E se intanto si abolisse lo scatto
alla risposta?
di Manlio Cammarata - 06.09.01
Per la serie "Internet, ma quanto mi costi?" ci sono due novità.
La più recente è che Telecom Italia ha reso nota la propria offerta per i
provider relativa ai numeri "709": 20 lire al minuto (più oneri
vari), da rivendere agli utenti finali. La notizia si commenta da sé,
considerando che la normale chiamata urbana costa 31 lire al minuto e l'accesso
all'internet offerto dalla stessa Telecom agli stessi utenti finali con la
formula "Teleconomy" è di 15 lire al minuto.
L'altra, più interessante notizia è che l'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni ha aperto una "Consultazione
pubblica: indagine conoscitiva riguardante le condizioni di offerta per
l'accesso ai servizi Internet". Che cosa vuole sapere l'Autorità? E'
necessario scorrere il lungo e complicato documento fino all'allegato per scoprire che si tratta della
FRIACO (Flat Rate Internet Access Call Origination), cioè dell'accesso
all'internet "a tariffa piatta" (flat rate). Una questione
importante, che negli ultimi tempi ha suscitato molte polemiche: i primi
provider che hanno provato a offrire abbonamenti a tariffa fissa, ormai
indispensabili per la diffusione e il miglior uso della Rete, hanno ottenuto
risultati disastrosi. La ragione principale è nel fatto che, previsto un certo
rapporto modem/abbonati, il primo di questi che trovava la linea libera restava
attaccato 24 ore su 24, o comunque per periodi molto lunghi, lasciando a bocca
asciutta tutti gli altri.
Colpa, in buona parte, di un'informazione quantomeno sbagliata: accesso senza
limiti di tempo 24 ore su 24 non può significare che un singolo utente può
stare attaccato in continuazione, soprattutto pagando un canone molto basso in
relazione al costo del servizio. Canone basso, anche perché a questi operatori
la solita Telecom Italia ha praticato una tariffa più contenuta di quella
standard pagata dagli altri. Che hanno protestato, come è ovvio, provocando
l'intervento dell'AGCOM (che avrebbe fatto bene ad occuparsi della cosa già
molto tempo fa).
Sarà interessante vedere come l'Autorità concilierà i vari e contrapposti
interessi in gioco (i primi dovrebbero essere quelli degli abbonati), risolvendo
un problema molto complesso e, come vedremo tra poco, già sul punto di essere
superato dall'evoluzione tecnologica, almeno per la maggior parte degli utenti.
Per capire i termini della questione è necessario avere un'idea di quanti
passaggi siano necessari per un collegamento e di come questi passaggi
influiscano sul costo del servizio e quindi sul prezzo all'utente finale. Lo
schema è molto più complicato di quanto possa apparire a prima vista.
Cerchiamo di semplificare al massimo la descrizione della filiera,
partendo dall'ipotesi di una banale telefonata urbana, normale o ISDN, da un
utente a un altro.
Dal telefono del chiamante parte un filo (il famoso "doppino") che
costituisce il cosiddetto "ultimo miglio". E' l'unico tratto della
connessione in permanenza a disposizione dell'utente, che lo usi o no, e per
questo è pagato con il canone di abbonamento, almeno in linea di principio
Tutti i doppini degli utenti di una stessa zona arrivano a punto di raccolta (stadio
di linea, SL). Da qui parte un cavo che trasporta i segnali a una centrale (SGU,
stadio di gruppo urbano), dal quale, nella maggior parte dei casi, vanno
a un altro SGU, che li rimanda allo SL al quale è connesso l'ultimo miglio del
destinatario della chiamata. In tutto sono cinque passaggi, tranne nei rari casi
in cui gli SL ai quali sono connessi i due utenti facciano capo allo stesso SGU
(statisticamente sono pochissimi i casi in cui sono ambedue collegati allo
stesso SL). Ma ci sono anche situazioni in cui si aggiungono altre due tratte,
quando tra uno SGU e l'altro occorre passare attraverso uno stadio di gruppo
di transito (SGT). A ogni passaggio i segnali vengono variamente
"spacchettati" e "impacchettati" con costose
apparecchiature.
Ogni passaggio comporta un costo, che ha due componenti: il transito dei
segnali sulle linee, che si paga a tempo, e le porte degli stadi
intermedi, che si pagano invece con un canone mensile o annuale, indipendente
dal volume di traffico. Ogni porta serve un determinato numero di linee.
In un mercato liberalizzato ciascuno dei componenti della filiera può
appartenere a un operatore diverso. Quindi c'è un costo (la tariffa di
interconnessione) che di volta in volta viene pagato dall'operatore dal quale è
originata la chiamata a quello sul quale la chiamata stessa è diretta, anche
nei passaggi intermedi.
A questo punto si incomincia a capire il senso di alcuni quesiti che l'AGCOM
pone nella consultazione pubblica: il costo effettivo di una chiamata è il
risultato di un calcolo molto complesso, nel quale entra un grande numero di
variabili.
Un aspetto importante è costituito dalla capacità dei circuiti e dal numero
delle porte che vengono affittate per fornire il servizio: ogni operatore si
deve procurare una capacità sufficiente per un certo volume di traffico di
picco, con il risultato che nei periodi di minore impiego la capacità non viene
sfruttata completamente: dunque il prezzo del servizio offerto all'utente è
superiore a quello teoricamente basato sul costo della singola fornitura,
perché è necessario coprire anche i periodi in cui i circuiti sono sfruttati
poco o pochissimo.
Ma fino a questo punto abbiamo parlato di telefonate, cioè di servizi
vocali. Quando si passa all'accesso all'internet la questione si complica:
infatti al termine della chiamata non c'è un telefono che squilla, ma un modem
dell'internet service provider (in realtà di solito gli ISP non sono collegati
agli SL, ma direttamente agli SGU, la sostanza non cambia granché).
Invece in molti casi cambia e si complica ulteriormente lo schema del costo
della connessione, perché si introduce la "inversione della titolarità
della tariffa di interconnessione", cioè la cosiddetta
"retrocessione": il provider riceve una parte del ricavato di
chi la ha originata. Questo è il noto meccanismo alla base della free
internet, che ha accelerato lo sviluppo dell'uso della Rete in Italia. In
sostanza i provider hanno potuto offrire gratis un servizio, spesso di buona
qualità, grazie alle poche lire al minuto "stornate" da Telecom
Italia sul prezzo delle connessioni pagate dagli utenti. Un sistema, però, che
non può durare all'infinito.
Con le tariffe flat (ecco che arriviamo al punto!) l'abbonato paga all'ISP
sia il costo della connessione (che di fatto, come abbiamo visto, è la somma di
una serie di interconnessioni), sia i diversi servizi forniti dallo stesso ISP:
l'uso delle macchine, il costo delle linee in uscita ecc. Tra queste voci è
particolarmente rilevante quella relativa alla "porta", cioè al modem
che è impegnato da un singolo abbonato (uno alla volta!). Tra i tanti costi
sostenuti dall'ISP quello della porta è uno dei più rilevanti, perché se
tutto il sistema di accesso non è dimensionato in funzione del numero dei
modem, i servizi rallentano. Comunque, uno dei parametri della qualità del
servizio di un provider è proprio il numero dei modem in relazione al numero
degli abbonati, calcolato sulla base del tempo medio di connessione degli
abbonati stessi: oggi si può rendere un servizio di buona qualità con valori
intorno a un modem ogni quindici abbonati e il numero diminuisce a mano a mano
che si allunga il tempo medio di connessione di ogni utente.
Se l'abbonato resta attaccato in continuazione, deve avere un modem tutto per
sé, il costo per l'ISP sale alle stelle e il servizio non può essere reso a un
prezzo ragionevole: ecco spiegato il fallimento iniziale delle tariffe flat. E'
necessario trovare soluzioni che consentano all'utente di connettersi pagando
una cifra indipendente dal tempo, ma in modo di poter condividere le stesse
risorse con altri utenti.
Come si vede, il problema è maledettamente complesso e si capisce perché
l'AGCOM abbia posto tante e così specifiche richieste alla base della
consultazione pubblica per la FRIACO.
Quali sono le possibili soluzioni del problema? A prima vista si può pensare
che una drastica diminuzione delle tariffe di interconnessione, dei canoni per
le linee dedicate e degli altri oneri possa far scendere i costi degli ISP a
livelli tali da rendere possibile un rapporto sostenibile modem/utenti, in
combinazione con sistemi che "scoraggino" o rendano impossibile la
connessione 24 ore su 24. Tuttavia il salto da compiere appare piuttosto lungo,
se proprio non si vuole parlare di quadratura del cerchio.
In realtà tutto il sistema della flat deve essere considerato come una fase
transitoria, perché la soluzione definitiva del problema è nell'uso delle
connessioni xDSL. Infatti questi sistemi sono molto più economici, perché
consentono risparmiare le costosissime operazioni di "impacchettamento"
e "spacchettamento" dei dati che avvengono nei vari stadi che abbiamo
descritto prima. Quando la chiamata xDSL arriva allo stadio di linea, viene
direttamente trasmessa sulla rete ATM (Asinchronous Transfer Mode). L'ATM
è una specie di enorme tubo, nel quale si possono immettere e dal quale si
possono prelevare i dati con procedure software, senza la necessità delle
costose centrali di commutazione. Dal lato del provider non ci sono più i
modem, ma un "bocchettone" nel quale tutte le connessioni arrivano
insieme: se è dimensionato correttamente e se anche il sistema "a
valle" è adeguato ai flussi dei dati, la connessione 24 ore su 24 non è
più un problema.
Il punto critico è che per fornire i servizi xDSL è necessario installare
le relative apparecchiature negli stadi di linea esistenti, che in Italia sono
ben 10.500, e questo richiede un certo tempo. Telecom Italia ha annunciato che
entro la fine del 2002, cioè tra quindici mesi, potrà essere servito
l'ottantacinque per cento della popolazione.
Ora consideriamo i tempi che saranno ragionevolmente necessari affinché l'AGCOM
concluda la consultazione, ne tragga le conseguenze, metta a punto le misure
opportune (discutendole con gli interessati), emani la conseguente delibera
assegnando un termine congruo a Telecom Italia per metterla in pratica, e non
calcoliamo i possibili ricorsi che potrebbero rallentare non poco il percorso:
si arriva facilmente a una data vicina a quella in cui l'ADSL sarà disponibile
per buona parte degli italiani!
Resterà comunque il problema di quel quindici per cento della popolazione
che non potrà avere l'ADSL in tempi relativamente brevi: per costoro la FRIACO
sarà l'unica soluzione possibile, anche se con una larghezza di banda molto
inferiore. Si ripeterà quindi il digital divide che ha contraddistinto
il nostro Paese fino a poco tempo fa, quando i residenti nei piccoli centri in
molti casi non potevano avere l'accesso pagando la tariffa urbana.
Nel frattempo, però, si potrebbe fare qualcosa per rendere meno costose le
connessioni dial-up di tutti gli utenti abolendo il balzello costituito dallo
scatto alla risposta (che tuttavia costituisce una parte rilevante degli
introiti degli operatori di rete) . Per capire l'importanza di questa voce di
costo, si consideri il caso di un normale abbonato che si colleghi diverse volte
al giorno per un minuto, per controllare la posta e scaricare ogni volta tre o
quattro messaggi: un minuto di TAT urbana costa 37,20 lire (IVA compresa), più
120 lire di scatto alla risposta fanno 157 lire al minuto effettive!
Per ammortizzare lo scatto iniziale, l'abbonato è portato a prolungare il
collegamento oltre il tempo strettamente necessario, mentre senza il balzello le
connessioni sarebbero più brevi, con la conseguenza di un uso più efficace
delle risorse della rete.
A questo punto non resta che aspettare gli sviluppi della situazione.
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