Ma la banda deve essere soprattutto
"lunga"
di Manlio Cammarata - 04.09.02
La larga banda s'ha da fare. Lo dicono tutti, lo conferma uno dei più
autorevoli esperti della materia: Francesco Chirichigno, già amministratore
delegato di Telecom Italia e oggi consulente del ministro delle comunicazioni :
"Il governo, e in particolare il presidente del consiglio e i due ministri
(Gasparri e Stanca, ndr)che hanno fatto elaborare il piano, è convinto
che senza larga banda non c'è assolutamente modernizzazione dell'Italia"
(vedi l'intervista). Il piano è quello presentato
il 15 novembre 2001, che ha suscitato un diffuso consenso per l'accuratezza del
quadro e la chiarezza delle prospettive (scaricabile da qui in formato PDF, 242kb) .
Ma nel Documento di programmazione economica e finanziaria, presentato in
luglio, delle conclusioni del piano non c'è traccia e la larga banda e le
tecnologie dell'informazione nel loro insieme hanno pochissimo spazio. Se il
DPEF è il testo-chiave in cui il Governo espone le sue linee politiche di
fondo, da concretizzare nella legge finanziaria, la società dell'informazione
resta uno slogan a effetto, privo di contenuti reali.
Risponde il Ministro per l'innovazione e le tecnologie: "A contare le righe si può essere
fuorviati. Nel corso di questi dodici mesi l'impegno del governo nello
studiare a fondo e nell'individuare e favorire lo sviluppo della larga banda
in Italia non è mai venuto meno. Ora, bisogna vedere nel processo delle
allocazioni finanziarie, nell'ambito delle ristrettezze che realisticamente ci
sono, di avere un sufficiente spazio per sviluppare le attività che abbiamo
individuato" (Punto Informatico
del 27 luglio).
Precisa Chirichigno nell'intervista
di InterLex "Il DPEF è un'indicazione molto sommaria e non completa
(e non completamente condivisibile), che entro il mese di settembre dovrà
essere riempita di contenuti, di cifre e di date". Ma, aggiunge più
avanti, "fermo restando che le casse dello Stato al momento sono piuttosto
in secca".
E allora? Ci terremo, anzi accentueremo il digital divide, il divario
digitale tra le zone (o le microzone) d'Italia già economicamente sviluppate e
quelle meno forti?
Le risposte del piano ministeriale, illustrate anche da Chirichigno
nell'intervista, non sono del tutto convincenti. La speranza che il ruolo di
apri-pista possa essere svolto dalle pubbliche amministrazioni delle aree meno
sviluppate appartiene forse al libro dei sogni. Non si vedono vie d'uscita
nell'attuale assetto del sistema, conseguente a una liberalizzazione mal fatta e
a una visione ultra-liberista del mercato, dove lo Stato ha di fatto
rinunciato al proprio ruolo di programmazione e promozione dello sviluppo in un
settore-chiave come quello delle telecomunicazioni. Le decisioni sulle politiche
della crescita di infrastrutture vitali per il sistema-paese non possono essere
lasciate agli operatori commerciali, che decidono sulla base del puro tornaconto
economico, tanto più se nel settore esistono ancora posizioni di sostanziale
monopolio.
In tutto questo c'è un aspetto molto importante, che nessuno sembra
considerare con la necessaria attenzione. Anzi, viene generalmente ignorato.
"Larga banda" non significa solo tanti bit al secondo, applicazioni
multimediali, interattività spinta. Sotto questo punto di vista oggi la larga
banda è addirittura inutile, o almeno poco utilizzabile, per mancanza di
applicazioni (anche se è vero che nessuno si mette a sviluppare applicazioni se
non c'è l'infrastruttura per usarle). C'è un fondamentale vantaggio nelle
tecnologie xDSL che portano la larga banda all'utente, rispetto ai collegamenti
tradizionali: consentono di essere always on (sempre collegati) a un
costo fisso e contenuto. Liberano cioè l'utente dall'incubo del tempo che
scorre, pagato a caro prezzo secondo dopo secondo.
Allo stato attuale della diffusione dei servizi telematici, è più
importante diminuire il costo dei collegamenti con la banda attuale che
allargare la banda stessa. Tutte le informazioni e quasi tutti i servizi che
oggi sono disponibili in rete possono essere tranquillamente usati con una linea
ISDN a 64 kbit/s. Fanno eccezione i film e altri contenuti multimediali
"pesanti", che tuttavia costituiscono un'offerta del tutto marginale e
comunque non ancora necessaria per le attività economiche e di studio. E'
necessario fare in modo che una piccola impresa, un professionista o uno
studente possano stare on line per alcune ore al giorno senza che la bolletta
raggiunga importi astronomici.
Insomma, la banda deve essere "lunga" prima ancora che
"larga".
Diminuire la tariffa a tempo può servire, ma non tanto. Fatti due conti, ci
si accorge che la voce più pesante nella bolletta telefonica spesso non
è il tempo di connessione, ma la somma degli "scatti alla risposta"
(che per di più che nessuno rimborsa quando il collegamento non riesce).
Inoltre, se si abolisse lo scatto e si pagasse solo il tempo di collegamento
effettivo, le infrastrutture potrebbero essere utilizzate in misura molto più
efficiente. Ma è noto (anche se nessun rapporto lo scrive con la necessaria
chiarezza) che una quota molto consistente del guadagno dei gestori delle reti
è costituito dagli scatti iniziali, una specie di tassa a fondo perduto che non
corrisponde ad alcun servizio effettivo. E i gestori non sono disposti a
rinunciare a questo introito, senza il quale i loro conti soffrirebbero non
poco.
E qui si ritorna alla domanda di fondo: non deve lo Stato intervenire, anche
finanziariamente, per promuovere il superamento dei "colli di
bottiglia" che frenano lo sviluppo del Paese? Non ci sono soldi da
investire nella larga banda? Diciamolo con chiarezza: per collegare in larga (o
"lunga") banda ogni più remoto angolo della Penisola serve una cifra
che è una frazione di quella prevista per il progettato ponte sullo Stretto di
Messina, per il quale sembra che i soldi ci siano.
Si deve allora stabilire se è prioritario accorciare di meno di un'ora il
tempo necessario per spostare di tre chilometri uomini e merci, con qualche
vantaggio reale solo per le industrie costruttrici e per gli abitanti delle zone
interessate, o spendere una cifra molto più contenuta per muovere
rapidamente i bit da e per ogni angolo d'Italia e del mondo.
Cioè dobbiamo decidere se vogliamo entrare nella società dell'informazione o
se preferiamo arrancare faticosamente dalla parte sbagliata del digital
divide. |