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Firma digitale

Il magistrato: scritto e trascritto, ma non sottoscritto

di Gianni Buonomo* - 29.01.04

 
L'asprezza del dibattito che si è sviluppato nelle ultime settimane intorno al tema del valore probatorio dei messaggi di posta elettronica (e, in generale, sul valore probatorio del documento informatico) è direttamente proporzionale alla complessità del quadro normativo di riferimento, inutilmente complicato da continue modifiche legislative e regolamentari, che hanno, nel caso del decreto legislativo n. 10 del 2002, con incredibile disinvoltura stravolto l'intero sistema delle prove documentali su cui si fonda il processo civile.

Si è giunti così ad affermare (è la tesi sostenuta dalla difesa di una società commerciale di Cuneo per ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo) che ". è pacifico che l'email costituisca un documento informatico sottoscritto con firma elettronica in quanto il mittente, per poter creare ed inviare detta email, deve eseguire un'operazione di validazione inserendo il proprio username e la propria password; e tale documento soddisfa altresì il requisito legale della forma scritta ." (vedi il punto 11 del ricorso).
Prima che i tribunali d'Italia siano inondati da richieste di emissione di decreti di ingiunzione fondate su messaggi di posta elettronica (e prima che a qualcuno venga l'idea di inviarsi, attraverso un remailer anonimo, una promessa di pagamento a mio nome) mi sembra opportuno cercare di fare un po' di chiarezza.

Com'è noto, perché uno scritto abbia valore di prova nel processo è necessario che esso possa attribuirsi con certezza al suo autore. E' questa (come del resto indica l'origine del nome) la funzione tipica della "firma", un segno apposto sullo scritto con cui (per tradizione inveterata tipica degli ordinamenti giuridici di diritto continentale) il firmatario dichiara di riconoscere il contenuto del documento, lo fa proprio e assume su di sé le conseguenze giuridiche connesse col valore giuridico dello scritto.
La sottoscrizione autografa di un documento, per la sua funzione di individuazione dell'autore del documento stesso, costituisce un elemento essenziale di ogni scrittura privata, nel senso che solo la scrittura firmata "fa piena prova, sino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritta" (art. 2702 c.c.) e solo il documento che contenga una firma riconosciuta (o non disconosciuta) dal suo autore è utilizzabile in giudizio come prova di un fatto giuridicamente rilevante.

Se al momento di esibire in giudizio la prova del mio credito (costituita dalla dichiarazione scritta del mio debitore) il firmatario del documento disconosce la firma apposta sullo scritto, la scrittura perde la sua efficacia di prova (e il giudice dovrà attendere i risultati della procedura incidentale di verificazione della firma per attribuire valore probatorio al documento) a meno che la scrittura privata non sia "legalmente considerata come riconosciuta" secondo le disposizioni del codice civile (art. 2702, ultimo comma, c.c.). E' questo il caso delle sottoscrizioni che sono apposte in presenza di un notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato, previa identificazione della persona che sottoscrive: le sottoscrizioni così autenticate si presumono riconosciute (cioè non possono essere disconosciute) e possono essere utilizzate in giudizio senza timore che l'autore della sottoscrizione neghi l'autenticità della firma, togliendo al documento il valore di prova.

In questo schema si inserisce il valore probatorio del documento informatico, che differisce dal documento cartaceo. in nulla (a parte il supporto non cartaceo).
E' noto che il primo regolamento autorizzato, emanato in attuazione dell'articolo 15 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (secondo cui "Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, . sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge.") stabiliva, con perfetta simmetria rispetto alle disposizioni codicistiche, che "Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale . ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell'art. 2702 del codice civile" e che tale norma fu recepita perfettamente nel testo unico sulla documentazione amministrativa emanato nel 2000, prima delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 10 del 2002.

Questo criterio storico-sistematico deve guidare, pertanto, l'interprete nella lettura dell'attuale disposizione dell'articolo 10 del d.P.R. 445/2000 che dispone al secondo comma che "Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta" e, al quarto comma, che "Al documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, in ogni caso non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di prova unicamente a causa del fatto che è sottoscritto in forma elettronica" in attuazione della direttiva 1999/93/CE sulle firme elettroniche.

Non è - questa - la sede per approfondire le differenze tecniche e giuridiche che intercorrono tra la firma elettronica (che è un insieme di dati elettronici "allegati oppure connessi tramite associazione logica" ad altri dati elettronici utilizzati come metodo di autenticazione informatica) e la firma digitale, che resta, per taluni commentatori, l'unico strumento tecnologico idoneo a produrre - per il documento informatico - gli stessi effetti della sottoscrizione autografa apposta sulla scrittura privata (perché solo la firma digitale - a norma dell'articolo 1 lett. n del testo unico "consente al sottoscrittore . di rendere manifesta . la provenienza e l'integrità di un documento informatico").

Basterà ricordare, peraltro, che la firma elettronica non è - per sua stessa definizione - uno strumento finalizzato alla sottoscrizione del documento ma alla autenticazione informatica (orrendo neologismo anglo-informatico che significa - più o meno - identificazione, anche a distanza, con sistemi informativi automatizzati del soggetto abilitato a fruire di un servizio o ad utilizzare un sistema informatico).
Correttamente, Manlio Cammarata ed Enrico Maccarone hanno ricordato, su questa stessa rivista, che un sistema di firma elettronica tra i più usati nella realtà quotidiana è costituito dal codice personale del Bancomat, attraverso cui il cliente del circuito bancario si fa riconoscere dal sistema informatico come soggetto abilitato a fruire del servizio.

Allo stesso modo, dunque, la password inserita prima di accedere al servizio di posta elettronica serve all'utente di un servizio telematico per farsi riconoscere (non certo dal destinatario del messaggio, ma) dal fornitore del servizio al fine di utilizzare il sistema di inoltro e di ricezione della posta. Nei rapporti giuridici tra questi due soggetti (il fornitore del servizio di posta elettronica e l'utilizzatore) il codice utilizzato per richiedere l'accesso alla casella postale viene utilizzato soltanto per erogare il servizio e - in un certo senso - per "firmare" (nel senso sopra indicato) il registro degli accessi (che potrebbe essere utilizzato in caso di contestazioni o per fini di controllo).

La password inserita per accedere al servizio, in altri termini, non è una "firma" apposta o associata al messaggio di posta elettronica (col quale non ha alcun legame tecnologico, logico o giuridico) ma è - semmai - diretta al fornitore del servizio per ottenere l'adempimento del contratto: il motivo per cui il mittente del messaggio inserisce nel sistema la propria password non è costituito dalla volontà di "far proprio" il contenuto del documento, condividendone il contenuto ed assumendone su di sé le conseguenze giuridiche, ma dalla volontà di ottenere (da un soggetto diverso dal destinatario del messaggio) l'accesso al sistema che consente e garantisce l'inoltro a destinazione del messaggio.

Perché un documento informatico soddisfi il requisito della forma scritta, dunque, è necessario che esso sia sottoscritto con firma elettronica, cioè che ad esso sia (consapevolmente), da parte dell'autore dello scritto, apposta o associata in modo inscindibile e immodificabile una sequenza di caratteri verificabile e riconducibile all'autore del documento.

Un messaggio di posta elettronica, senza alcuna sottoscrizione, è - pertanto - un documento scritto (su supporto informatico), trascritto (per via telematica) ma non anche sottoscritto (perché non è firmato).
Per il codice di rito civile (art. 634) sono prove scritte idonee ad ottenere una ingiunzione di pagamento "le promesse unilaterali per scrittura privata": un messaggio di posta elettronica che non sia anche sottoscritto in forma elettronica non è una prova scritta, per il semplice motivo che (come ha affermato recentemente la Corte di cassazione nella sentenza n. 9289 del 2001), un documento privo di sottoscrizione non può avere efficacia di scrittura privata.
 

* Giudice presso il tribunale civile di Roma - Già componente della commissione AIPA sulla firma digitale

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