Cybercrime: il "giallo"
della direttiva fantasma
di Laura Liguori - 25.03.03
Il 3 marzo scorso e nei giorni seguenti si è diffusa su diversi mezzi di
informazione la notizia che l'Unione europea ha adottato una normativa che
prevede misure particolarmente dure per i cracker e per chi diffonde virus su
sistemi informatici . Un notiziario Rai parlava addirittura di una
"direttiva", mentre altre fonti riferivano di una riunione dei
Ministri europei di giustizia, svoltasi lo scorso 28 febbraio, durante la quale
gli stessi avevano trovato l'accordo su un testo molto severo, il quale
prevedeva addirittura il carcere fino a cinque anni (vedi, fra gli altri, Punto
Informatico e, da ultimo, L'espresso del 27 marzo).
Il testo in questione, tuttavia - riportava la notizia - non poneva l'accento
solo sulla gravità degli attacchi ma anche sulla loro genesi, considerando
quindi più gravi gli attacchi provenienti da una organizzazione criminale o da
gruppi terroristici, piuttosto che quelli riconducibili a una qualche
"ragazzata". Si specificava anche che gli Stati membri avrebbero avuto
a disposizione fino al 31 dicembre 2004 per dare attuazione a questa normativa.
Messa in questi termini, ci siamo chiesti che tipo di normativa potesse essere
stata adottata, visto che non trovavamo riscontro di alcuna recente direttiva in
materia (e comunque una direttiva non arriva da un giorno all'altro, ma richiede
mesi di preparazione, se non anni, e quindi non può sfuggire all'attenzione di
chi segue la normativa comunitaria).
Ci siamo messi alla ricerca della fonte di questa notizia e abbiamo scoperto che
il 27-28 febbraio si è effettivamente svolta una riunione del Consiglio dei
ministri di giustizia, durante la quale sono state adottate - tra altre, come si
legge nell'ordine del giorno - anche decisioni inerenti agli attacchi
ai sistemi informatici.
In particolare, nella riunione del Consiglio dell'UE del 27-28 febbraio, in
materia di giustizia e affari interni, i ministri europei di giustizia hanno
elaborato un approccio comune riguardo alla proposta di Decisione-quadro del Consiglio relativa agli
attacchi ai sistemi di informazione, presentata dalla Commissione, del 19 aprile
2002 (qui un quadro dell'iter di approvazione ).
Durante la riunione, almeno da quello che risulta dal comunicato stampa ad essa
relativo, il Consiglio si è limitato a ribadire gli obiettivi della
Decisione-quadro, che sono soprattutto l'avvicinamento delle normative dei vari
Stati membri in materia, con particolare riguardo alla possibilità che tali
attacchi siano riconducibili alla criminalità organizzata di stampo
terroristico e non.
Quanto al contenuto della Decisione-quadro sulle pene (l'aspetto sul quale i
mezzi di informazione si sono soffermati con maggiore enfasi), l'articolo 6 si
limita - al momento - a stabilire che gli Stati membri debbano prevedere pene
effettive, proporzionate e dissuasive, tra cui anche la custodia in carcere per
un periodo non inferiore, nel massimo, a un anno in casi particolarmente gravi
(la gravità dei casi deve essere valutata con riferimento al fatto che il
comportamento abbia cagionato danni o profitti economici). La posizione espressa
dal Consiglio UE su questa Decisione-quadro non implica l'adozione definitiva
della stessa, in quanto sono da sciogliere alcune riserve formulate dal
Parlamento europeo.
A questo punto, è necessario chiarire quale è il valore della Decisione-quadro
nel contesto della normativa europea. Per spiegare in breve di che si tratta, va
detto che le decisioni quadro sono uno strumento di legiferazione introdotto con
il Trattato di Amsterdam e riguardano la cooperazione giudiziaria e di polizia
in materia penale. In particolare, la decisione-quadro è utilizzata per
ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in
queste materie, può essere proposta su iniziativa della Commissione o di uno
Stato membro e deve essere adottata all'unanimità. Vincola gli Stati membri per
quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli
organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da impiegare a tal fine.
Pertanto, anche questa decisione-quadro rientra in questa categoria.
Non siamo riusciti ad avere ulteriori dettagli su questa notizia attraverso i
canali istituzionali di informazione, ma riteniamo plausibile che essa si
riferisca a questa riunione del Consiglio dell'UE in materia di giustizia ed
affari interni.
Per completezza, dobbiamo riferire anche di una Convenzione sul "cybercrime" fatta
a Budapest da alcuni Stati membri del Consiglio d'Europa il 23 novembre 200. La
notizia riguarderebbe allora la sottoscrizione, il 28 gennaio 2003, di un
protocollo aggiuntivo a questa convenzione da parte di undici Paesi membri del
Consiglio d'Europa (Armenia, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Germania,
Grecia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Svezia). Questo protocollo aggiuntivo
stabilisce l'adozione di misure più efficaci a contrastare i contenuti razzisti
e xenofobi presenti nella rete (Vedi il comunicato
stampa)
Con riguardo a questa notizia, tuttavia, non pensiamo possa essere questo quello
a cui si riferivano con tanta enfasi i mezzi di informazione. Infatti, il
Consiglio d'Europa non è una istituzione comunitaria. Esso è una
organizzazione intergovernativa che si pone come scopo - tra gli altri - la
tutela dei diritti umani e della democrazia, la ricerca di soluzioni a problemi
che riguardano la società Europea (xenofobia, discriminazione, intolleranza,
ecc.). Non si occupa di avvicinare la legislazione degli Stati che ne fanno
parte, ma al limite di creare un'insieme di regole comuni in determinate
materie.
Volendo concludere, possiamo dire che la notizia diffusa da questi organi di
informazione e relativa all'adozione di una "normativa" in materia di cybercrime,
rimane priva di un riscontro preciso e circostanziato. Non risulta, infatti, che
una normativa siffatta (se pure esistente, almeno sotto forma di proposta di
decisione-quadro) sia stata adottata in modo definitivo da alcuna istituzione
europea a ciò preposta. |