Sentenza del Tribunale di
Torino 13 luglio 2000
(L'uso personale del software non è reato)
Numero 10885 /98 RG notizie di reato
Numero ________ RG Tribunale
N. ______ Reg Sent
Data del deposito 13 luglio 2000
Tribunale ordinario di
Torino
Sentenza
(Art. 544 e segg., 549 cpp)
Repubblica italiana
in nome del popolo italiano
il giudice in funzione monocratica
dott. Alessando Scialabba sezione dibattimento alla udienza del 13 luglio 2000
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e contestuale
motivazione la seguente
sentenza
nei confronti di
Tizio
nato a______ il_______ res ______ via __________
dom ex Art. 161 cpp in ______ via ________
libero presente
imputato
A) del reato di cui agli artt. 81
cpv 648 cp perché i esecuzione di un medesimo disegno criminoso, al fine di
trarne profitto e conoscendone la provenienza delittuosa, riceveva i seguenti
programmi informatici per elaboratore (software) provento del delitto di
duplicazione abusiva, aventi valore complessiva di lire 76.000.000:
- rinvenuti su hadr disk
... omissis...
- rinvenuti su CDROM
...omissis...
in _______________ dal gennaio 1996 al 12-6-98
B) reato di cui agli art. 81 cpv. c.p., 171 bis. l.633/41, perchè, in
esecuzione di un medesimo disegno criminoso, abusivamente duplicava a fini di
lucro i programmi per elaboratore di cui al capo a)
in _______________ dal gennaio 1996 al 12-6-98
Con l'intervento del pubblico ministero dott. Calice
e dell'.avv Aldo Perla difensore di fiducia
le parti hanno concluso come segue
pubblico ministero: ______________-
difesa: assoluzione perché il fatto non sussiste o perché non costituisce
reato
Motivi della decisione in fatto
e diritto
1. Con decreto ex articolo 555 cpp
(vecchia formulazione), notificato in data 2 dicembre '99, Tizio veniva citato
in giudizio per i reati di cui in epigrafe.
All'udienza della 1342000, il pubblico ministero produceva documentazione
proveniente dalla Business Software Alliance riguardante l'assenza, in capo a
Tizio, di licenze software; suo accordo delle parti, ex articolo 555 cpp (nuova
formulazione), veniva acquisita l'annotazione firma di Todesco Gianfranco, in
forza alla polizia giudiziaria presso la locale procura. Dalla detta annotazione
emergeva che l'indagine era scaturita da informazioni confidenziali ricevute
dalla polizia giudiziaria.
Lo stesso Todesco, esaminato come teste per fornire chiarimenti, precisava che
la duplicazione del software è un'operazione semplice, per la quale è
sufficiente possedere soltanto alcune cognizioni di base e che la "Business
Software Alliance" è una sorta di agenzia internazionale contro la
pirateria informatica presso cui è possibile verificare i nominativi delle
persone che legalmente detengono software.
Veniva poi esaminato il consulente tecnico del pubblico ministero, ingegner
Vinardi Mario, il quale riferiva di avere analizzato il materiale sequestrato
presso l'abitazione del prevenuto rete, in particolare, tre hard disk e (di cui
uno vecchio uno recente e uno all'avanguardia), 53 CD-ROM masterizzati e 638
floppy disk ; che il Campiello aveva tre canali di accesso alla rete informatica
Internet; che ne detti supporti era contenuto software di varia natura (fra cui
applicazioni grafiche, per traduzioni, per dettatura vocale e molti giochi);
che, in particolare, i giochi hanno obsolescenza rapidissima e che "sono
anche disponibili con le riviste in edicola" (pag. 21 della trascrizione);
che la valutazione complessiva del software in questione è di circa lire 50
milioni e non di lire 76 milioni come erroneamente indicato nella relazione
scritta (e riportato nel capo di imputazione subito a).
Il consulente ribadiva le conclusioni contenute nella sua relazione scritta,
compresa quella di cui al punto 5, per la quale "...... non erano emersi
elementi oggettivi in grado di indicare l'indagato per i quali
obbligatorie/scopritore di software, né al contrario quale nero acquirente di
software da altri duplicato e/os protetto"; precisava, inoltre:
"quando intendo scopritore di software significa che io non ho rinvenuto
del software atto a rimuovere protezioni da altri programmi" (pag. 22 della
trascrizione).
Il consulente può riferiva che almeno una parte del software in questione
verificato che solo per due programmi erano state rinvenute più copie. Al
termine dell'esame veniva acquisita la relazione scritta del consulente.
Venivano poi esaminato i testi della Difesa Primo, Secondo e Terzo, ferrovieri e
colleghi di lavoro dell'imputato, i quali riferivano di non avere mai ricevuto,
da parte dei Tizio, offerte di materiale informatico.
Alla udienza del 8 giugno 2000 il pubblico ministero produceva, all'integrazione
del fascicolo per il dibattimento, quattro buste contenenti: una rubrica
telefonica, una "listato programmi" a modulo continuo e 142 schede,
materiale tutto sequestrato presso l'abitazione dell'imputato; quindi si
procedeva all'esame del prevenuto.
Tizio, previa produzione di alcune fotocopie di licenze di programmi per
elaboratore (peraltro non riconducibili con certezza quelli di cui in
imputazione), respinge ogni addebito, ammetteva la materiale duplicazione dei
programmi informatici per i quali si procede, e sostanzialmente, giustificava la
sua condotta con la passione per l'informatica, dicendo:
a) di avere "scaricato" alcuni programmi da Internet;
b) di avere acquistato altri programmi unitamente a riviste specializzate
vendute in edicola;
c) di avere acquistato taluni programmi "in originale" di averli poi
duplicati a fine di conservazione e uso personale, talvolta gettando via il
software originale perché usurato.
L'imputato non era in grado di indicare, fra i modi di acquisto sopraindicati,
quello utilizzato per ogni singolo programma da lui posseduto.
Sulla base di queste prove e degli atti contenuti nel fascicolo per il
dibattimento (fra cui verbali di perquisizione sequestro del 12 giugno '98) le
parti concludevano come riportato in epigrafe; il processo veniva quindi
rinviato per consentire al pubblico ministero un eventuale replica.
All'udienza del 13 luglio 2000 il giudice pronunciava sentenza.
2. All'esito dell'istruttoria dibattimentale Tizio va assolto dal reato di cui
al capo A) perché il fatto non costituisce reato.
L'assoluzione si fonda sulla mancata prova della conoscenza circa la provenienza
delittuosa del software di cui alla rubrica; prima di enunciare le ragioni poste
a fondamento alla decisione, si impongono alcune considerazioni.
In buona sostanza Tizio è accusato di avere, in un primo tempo, ricercato
programmi informatici (capo a) della rubrica) e, in un secondo tempo, di avere
abusivamente duplicato gli stessi a fini di lucro (capo b)).
E notorio che il reato di ricettazione ha come presupposto l'avvenuta
commissione di un delitto; nella fattispecie tale delitto presupposto si assume
essere quello di duplicazione abusiva degli stessi programmi informatici
(articolo 171 bis legge 633/1941) oggetto di ricettazione.
È pacifico in giurisprudenza (fra le molte Cassazione 4077 /1990) che ai fini
della configurazione del delitto di ricettazione non rileva il mancato
accertamento giudiziale del delitto presupposto ma è sufficiente che, anche in
base a prove logiche, il fatto della illecita provenienza delle cose risulti
positivamente al giudice chiamato a conoscere della ricettazione.
Ora, nel caso in esame, l'istruttoria dibattimentale non ha fornito elementi
certi; a tutto concedere alla prospettazione dell'accusa e muovendo dalle
dichiarazioni rese dallo stesso imputato, si potrebbe ravvisare la presupposta
abusiva duplicazione in chi ad esempio ha messo a disposizione del pubblico,
sulla rete informatica Internet, le copie di programmi protetti dalla legge sul
diritto d'autore, poi, al loro volta "ricevute", tramite computer
dallo stesso Tizio. Questo fatto potrebbe probabilmente costituire la condotta
materiale della duplicazione abusiva, salvo necessari approfondimenti in ordine
all'esistenza del fine di lucro (richiesto dalla citata norma) in capo
all'autore del reato presupposto e cioè colui che ha messo a disposizione del
pubblico su Internet copie di programmi informatici.
Come è dato comprendere da queste considerazioni di indagine sul punto si
rivela piuttosto ardua e, in ogni caso, nella fattispecie nulla è emerso.
Inoltre l'assenza di dati di fatto attinenti al fine di lucro si diverta
necessariamente sull'elemento soggettivo della ricettazione (conoscenza della
illecita provenienza dei programmi chiusa ): se non è provata di liceità
penale della condotta presupposta non volessi consapevolezza di acquisire un
bene di provenienza illecita.
In altre parole la condanna per ricettazione non può aver luogo, se prima non
è stato riconosciuto esistente, nei suoi elementi essenziali, il delitto
presupposto anche se di questo non sia stato accertato l'autore.
Orbene, poiché nulla le indagini hanno appurato circa la provenienza del
software, si deve ritenere che l'acquisizione dei programmi informatici avvenuta
da parte del vizio tramite Internet ovvero nelle edicole di giornali, come
sostenuto dallo stesso.
Ora, si è già detto (sotto il profilo del fine di lucro, quale reato
presupposto) circa l'acquisizione tramite Internet; circa gli acquisti presso
l'edicola di giornali risulta assai difficile ritenere che il vizio potesse
essere in grado, per quanto appassionato di informatica, per la sua cultura, per
la natura del luogo di vendita, di comprendere pienamente illecita provenienza
(sotto il profilo della abusiva duplicazione, quanto al reato presupposto) dei
programmi di cui entrava in possesso
in ogni caso, se anche l'imputato avesse avuto dubbi in tal senso non può
ritenersi integrato il dolo della ricettazione che, per la peculiarità della
fattispecie, deve essere intenzionale (per la incompatibilità del dolo
eventuale con il delitto di ricettazione si veda cassazione n. 3/1993).
L'imputato va dunque assolto.
Tizio va poi assolto, ex articolo 530 secondo comma cpp, dal reato di cui al
capo b) perché il fatto non costituisce reato, non sussistendo prova adeguata
dell'elemento psichico (fine di lucro) dell'illecito penale in questione. Orbene
il legislatore con l'articolo 10 del decreto legislativo 29 dicembre '92 518 ha
introdotto, in seno alla legge di protezione del diritto d'autore, l'articolo
171 bis, così configurando una fattispecie dolo specifico; il legislatore ha
cioè richiesto l'elemento intenzionale del fine di lucro per
l'integrazione del reato.
Tale 'innesto normativo è del tutto razionale e in armonia con altre norme (di
natura civilistica) previste dalla stessa legge di protezione del diritto
d'autore, quali l'articolo 64 ter comma secondo (che prevede, in particolari
condizioni, la liceità della formazione di una copia di riserva del programma
informatico) e l'articolo 68 comma primo della stessa legge (che consente la
libera riproduzione di opere per uso personale), dalle quali si ricava che il
solo fatto della duplicazione non costituisce condotta illecita.
Dunque occorre interrogarsi sul significato dei fini di lucro richiesto dalla
norma in questione.
Al riguardo due interpretazioni dell'articolo 171 bis citato sono state
proposte: secondo una certa interpretazione (Pretura Cagliari 26 novembre 1996)
il "lucro" costituisce l'accrescimento positivo del patrimonio a
differenza del "profitto", più ampio concetto, che include tanto
l'accrescimento diretto del patrimonio quanto quello indiretto che si verifica
attraverso una mancata perdita patrimoniale; secondo l'altra interpretazione
(tribunale Torino 20 aprile 2000), il fine di lucro comprende anche il profitto
ritraibile dal risparmio di costi.
I due precedenti giurisprudenziali citati, peraltro, non si attagliano
perfettamente alla presente fattispecie, in quanto relativi a ipotizzare
illecite duplicazioni effettuate in ambito imprenditoriale, dove lo scopo di
lucro, cioè di guadagno inteso nel senso più ampio possibile, risulta
fisiologico e connaturato ad ogni attività (fatto, questo, che rende
preferibile la seconda delle interpretazioni di cui sopra).
Nel caso in esame, tuttavia, la condotta di duplicazione è stata posta in
essere da un privato (dipendente delle ferrovie) e la stessa non è in alcun
modo riconducibile alla sua attività lavorativa; dunque non può
ragionevolmente escludersi, almeno in astratto, che l'attività di duplicazione
sia stata realizzata non a fini di lucro ma a fini personali per passione e
interesse nel mondo dell'informatica.
Occorre dunque per accertare l'esistenza del fine di lucro, da intendere in
questo caso nel senso ristretto di immediato incremento patrimoniale, vagliare
gli elementi raccolti durante l'istruzione dibattimentale e verificare se da
essi si può desumere che il prevenuto ponesse in commercio avesse contatti con
possibili acquirenti per vendere il software di cui alla rubrica.
Orbene, giocano a carico dell'imputato:
1) il "listato programmi un modulo continuo" (in altri termini
l'elenco dei programmi informatici) rinvenuto nell'abitazione di Tizio; su di
esso vi si legge anche il nome cognome dell'imputato e di numeri di telefono
(fisso e cellulare) dello stesso.
È agevole osservare come detto listato appare come una sorta di catalogo di
prodotti nella disponibilità dell'imputato;
2) il numero (oltre 100) il valore (circa lire 50 milioni) di programmi
rinvenuti;
3)l'amplia tipologia degli stessi programmi, da cui (come per i dati di cui al
punto 2) si può desumere la destinazione commerciale degli stessi.
Del tutto insignificanti paiono invece, essere le 142 schede nominative
sequestrate; invero lo stesso imputato ha dichiarato di svolgere anche attività
di subagente assicurativo e le schede in questione si riferiscono in maniera
esplicita e creatività.
A favore dell'imputato, invece, gioca la decisiva circostanza che, tanto dal
materiale documentale quanto dalle dichiarazioni rese dai testi in dibattimento,
non è emersa prova alcuna di contatti con terze persone di Tizio ai fini di
cessione di materiale informatico.
Del resto il "listato programmi" di cui sopra. 1), al di là delle
generiche dichiarazioni dell'imputato circa la sua aspirazione a diventare
programmatore di computer, può anche essere considerato come semplice attività
prodromica dallo smercio; quanto ai punti 2) 3) dei suddetti elementi a carico,
valga osservare come essi in relazione a tutti gli elementi di giudizio
raccolti, non appaiono sufficientemente univoci perché non del tutto
incompatibili con la passione per l'informatica dello stesso Tizio.
L'imputato va, dunque, assolto anche di reato di cui al capo B) della rubrica.
PQM
letto l'articolo 530 comma primo cpp
assolve Tizio dal reato di cui al capo a) della rubrica, perché il fatto non
costituisce reato;
letto l'articolo 530 comma secondo cpp,
assolve Tizio dal reato di cui al capo b) della rubrica perchè il fatto non
costituisce reato
letto l'articolo 262 c.p.p. , ordina il dissequestro e la restituzione a Tizio
di tutto il materiale in sequestro.
Torino 13 luglio 2000
il giudice
Alessandro Scialabba
(Testo tratto da www.andreamonti.net) |