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 Telecomunicazioni

Accesso a Internet e diritto all'informazione
di Manlio Cammarata (13.10.97)

Il governo Prodi è caduto (ma forse risorge) senza aver mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale e ripetuta più volte: una tariffa agevolata per l'accesso a Internet.

Ripercorriamo brevemente la storia. Alla base del programma elettorale dell'Ulivo c'erano ottantotto "tesi", che cercavano di tracciare un progetto per lo sviluppo della società italiana. Le tesi numero 51 e 52 erano intitolate, rispettivamente, "L'informazione" e "Il futuro delle telecomunicazioni": la divisione in due diversi punti di un argomento che gli osservatori di tutto il mondo consideravano già da tempo come unitario rivelava subito una visione poco aggiornata del problema, mentre i contenuti suscitavano una forte protesta del "popolo telematico". L'Ulivo rispondeva con due documenti, "Società delle comunicazioni e mercato globale" e "Patto per la telematica", nel quale era contenuta la chiara promessa di una "tariffazione ridotta per gli usi telematici".
Con l'apparente intenzione di mantenere la promessa, il Governo varava il
decreto del 28 febbraio '97 che prevedeva la possibilità di accesso a Internet a "condizioni promozionali". Condizioni che suscitavano un nuovo coro di proteste, sicché un successivo decreto del 16 maggio sospendeva gli effetti del precedente.
Si attendeva qualche novità in occasione del
Summit della comunicazione, organizzato a Napoli da Telecom Italia ai primi di luglio, e la novità era una doccia fredda: una nota del gestore nazionale delle TLC affermava che di tariffe agevolate per l'accesso a Internet non era neanche il caso di parlare, visto che l'ottanta per cento della popolazione italiana può collegarsi a Internet alla tariffa urbana e che questa è la più economica d'Europa. Da allora il silenzio, se si trascurano rinnovate promesse governative e i "si dice" filtrati da riservatissime riunioni al Ministero delle comunicazioni.

Ma con un recente spot televisivo, proprio mentre sembra imminente il varo di un nuovo decreto tariffario, Telecom Italia ha ripreso il tema della presunta economicità dell'accesso a Internet per gli utenti italiani, provocando nuove proteste. Delle quali si è fatta interprete ancora una volta l'associazione La città invisibile, avversaria storica del nostro gestore, con una denuncia al Garante per la concorrenza e il mercato (si veda l'articolo di Antonio Scuteri sul sito della Repubblica).
"Pubblicità ingannevole", dice l'associazione, e allega una serie di tabelle che dimostrano, sulla base di dati forniti dall'autorevole OECD di Parigi, che i costi di connessione a Internet in Italia non sono "tra i più bassi in Europa", come afferma lo spot.
Pronta la
replica di Telecom Italia, corredata di altre tabelle e sofisticati "distinguo" a sostegno delle proprie affermazioni. Non si parla, questa volta, del presunto ottanta per cento di italiani che accederebbero a Internet alla tariffa urbana, probabilmente perché questo dato dovrebbe cambiare con l'imminente riorganizzazione della rete telefonica. Infatti l'annunciato dimezzamento del numero dei settori in cui è divisa la rete farà crescere il numero di utenti che avranno un POP (punto di presenza) di un Internet provider nel proprio settore.

Ora non è il caso di addentrarsi in complicati raffronti di tabelle (ci penserà l'Autorità anti-trust), ma è bene considerare il problema nei suoi aspetti generali.
Il primo punto da considerare è se sia utile che vengano introdotte facilitazioni nell'accesso a Internet e chi debba decidere su queste. Il Governo dice che queste agevolazioni ci devono essere, Telecom Italia afferma il contrario. Fino a ora è prevalsa la posizione di Telecom e questo è inconcepibile in una nazione democratica.
A questo aspetto si aggiunge la particolare posizione dell'ancora monopolista di fatto, che è nello stesso tempo concorrente e fornitore degli Internet provider privati, e può agire (entro certi limiti) sulle tariffe di interconnessione di questi ultimi alle reti per assicurarsi un vantaggio economico nella fornitura dei servizi agli utenti, oltre che intraprendere campagne promozionali che questi ultimi non possono permettersi.
Infine c'è il problema degli utenti che potremmo chiamare "disagiati", quelli che non hanno un punto di accesso nel settore telefonico in cui risiedono e devono quindi connettersi pagando una tariffa interurbana, molto onerosa se si considera che è difficile concludere in pochi minuti una sessione di ricerca e acquisizione di documenti su Internet.

La prima questione è di natura politica e non c'è dubbio che una decisione di questa portata sia di competenza del Governo o del Parlamento. Se è vero che l'accesso alla Rete da parte del maggior numero possibile di cittadini e di imprese costituisce una fondamentale opportunità di crescita culturale ed economica per il nostro paese, l'introduzione di tariffe agevolate favorisce senza dubbio questa opportunità. Non si deve dimenticare, fra l'altro, che la diffusione dell'uso delle tecnologie favorisce la creazione di nuovi posti di lavoro, come è stato ripetutamente sottolineato dall'Unione europea e come è dimostrato dalle esperienze di altri paesi.

Sul secondo punto, che riguarda la posizione dominante di Telecom Italia e le sue politiche di mercato, la questione riguarda l'Autorità anti-trust e, in prospettiva, la nascente Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (i cui compiti, nell'attesa, dovrebbero essere assolti dal Ministero delle comunicazioni). Ma qui si vedono, e si vedranno ancor più nel futuro a medio termine, i difetti di una riforma delle telecomunicazioni che ha deliberatamente ignorato il problema della "integrazione verticale", l'ampia facoltà di proporre servizi lasciata ai gestori delle reti strenuamente difesa da Telecom Italia. Una "regolamentazione asimmetrica", con limiti temporanei, ma reali ed efficaci, all'espansione dei soggetti detentori di una posizione di dominio del mercato, eviterebbe questi problemi. Ma il legislatore italiano ha rimandato alle decisioni future della futura Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ogni decisione in merito, e nel frattempo il gestore pubblico può espandere la sua influenza sul mercato dei servizi Internet, agendo come un operatore privato e a danno dei veri operatori privati.

E siamo alla terza, più importante questione, che supera la contingenza della politica per investire il più alto campo dei diritti dei cittadini. Perché se l'introduzione di una tariffa agevolata per l'accesso a Internet è un problema che può essere risolto in senso positivo o negativo sulla base di considerazioni politiche, il diritto di accedere alle fonti di informazione a pari condizioni per tutti non può essere subordinato né agli equilibri parlamentari né agli interessi del proprietario delle infrastrutture.
In altri termini il problema non è quello di uno "sconto" sul prezzo di connessione (che riguarderebbe, da quanto sembra, solo i collegamenti a tariffa urbana), ma il fatto che un non trascurabile numero di utenti pagherebbe l'informazione una cifra molto più alta di quella pagata dalla maggioranza degli abbonati a Internet.
Ora si dice che l'annuciata riduzione del numero dei settori telefonici renderà più facile per gli Internet provider (Telecom compresa) la creazione di punti di presenza che coprano tutto il territorio. E' vero, mettere in piedi seicentotrenta strutture è più facile che installarne quasi millequattrocento. Ma quanto tempo dovrà passare prima che in tutti i settori sia presente almeno un POP? E' facile prevedere che resteranno ultimi, forse per anni, proprio i settori in cui l'economia è più fragile e l'istruzione meno diffusa, aggravando così le differenze tra le zone avanzate e quelle più arretrate del territorio.

Il "diritto all'informazione", sancito dall'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e riconosciuto dalla giurisprudenza della nostra Corte costituzionale, anche se non definito specificamente nella Costituzione stessa, deve essere uguale per tutti. E se oggi "diritto all'informazione" significa in buona parte "diritto di accesso a Internet", tutti i cittadini devono poter accedere a Internet a pari condizioni.
Nel mondo di oggi, e in quello che possiamo ragionevolmente immaginare per il prossimo futuro, la diversa possibilità di accedere alle informazioni è, e sarà, un elemento discriminante per la crescita degli individui. La divisione della società in due classi, gli "info-ricchi" e gli "info-poveri", passa anche per le tariffe di accesso a Internet.