevenire l'insorgere di conflitti tra i richiedenti, e, dall'altro, di
esonerare la Registration Authority (l'organismo preposto all'assegnazione di un
"domain name" in via esclusiva ad un determinato soggetto), da ogni
responsabilità per eventuali illeciti confusori contraffattori, commessi
dall'assegnatario, mediante il "domain name" concesso in uso.
Secondo un tale indirizzo, poiché il "domain name" consente, da un
punto di vista tecnico, l'identificazione di una pagina Web e l'accesso di un
determinato computer alla rete Internet (attraverso la corrispondente sequenza
numerica univoca, denominata Internet Protocol number, avente la funzione di
catalogare i dati in uscita da un elaboratore, secondo un sistema di indirizzi
numerici diversi per ogni computer collegato) esso avrebbe un rilievo autonomo,
indipendente dalla funzione distintiva che può venire ad assumere, essendo
piuttosto assimilabile ad un mero indirizzo o numero di telefono, sia pure
tradotto in lettere alfabetiche, e non ponendo, dunque, problemi di violazione
del marchio di impresa.
Va, peraltro, osservato che è innegabile la funzione distintiva riconnessa
all'utilizzazione come "domain name" di un segno distintivo altrui.
È chiaro che, tecnicamente, il "domain name" è e resta un indirizzo;
sul piano giuridico, peraltro, viene ad assumere una valenza distintiva, in
virtù dell'uso e della funzione commerciale assunta in Internet, in relazione
al commercio elettronico ed alla pubblicità sui siti.
Il "domain name", in altre parole, è un indirizzo, ma non è
indifferente che lo stesso sia composto da una certa sequenza di lettere
dell'alfabeto piuttosto che da un'altra, poiché detta frequenza, se
corrispondente ad un segno distintivo, è capace di orientare le scelte del
consumatore, che fruisce dei prodotti e che, dunque, sarà portato a raggiungere
un sito piuttosto che un altro in relazione, appunto, alla particolare frequenza
che suggerisce un certo tipo di prodotto piuttosto che un altro.
La conferma dell'esattezza di un siffatto assunto, è, ad avviso del Tribunale,
da ricercarsi nella considerazione che, se la valenza del "domain name"
fosse effettivamente neutra, non si capirebbe il motivo della preferenza, nella
scelta dell'indirizzo per accedere ad un sito, per un certo nome piuttosto che
per un altro, anche da parte di soggetti non aventi alcun legame con il nome
stesso.
D'altro canto, lo stesso orientamento del legislatore è nel senso di approdare
ad una tutela del titolare del marchio dal possibile uso che altri possa farne
come nome di dominio, come dimostra il disegno di legge Passigli, approvato dal
Consiglio dei Ministri in data 12/4/2000, con il quale si vieta l'utilizzo di
nomi di dominio identici o simili a quelli identificanti soggetti giuridici o
segni distintivi dell'impresa, cercando così di arginare il fenomeno del c.d.
"domain grabbing".
Una volta stabilita l'applicabilità ai "domain names" della
disciplina dei segni distintivi, deve ritenersi applicabile il principio della
circolarità della tutela dei segni stessi, in base al quale ciascun segno è
idoneo a violare ed essere violato da segni di pur diverso tipo; il nome di
dominio dovrà dunque essere adoperato in maniera tale da non ingenerare
confusione nel pubblico circa la riconducibilità del sito (e, dunque, dei
prodotti nello stesso venduti o reclamizzati), ad un determinato soggetto, pena
l'applicabilità, a seconda dei casi, delle norme dettate a tutela della
specifica tipologia del segno violato (legge marchi, normativa sul diritto al
nome ed all'identità personale, legge sul diritto d'autore, art. 2598 c.c.).
Il giudizio di valutazione dell'illiceità eventuale dell'uso del "domain
name" dovrà, per quanto detto, essere condotto alla stregua delle norme e
dei principi in materia di segni distintivi; non può, peraltro, non osservarsi
che, per effetto delle peculiarità presentate dal "domain name",
anche il giudizio di confondibilità viene ad assumere caratteri peculiari sia
in rapporto alla somiglianza tra i segni, sia in rapporto alla valutazione della
possibilità di confusione in relazione all'affinità merceologica. Sotto il
primo profilo, si sottolinea infatti, la connotazione di essenzialità grafica
del nome di dominio, che consente una differenziazione con varianti letterali
assai scarne, non consentendo, invece, quelle differenziazioni dei caratteri,
cromatiche o di dimensioni, né le differenziazioni effettuate tramite
l'aggiunta al nome di simboli o figure; con la conseguenza che la giurisprudenza
ha escluso la rilevanza, ai fini del giudizio di confondibilità, di quelle
variazioni marginali, non idonee ad operare una distinzione, come, ad esempio,
la differenza del solo "Top Level Domain Name", che viene ritenuto
assimilabile ad un nome di uso generale, e, pertanto, non idoneo a fondare, di
per sé solo, una differenziazione sufficiente ad evitare la confondibilità dei
caratteri (come ritenuto, ad esempio, nel citato caso "Amadeus", in
relazione alla stringa "it.", assegnata a tutti i richiedenti
nell'ambito del "country code" italiano). Sotto il secondo profilo, va
osservato come in talune pronunce si sia ritenuto che l'uso di un marchio, che
gode di rinomanza, come "domain name", o comunque all'interno di un
sito Internet, anche per prodotti o servizi non affini a quelli forniti dal
titolare del marchio medesimo, viola i diritti del titolare del marchio, in
quanto comporta l'immediato vantaggio di ricollegare la attività espletata
tramite il sito o nello stesso pubblicizzata, a quella del titolare del marchio,
sfruttando la notorietà del segno e traendone indebito vantaggio (Trib.
Vicenza, ord. 6/7/1998).
D'altro canto, nel già menzionato caso "Amadeus", si è ritenuto che
l'ipertestualità del WWW sia in grado di provocare un'estensione mediata della
gamma merceologica, tanto che il nome di dominio "Amadeus" è stato
ritenuto contraffattorio dell'omonimo marchio, sebbene i due segni operassero in
settori merceologici diversi, sulla base del fatto che il sito "Amadeus"
offriva dei collegamenti a siti operanti nello stesso settore del marchio "Amadeus".
Ciò premesso, ritiene il Tribunale che, in considerazione delle peculiari
caratteristiche dei nomi di dominio, pur dovendosi ritenere necessaria ai fini
dell'operatività della tutela di cui all'art. 1, lett. b), L. marchi,
l'esistenza di affinità merceologica dei settori di uso dei segni, detta
affinità merceologica debba tuttavia essere valutata in considerazione della
peculiarità dei nomi di dominio, e della possibilità, per il consumatore, di
ricondurre un determinato servizio all'attività d'impresa del titolare del
marchio, sfruttandone perciò la notorietà.
Nel caso in esame, è evidente che una simile possibilità sia in concreto
realizzabile, poiché la Novamarine 2 ha per oggetto l'attività di produzione e
commercio di imbarcazioni tanto da lavoro e per usi militari, che da diporto,
laddove la società ha per oggetto l'attività di organizzazione di vacanze
marine; è, evidente, che la notorietà raggiunta nel settore del commercio
delle imbarcazioni dalla Novamarine 2 possa in concreto, indirizzare l'utente
nella scelta del sito, in quanto contraddistinto da un nome di dominio
riconducibile all'attività di fabbricazione e commercio di imbarcazioni, onde
l'utente, alla ricerca del sito relativo a vacanze marine, può essere indotto a
ritenere che il prodotto sia offerto da uno stesso imprenditore.
Né appaiono fondate le argomentazioni della Dada e della Gema, secondo le quali
il marchio "Novamarine" non avrebbe raggiunto quella notorietà tale
da far ritenere che dall'utilizzazione dello stesso come nome a dominio la Gema
potrebbe trarre un qualche vantaggio; così, pure, non appaiono fondate, le
argomentazioni sviluppate in punto di nullità di detto marchio, in quanto privo
di capacità distintiva, trattandosi di una mera combinazione tra la parola
"Nova" (latinismo per "nuova") e la parola
"marine" (termine inglese che indica la marina), che non aggiungerebbe
alcun elemento di originalità rispetto alla mera descrizione del prodotto
"imbarcazione". Dalla documentazione allegata al fascicolo della
"Novamarine 2" risulta, infatti, l'ampia diffusione sul mercato dei
prodotti di quest'ultima (si vedano, in particolare, l'allegato elenco dei
clienti, tra i quali figurano nomi di prestigio nel campo della nautica, e,
comunque, acquirenti di tutto il mondo, oltre ad alcuni dei clubs nautici più
prestigiosi, quali quello di Montecarlo e della Costa Smeralda, ed i dépliants
illustranti il prodotto, che è esteso ad una vastissima gamma di imbarcazioni
di tutte le dimensioni); circostanze, tutte, che inducono a ritenere l'ampia
diffusione ed il prestigio dell'attività imprenditoriale svolta dalla
Novamarine 2 sul mercato con conseguente notorietà del marchio.
D'altro canto, è evidente, come osservato anche nell'ordinanza reclamata, che
l'espressione "Novamarine" è dotata del potere individuante del
prodotto, essendo pacifico che anche una parola comune o tratta dal linguaggio
corrente può assumere carattere di originalità (Cass. n. 2929/82), purché
abbia subito una modificazione tale da annullare il suo originario significato
linguistico e sia divenuta tale da designare, con sufficiente determinazione, un
prodotto (Cass. n. 1839/75); e, nel caso in esame, è evidente che l'espressione
"Novamarine" è dotata del potere individuante del prodotto,
trattandosi di parola composta da altre due in diverse lingue, indicanti, per di
più, concetti diversi dal prodotto contraddistinto dal marchio.
Potrà, al più, concordarsi con il Giudice che ha emesso il provvedimento
reclamato nel ritenere che il marchio è un marchio debole, come è appunto, nel
caso dei nomi comuni, accompagnati dalle opportune trasformazioni morfologiche
(sul punto si veda Cass. n. 1626/71); ma ciò non esclude, ovviamente,
l'applicabilità della tutela approntata dalla l. Marchi.
Ciò premesso, è evidente, dunque, per quanto testé osservato, che il
provvedimento reclamato deve essere confermato nei confronti della Gema S.r.l.,
dovendo ritenersi, per quanto osservato, il requisito del fumus boni iuris,
nonché l'ulteriore requisito del periculum in mora, pur essendo, allo stato, il
sito inattivo, atteso che l'effettuazione della registrazione e l'allestimento
del sito rendono, comunque, evidente l'intenzione della Gema di addivenire
all'utilizzazione del nome di dominio, il che può avvenire con l'approntamento
del sito, possibile in qualunque momento, con pericolo, dunque, di danno
irreparabile per la titolare del marchio.
Non può, invece, addivenirsi, ad analoga conclusione per quanto riguarda la
posizione della Dada S.p.a., trattandosi del provider che, su richiesta della
Gema S.r.l., ha provveduto alla registrazione del marchio.
Come è noto, il provider (Internet Access Provider) è il soggetto che provvede
a fornire l'accesso, agli utenti di Internet, ad una rete che sia collegata all'Internetworking
mondiale.
I providers affittano da un gestore una linea c.d. "dedicata", cioè
esclusivamente destinata al gestore richiedente, per portarsi fino ad un punto
di inserimento nelle grandi dorsali europee delle telecomunicazioni; di tale
linea si avvarranno i clienti del provider nei loro accessi ad Internet.
Il contratto che il provider stipula con gli utenti del servizio è di ardua
collocazione giuridica, e viene, per lo più, ricondotto alla categoria dei
contratti di appalto, e, più precisamente, all'appalto con prestazione
continuativa o periodica di servizi, di cui all'art. 1667 c.c.
Accanto alla prestazione tipica e necessaria consistente nell'accesso ad
Internet, il provider può obbligarsi ad offrire all'utente, a fronte di un
corrispettivo, altre prestazioni eventuali ed accessorie di servizi, quali, ad
esempio, realizzare un sito per il cliente, fungere da casella di posta
elettronica, ovvero provvedere alla registrazione del nome di dominio, come nel
caso di specie è avvenuto; nel caso di inadempimento delle obbligazioni
contrattualmente assunte, verrà a configurarsi la responsabilità del provider
nei confronti dell'altro contraente, diversamente atteggiantesi, appunto, in
relazione al contenuto di ogni singola prestazione, principale od accessoria.
Oltre alla responsabilità contrattuale nei confronti dell'utente dei servizi
forniti, è poi configurabile una responsabilità extracontrattuale del
provider, in relazione alla possibile lesione, tramite l'attività espletata,
dei diritti dei terzi, problema da tempo assurto ai clamori delle cronache
giudiziarie.
Nel settore penale, di fronte a casi di diffamazione, o di altri reati commessi
attraverso la comunicazione telematica, si è spesso sottolineata
l'equiparabilità tra la figura del provider e quella dell'editore di giornale
(si veda, ora, sul punto, la l. 7/3/2001, n. 62), addossandosi, quindi, al
provider obblighi di controllo e di verifica dell'attività svolta e dall'utente
sul sito; obblighi che, se da un lato tradivano l'avvertita esigenza di
consentire, sempre, di fronte alla commissione di un illecito, l'individuazione
di almeno un soggetto responsabile, cosa non sempre facile considerati i
meccanismi di funzionamento della rete e la dimensione internazionale della
comunicazione telematica, con possibilità che l'autore dell'illecito fosse non
assoggettabile alla legislazione dello Stato nei cui confini il danno si era
verificato, dall'altro sicuramente apparivano di difficile se non impossibile
attuazione, a fronte, sempre, dei meccanismi di funzionamento della rete,
risolvendosi in una forma di trasferimento del rischio dell'attività sul
soggetto più facilmente identificabile ed aggredibile, ed attribuendo
oltretutto, al provider l'improprio compito di stabilire se interrompere o meno,
per evitare la protrazione dell'illecito, il servizio fornito all'utente,
effettuando, così, valutazioni circa l'illiceità dell'attività svolta
dall'utente (ad esempio, circa la natura diffamatoria o meno di una certa
espressione), che di sicuro non competono a tali soggetti. Anche nel settore
dell'illecito civile, nel quale una delle questioni più dibattute è stata
proprio quella della corresponsabilità del provider per gli illeciti confusori
o contraffattori commessi tramite il sito dall'utente, si è attribuito al
provider un'obbligo di controllo di tutto il materiale pubblicato sul proprio
server, compreso quello inviato da terzi (come nel famoso caso
"Pomicino", di cui all'ordinanza del Tribunale di Napoli
dell'8/8/1997, che sposa la teoria della responsabilità per culpa in
vigilando), orientamento, peraltro, criticabile per gli stessi motivi
esplicitati, in relazione al problema della valutazione della corresponsabilità
del provider in relazione ad illeciti penali commessi dall'utente. Né, poi,
appaiono più condivisibili quegli orientamenti dottrinari che invocano
l'applicabilità, ai fini della valutazione della responsabilità del provider,
dell'art. 1176 c.c., cioè della norma generale sulla diligenza che il
professionista deve tenere nell'adempimento dell'obbligazione.
Invero, va osservato che l'indirizzo in questione (pure ispirato alla
condivisibile esigenza di tenere conto, nella valutazione della responsabilità
del provider nei confronti dei terzi, dell'attività dallo stesso in concreto
svolta, in relazione al contenuto dell'obbligazione di volta in volta assunta
nei confronti dell'utente, e di limitarla a quei casi in cui effettivamente un
rimprovero possa effettuarsi per la violazione di ben precisi ed identificabili
doveri), trascura però di considerare che la responsabilità del provider nei
confronti dei terzi non è di natura contrattuale, non derivando da accordi
intercorsi con gli stessi.
La responsabilità del provider nei confronti dei terzi è, invece, di natura
extracontrattuale, e, come tale, andrà ravvisata in quei casi di violazione di
quelle norme comuni di prudenza, diligenza, perizia, individuate secondo il
parametro dell'agente modello, qualora da dette violazioni sia scaturito il
danno a terzi.
Adottando tale parametro è evidente che la responsabilità del provider in casi
particolari se non proprio eccezionali, stante la minore evidenza dell'illecito
contraffattorio o confusorio rispetto ad altri tipi di illecito, la
responsabilità del provider dovrà in concreto essere affermata con riferimento
a quei casi palesi di illecito confusorio, come nel caso di abusi di marchi o
nomi celebri. Una simile conclusione è, poi rafforzata da quanto detto in
ordine alla necessità di diversificare il comportamento del provider in
relazione al contenuto delle singole obbligazioni assunte con l'utente finale,
al fine di valutare, poi, la diligenza del comportamento del provider in
relazione ai diritti dei terzi.
Invero, qualora, come nel caso de quo, il provider abbia assunto l'obbligazione
di provvedere alla registrazione del domain name, è evidente che nessun tipo di
responsabilità sarà configurabile al di fuori dell'ipotesi di registrazione di
un nome di dominio corrispondente ad un marchio, di tale risonanza, da indurre
necessariamente il provider, secondo le normali regole di prudenza, ad astenersi
dall'eseguire la prestazione, essendo di immediata evidenza l'illecito
dell'utente finale.
Diversamente argomentando, come già osservato, si finirebbe con l'addossare al
provider il giudizio sulla liceità o meno della registrazione del nome del
dominio, e, dunque, tutta una serie di valutazioni (ad esempio, circa eventuali
eccezioni di nullità del marchio, ecc.), che, sicuramente, non competono a tale
soggetto; d'altra parte, come ampiamente osservato dalla dottrina, la
conclusione è particolarmente adeguata al sistema italiano, considerato che
nemmeno l'Ufficio Italiano Marchi e Brevetti è in grado di verificare tutte le
priorità in materia di marchi registrati, onde è impensabile che un tale
compito possa essere affidato ad un provider.
Nel caso di specie, è evidente che il marchio violato, seppure fornito, del
requisito della notorietà, non è di risonanza tale da indurre a ritenere che,
secondo l'ordinaria diligenza, la Dada fosse in grado di ritenere con sicurezza
l'illiceità dell'attività di registrazione come domain name, pertanto, al
provider non può essere imputato alcun comportamento tale da giustificare
l'emissione del provvedimento cautelare anche nei suoi confronti, provvedimento
che, dunque, andrà revocato per tale parte.
In conseguenza della revoca del provvedimento nei confronti della Dada, non
seguendo per detta posizione il giudizio di merito, deve dunque, provvedersi
alla liquidazione delle spese, da porsi a carico della Novamarine 2, soccombente
in relazione alla posizione della Dada.
Nessuna pronuncia in punto di spese deve, invece, essere adottata tra la
Novamarine 2 e la Gema, atteso che tra le parti deve aver luogo il giudizio di
merito.
P.Q.M.
1) accoglie il reclamo proposto da Dada, s.p.a. avverso l'ordinanza del
Tribunale di Firenze in data 12/9/2000 e, per l'effetto, revoca detta ordinanza
per la parte della pronuncia relativa a Dada Spa; 2) condanna Novamarine 2
S.p.a. alla refusione, a favore di Dada S.p.a., delle spese del procedimento
cautelare di primo grado, liquidate in complessive L. 3.600.000, di cui L.
1.700.000 per onorario, e di quelle del presente procedimento, liquidate in
complessive L. 3.800.000, di cui L. 1.900.000 per onorario; 3) conferma per la
restante parte l'ordinanza reclamata.