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 Il diritto di accesso

Accesso alle leggi e pari opportunità: due facce della stessa medaglia
di Manlio Cammarata - 19.02.98

Due notizie importanti giungono dai palazzi della politica. Sono solo in parte buone notizie, che devono essere valutate con molta prudenza.
La prima viene dalla Lista Pannella, che ha aperto una discussione sul tema "Nuove tecnologie e nuove frontiere della democrazia", nella quale al primo punto si pone "La necessaria pubblicità delle attività e degli atti degli organi dello Stato e degli Enti pubblici territoriali: da Radio Radicale a Internet - passando per il satellite".
La seconda notizia è sul calendario dei lavori della Camera dei Deputati: il 24 febbraio prossimo alla IX Commissione permanente si aprirà il dibattito su una proposta di legge intitolata "Agevolazioni per l'accesso alla rete INTERNET".

Due temi essenziali per lo sviluppo della democrazia moderna, su quali la nostra rivista è in prima linea con approfondite discussioni e proposte(1). Dunque non possiamo che rallegrarci del fatto che "il Palazzo" si sia finalmente accorto di questi problemi e - in un modo o nell'altro - incominci ad occuparsene. Anche se è singolare che, dopo le non ancora mantenute promesse pre-elettorali del Governo, l'iniziativa venga dall'opposizione (la Lista Pannella per la diffusione degli atti, mentre il progetto di legge sulle agevolazioni è di iniziativa dei deputati Gasparri e Bocchino, di Alleanza nazionale). Ma vediamo i contenuti.

Le dimensioni del problema

La discussione avviata dalla Lista Pannella riguarda diversi temi connessi all'uso delle tecnologie come strumenti di democrazia e parte proprio dal diritto di accesso alle informazioni pubbliche, con in primo piano le leggi e la pubblicità di tutti gli atti degli organi dello Stato. Si legge nella home page: La pubblicità delle attività e degli atti degli organi dello Stato e degli enti pubblici territoriali è elemento costitutivo della democrazia: essa oggi è, nei fatti, negata.
Occorre che immediatamente leggi e stanziamenti intervengano perché le nuove tecnologie diventino costitutive dell'esercizio della democrazia, prima che operino invece per il suo annullamento.
Se non verrà garantita - con tutti i mezzi oggi disponibili - la possibilità teorica per ciascuno di avere accesso diretto alle informazioni sui processi decisionali, non si potrà più nemmeno parlare di affermazione dello Stato di diritto
.
E' difficile non condividere queste affermazioni, (vedi i numerosi interventi nell'
indice di questa sezione, e in particolare l'ultimo di Daniele Coliva). Ma il consenso diventa meno convinto quando si legge il documento di apertura del convegno Nuove tecnologie e nuova frontiera della democrazia, nel quale si mescolano principi di ordine generale e interessi di parte, con indicazioni anche esagerate o stravaganti, come i "milioni di bancari" o le "decine e centinaia di migliaia di miliardi" che dovrebbero essere investite nell' informatica e nella telematica.

Queste affermazioni sono pericolose, perché da una parte possono far perdere di vista la sostanza del problema, dall'altra possono ingigantirlo e quindi renderne più difficile la soluzione. Gli investimenti necessari per mettere on-line gli atti dello Stato, in primo luogo i testi normativi, sono di dimensioni abbastanza modeste, in qualche caso addirittura dell'ordine delle centinaia di milioni, e quindi non richiedono la "riconversione dei bilanci pubblici": porre la questione in termini di questa portata significa rimandarne sine die l'attuazione.
La
proposta di mozione avanzata nella prima sessione dei lavori è più misurata; si tratta ora di vedere a quali conclusioni porterà il dibattito. La sessione conclusiva si svolgerà tra il 13 e il 16 marzo con il tema "Internet, responsabilità e libertà".

Una strada impraticabile

Ed eccoci alla seconda notizia: l'avvio della discussione della proposta di legge "Agevolazioni per l'accesso a Internet" (atti Camera n. 2958) alla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni.
In sostanza nei tre articoli si dice che: a) gli abbonati devono poter accedere ai provider attraverso la rete pubblica commutata pagando il solo scatto alla risposta (quindi senza un costo che tenga conto del tempo di connessione); b) le società concessionarie del servizio telefonico pubblico (leggi: Telecom Italia) devono fornire la connettività ai provider "in modo non discriminatorio"; c) che il costo dei circuiti diretti tra i provider e la rete pubblica non devono essere in relazione alla lunghezza del collegamento, ma solo alla capacità.

La proposta reca la data del 10 gennaio 1997, ma dalla lettura della relazione sembra vecchia almeno di un anno, perché parla di "monopolio" e riporta dati largamente superati, ma non è questo il motivo più importante per il quale potrebbe cadere nel nulla. Il principio della non discriminazione sia tra gli utenti, sia tra i fornitori, è sacrosanto, ma non è realizzabile nel modo prospettato.
Infatti la proposta riprende, anche se solo per quanto riguarda la connessione a Internet, la richiesta di abolizione della tariffa urbana a tempo (TUT), che è molto suggestiva e solo apparentemente corretta dal punto di vista tecnico. I motivi che si oppongono a questa scelta sono molti e insuperabili:
1) Da un punto di vista di principio, appare logico che chi utilizza di più una risorsa come la rete telefonica paghi un prezzo superiore a quello che paga chi la utilizza di meno. Questo, sotto il profilo tecnico, vale più per il tempo di occupazione della rete che per la distanza.
2) Se non c'è un prezzo proporzionale al tempo di connessione, molti utenti potrebbero restare collegati in permanenza o per durate eccessive, usufruendo di fatto di una linea dedicata al prezzo di uno scatto urbano. Che le linee dedicate in Italia costino troppo è un fatto, ma renderle disponibili a tempo indeterminato al prezzo di uno scatto è impensabile.
3) Può non essere facile, anche alla luce della normativa europea, l'imposizione per legge di un onere non compreso nel quadro del servizio universale a carico degli operatori di telecomunicazioni, nel contesto dell'ormai iniziata liberalizzazione (è di ieri la notizia delle licenze individuali rilasciate a Wind e a Infostrada per la telefonia vocale).

Due principi, un solo diritto

In sostanza ci troviamo di fronte a due principi che si rinforzano a vicenda. Da una parte il diritto di conoscere anche per via telematica tutti gli atti di pubblico interesse, sostenuto da anni dagli studiosi del diritto, che sta entrando anche nella coscienza politica. Dall'altra le pari opportunità di accesso a Internet, che sono già espresse nel testo di una legge dello Stato, anche se con il limite dell'applicabilità agli istituti scolastici.
A ben guardare, quello che abbiamo chiamato "diritto di accesso alla legge" non si può realizzare senza le pari opportunità, cioè uguali prezzi di connessione, indipendentemente dalla località in cui risiede il cittadino e dalla sua distanza da un punto di accesso. Nello stesso tempo, l'affermazione delle pari opportunità trova maggior forza proprio nel riconoscimento del diritto di conoscere gli atti di pubblico interesse.

E' dunque venuto il momento di considerare questi due principi come parti di un unico problema, che a questo punto possiamo chiamare semplicemente "diritto di accesso telematico" e che comprende sia i contenuti (leggi, regolamenti, resoconti, sentenze e quant'altro), sia le pari condizioni economiche per la connessione alla Rete. Quindi, senza disconoscere i meriti di fondo delle proposte citate in questo articolo, dobbiamo avanzare una proposta nuova: una normativa generale per promuovere e diffondere l'uso di Internet. Da una parte questa normativa dovrà regolare le condizioni di connessione e accesso, assicurando la parità di condizioni tra gli utenti e la parità di condizioni tra i fornitori, con un livello sostenibile delle tariffe di interconnessione sui circuiti diretti. Dall'altra dovrà stabilire le regole per assicurare a tutti la disponibilità dei contenuti la cui conoscenza è essenziale per un corretto sviluppo della società dell'informazione.

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