Solo una settimana fa, parlando degli Effetti
perversi di una legge "degradata", richiamavamo ancora una volta
l'attenzione sui "difetti" della normativa sul documento informatico.
Nello stesso giorno l'Agenzia delle entrate emanava la risoluzione N. 14/E, che
forse rappresenta il punto più basso raggiunto fino a oggi dalle disposizioni
che discendono dallo "storico" regolamento 513/97 sulla firma digitale.
La firma digitale (o elettronica), come ormai tutti dovrebbero sapere, è lo
strumento essenziale per la "dematerializzazione" dei documenti,
perché consente di attribuire ai documenti informatici gli stessi effetti di
legge propri dei documenti cartacei. In questi anni il legislatore si è
affannato a dettare regole su regole per la dematerializzazione dei documenti,
in particolare quelli della pubblica amministrazione, ritenendo che solo
attraverso la completa informatizzazione delle procedure sia possibile
raggiungere un livello almeno accettabile di efficienza. Purtroppo le
buone intenzioni non hanno trovato riscontro nelle regole via via emanate, tanto
che l'auspicato rinnovamento è rimasto in buona parte "sulla carta",
quella stessa carta che il processo di dematerializzazione vorrebbe eliminare. In
questo quadro la nuova "risoluzione" appare quanto meno bizzarra.
Prescrive infatti che le fatture "dematerializzate" vengano stampate
su carta, cioè "materializzate", per essere nuovamente
dematerializzate attraverso la scansione dell'immagine e quindi sottoposte al
processo di archiviazione sostitutiva. Una prima lettura del testo lascia una
vaga sensazione di delirio. L'analisi più attenta rivela la logica del
provvedimento: si tratta semplicemente dell'effetto di un combinato disposto di
norme tecnicamente non corrette e scoordinate. Il risultato paradossale di una
burocrazia incompetente e ottusa, ancora legata alla "cultura della
prassi" e impermeabile a ogni tentativo di evoluzione verso la
"cultura del risultato". Vediamo qualche dettaglio della normativa,
per ricostruire sommariamente la catena di errori che porta al paradosso.
La nostra fattura elettronica è disciplinata dal decreto legislativo 52/04 e dal decreto ministeriale 23 gennaio
2004. Il decreto legislativo attua nel nostro ordinamento la direttiva 2001/115/CE, che ha
"il fine di semplificare (sic!), modernizzare e armonizzare le
modalità di fatturazione previste in materia di imposta sul valore aggiunto".
Per le fatture "trasmesse per via elettronica" la direttiva del
2001 fa ovviamente riferimento alla 1999/93
sulle firme elettroniche, ma contiene una prima incongruenza: mentre per le
fatture tradizionali dispone esplicitamente che Member States shall not
require invoices to be signed, per quelle trasmesse per via elettronica
impone la advanced electronic signature dell'art. 2, punto 2, della
direttiva del '99 (a stretto rigore, basterebbe la semplice electronic
signature prevista al punto 1 dello stesso articolo, poiché quello che
serve è l'integrità dei dati). Ma l'incongruenza più pesante è che la
direttiva sulle fatture lascia agli Stati membri la facoltà di imporre l'uso
della advanced electronic signature to be based on a qualified
certificate and created by a secure-signature-creation device, cioè della firma "qualificata" del nostro ordinamento, che ha
gli stessi effetti della firma autografa tradizionale. Alla faccia della
precedente disposizione, secondo la quale Member States shall not require
invoices to be signed, che tradotto letteralmente suona "gli Stati
membri non possono richiedere che le fatture siano firmate".
In ogni caso, per complicare il più possibile le cose, il nostro legislatore ha
imposto la firma più "forte", chiamandola per l'occasione
"sottoscrizione elettronica". In tutto questo emergono gli errori
del recepimento della direttiva del '99: la electronic signature semplice
non c'è, mentre corrispondente definizione di "firma elettronica"
sembra fare confusamente riferimento alla advanced. C'è poi una
firma elettronica "qualificata", che il nostro legislatore fa
corrispondere alla advanced electronic signature to be based on a qualified
certificate and created by a secure-signature-creation device, cioè a una
"segnatura elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e
creata con un dispositivo sicuro per la creazione della firma" (con gli
stessi effetti, quindi, di una firma autografa), e infine una "firma
digitale", inesistente "specie" della firma qualificata
(un'analisi sistematica di questi aspetti è nel libro Firme elettroniche - Problemi normativi del documento
informatico) Le cose si complicano con il decreto ministeriale 23 gennaio
2004, che disciplina "emissione, conservazione ed esibizione" dei
documenti fiscali informatici. Questo decreto fa riferimento a una normativa
precedente il codice dell'amministrazione digitale e inventa ben cinque forme di
"firma elettronica", che non corrispondono a quelle della
normativa in vigore, oltre a prevedere l'ormai (stranamente) scomparsa
"marca temporale", distinta dal "riferimento temporale"...
Sono solo le premesse, perché il decreto disciplina la conservazione dei
documenti informatici fiscali secondo le regole tecniche previste dalla deliberazione AIPA 42/2001. Ma il decreto fu
pubblicato quando era già pronta la deliberazione CNIPA 11/2004, che
sostituiva la 42/2001, con importanti semplificazioni. In conclusione, la
risoluzione 14/E è il risultato di un combinato disposto di norme incoerenti,
anche perché in parte obsolete, oltre che sbagliate.
Siamo in piena crisi di governo: l'ovvio auspicio è che il prossimo, di
qualsiasi "colore" sia, metta mano alla riscrittura sistematica delle
regole sui documenti informatici. Altrimenti tutti i bei discorsi sulla
modernizzazione si risolveranno con scioglilingua come questo: per
dematerializzare si deve materializzare il dematerializzato.
Una buffonata che non fa neanche ridere. |