A chi conviene la certificazione
insicura?
di Manlio Cammarata e Enrico Maccarone - 17.01.02
Ovvio silenzio del Governo sulle nostre osservazioni
di una settimana fa, mentre le reazioni ufficiose, in tono seccato, sono del
tipo "non disturbare il manovratore"...
Dei "difetti" dello schema di decreto
legislativo di recepimento della normativa europea sulle firme elettroniche,
varato dal Governo il 21 dicembre scorso, si discute in molte sedi.
Esponenti del notariato esprimono in via informale forti preoccupazioni; alcuni
certificatori sono decisamente contrariati e si chiedono a che cosa porterà il
caos normativo disegnato dal testo del 20 dicembre, tenendo anche conto dei
forti investimenti, soprattutto economici, fatti in questi anni.
Assocertificatori tace. Un silenzio in linea con l'inerzia dimostrata nel suo
primo anno di vita, trascorso senza riuscire ad assicurare un minimo accettabile
di coordinamento e di interoperabilità tra i sistemi attivi fino a oggi.
Tace ufficialmente anche l'Autorità per l'informatica, che ormai lotta per
la sopravvivenza. A mezza voce qualcuno fa notare che è in atto una sistematica
opera di demolizione di quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni, e non
solo per quanto riguarda la firma digitale. Se oggi l'Italia può vantare una
legislazione di tutto rispetto nel panorama mondiale in materia di informatica e
pubblica amministrazione, lo deve al lavoro di un'autorità realmente
indipendente, alle intuizioni di pochi politici illuminati e all'apporto di
alcuni esperti che alla stessa AIPA hanno dato un prezioso contributo di
proposte e di idee.
Ma qual è la sostanza dei problemi sollevati dallo schema di decreto
legislativo per l'accoglimento della direttiva
1999/93/CE? Al di là della confusione definitoria, al di là delle
imprecisioni tecniche e dei dubbi di costituzionalità (vedi gli articoli di Franco Ruggieri e Daniele Coliva),
il testo fa compiere un passo indietro di parecchi anni al nostro sistema
normativo, perché annulla buona parte della costruzione legislativa che nel
nostro ordinamento assicura il pieno valore legale del documento informatico,
purché provvisto di una validazione rispondente a severissimi criteri di
sicurezza: la firma digitale sicura.
Invece la direttiva ha un obiettivo diverso: assicurare la diffusione dei
prodotti di firma elettronica, evitando che possa essere negata una rilevanza
legale a un documento sottoscritto con uno di questi. Come ha dichiarato a
PuntoCom Antonio A. Martino, professore di scienza della politica
all'Università di Pisa, "Sono soprattutto le lobbies delle compagnie
americane che premono per una 'firma libera' e che hanno provocato nell'Unione
europea non poche difficoltà. Leggete semplicemente l'art. 1 della direttiva
sulla firma elettronica e vedrete che è contraddittorio. Seguite quanto sta
accedendo in Spagna che ha creduto di avere una legge copiando la direttiva e in
questi giorni ha dovuto redigere una legge (sul serio), che è in Parlamento,
perché quella attualmente in vigore non regolamenta praticamente nulla".
Ma la direttiva, pur nella contraddittorietà e nella confusione
terminologica che la distingue, riconosce comunque l'esistenza di due tipi di
firme elettroniche: quella che noi chiamiamo "leggera" e che, allo
stato dei fatti, può essere certificata da chiunque al di fuori di qualsiasi
controllo e di qualsiasi requisito minimo di attendibilità, e quella
"sicura", che in buona sostanza ricalca quasi per intero la normativa
italiana discendente dall'art. 15 della
legge 59/97.
La differenza tra i due tipi di firma è sostanziale: alla firma leggera
non può essere negato valore legale, mentre il documento informatico
con firma sicura ha pieno valore legale.
Il nocciolo della questione è tutto qui, ed è espresso con sufficiente
chiarezza nell'art. 5 della direttiva:
Articolo 5. Effetti giuridici delle firme elettroniche
1. Gli Stati membri provvedono a che le firme elettroniche avanzate basate su
un certificato qualificato e create mediante un dispositivo per la creazione di
una firma sicura:
a) posseggano i requisiti legali di una firma
in relazione ai dati in forma elettronica così come una firma autografa li
possiede per dati cartacei; e
b) siano ammesse come prova in giudizio.
Dunque questo primo paragrafo corrisponde quanto stabilito dalla normativa
italiana, all'art. 10 del testo unico
sulla documentazione amministrativa, che riprende letteralmente le vecchie
disposizioni del DPR 513/97:
Articolo 10 (R) Forma ed efficacia del documento
informatico
1. Il documento informatico sottoscritto con firma digitale, redatto in
conformità alle regole tecniche di cui all'articolo 8, comma 2 e per le
pubbliche amministrazioni, anche di quelle di cui all'articolo 9, comma 4,
soddisfa il requisito legale della forma scritta e ha efficacia probatoria ai
sensi dell'articolo 2712 del Codice civile.
...
3. Il documento informatico, sottoscritto con firma digitale ai sensi
dell'articolo 23, ha efficacia di scrittura privata ai sensi dell'articolo 2702
del codice civile.
4. Il documento informatico redatto in conformità alle regole tecniche di cui
all'articolo 8, comma 2 soddisfa l'obbligo previsto dagli articoli 2214 e
seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione legislativa o
regolamentare.
Non c'è alcuna incompatibilità tra le disposizioni comunitarie e quelle
italiane: il documento informatico con firma sicura ai sensi del testo unico possiede
i requisiti legali di un documento provvisto di firma autografa e, come
quest'ultimo, è ammesso come prova in giudizio.
Stabilisce poi il secondo comma dello stesso art. 5 della direttiva:
2. Gli Stati membri provvedono
affinché una firma elettronica non sia considerata legalmente inefficace
e inammissibile come prova in giudizio unicamente a causa del fatto che è
- in forma elettronica, o
- non basata su un certificato qualificato, o
- non basata su un certificato qualificato rilasciato da un prestatore di
servizi di certificazione accreditato, ovvero
- non creata da un dispositivo per la creazione di una firma sicura.
Questo significa che un documento provvisto di
firma "leggera" può considerarsi - ma non obbligatoriamente -
ammissibile come prova in giudizio. E correttamente l'art. 6 dello schema di recepimento accoglie
questa disposizione:
4. Al documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, in ogni
caso non può essere negata rilevanza giuridica né ammissibilità come mezzo di
prova a causa del fatto che è sottoscritto in forma elettronica ovvero in
quanto la firma non è basata su di un certificato qualificato rilasciato da un
certificatore accreditato o, infine, perché la firma non è stata apposta
avvalendosi di un dispositivo per la creazione di una firma sicura.
In termini strettamente giuridici questa precisazione non è necessaria, in
quanto nulla, nel nostro attuale ordinamento, nega rilevanza giuridica o valore
probatorio a una qualsiasi evidenza informatica. Un solo problema può sorgere
dalla possibile interpretazione restrittiva dell'ultima frase del comma 1
dell'art. 10 del TU, nel senso che solo il documento informatico provvisto di
firma sicura abbia l'efficacia probatoria della rappresentazione meccanica, ai
sensi dell'art. 2712 del codice civile. Ma il problema è risolto in un attimo.
Invece il Governo cosa cerca di fare? Cerca di attribuire l'efficacia della
forma scritta (necessaria per determinate categorie di contratti) e di
riconoscere validità a particolari tipi di documenti (come le scritture
contabili, art. 2714 e seguenti c.c.) in presenza di firma leggera, per la quale
nessuna disposizione stabilisce requisiti di certezza e affidabilità! In questo
modo è chiaro che la firma digitale sicura resta obbligatoria per pochissimi
adempimenti e che il castello giuridico del documento informatico "valido e
rilevante a tutti gli effetti di legge" crolla miseramente. In più si mina
alla base l'affidabilità delle scritture per le quali ogni ordinamento sancisce
determinati livelli di certezza giuridica. Per non parlare dei problemi connessi
all'invio di documenti alla pubblica amministrazione con l'uso della carta
d'identità elettronica o della carta dei servizi, senza una firma sicura che ne
garantisca il contenuto (vedi il punto 3 dell'articolo di Ruggieri).
Tutto il resto è contorno, anche rilevante (come l'aspetto definitorio), ma
la sostanza è la demolizione della costruzione tecnico-giuridica del documento
informatico. Un passo indietro di almeno sei anni, per di più non necessario ai
fini del recepimento della direttiva. Utile solo per le lobby straniere
della certificazione insicura.
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