Prima pagina
   
Secondo convegno del Forum multimediale "La società dell'informazione"
LA LEGGE E LA RETE
Roma, 12 novembre 1997

Tutela del software e liceità penale della copia interna
di Daniele Coliva* - 11.11.97

La recente cronaca giudiziaria ha portato alla ribalta nel dibattito tra addetti ai lavori (e non) uno dei maggiori problemi ingenerati dal d. lgs. 518/92, con il quale il legislatore italiano ha attuato la direttiva 91/250 CEE relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore.
Non è questa la sede più opportuna per esaminare a fondo l'opportunità della scelta del legislatore comunitario prima e di quello nazionale poi di assoggettare il software alla protezione della disciplina del diritto d'autore, previa qualificazione dei programmi per elaboratore come opera letteraria ai sensi della Convenzione di Berna
1.
L'opzione, mossa dall'intenzione (della cui spontaneità è lecito dubitare) di assicurare la massima protezione possibile ha creato non pochi problemi di interpretazione e di inquadramento sistematico
2 del software all'interno della categoria "opera dell'ingegno", i cui effetti si riverberano negativamente sulla disciplina penalistica, nella quale, com'è noto, la fattispecie incriminatrice deve rispondere a precisi caratteri di tipicità, pena l'incompatibilità costituzionale.
La legislazione di attuazione della direttiva comunitaria ha, nella parte che qui interessa maggiormente, introdotto sanzioni penali di rilievo per una molteplicità anche eterogenea di comportamenti; il risultato, anche sotto il profilo della tecnica legislativa, lascia tuttavia a desiderare. L'art. 171 bis l.d.a., introdotto dall'art. 10 del d. lgs. 518/92, punisce chiunque:

- abusivamente duplica a fini di lucro, programmi per elaboratore, ovvero
- ai medesimi fini e sapendo o avendo motivo di sapere che si tratta di copie non autorizzate, importa, distribuisce, vende, detiene a scopo commerciale, o concede in locazione i medesimi programmi, è soggetto alla pena della reclusione da tre mesi a tre anni e della multa da L. 1.000.000 a L. 10.000.000
3.

Il fine di lucro è dunque elemento caratterizzante in modo essenziale l'illecito penale, in quanto definisce il dolo necessario come specifico. La coscienza e volontà dell'abusiva duplicazione non è pertanto sufficiente a superare la soglia della rilevanza penale della condotta, essendo appunto indipensabile l'ulteriore circostanza dell'animus lucrandi.
Appare quindi evidente l'estrema importanza della definizione del contenuto del fine di lucro, dal momento che la tutela degli interessi patrimoniali dei produttori (e degli autori, ma la loro presenza in questa legge si avverte poco
4) è fondamentale nell'economia complessiva dell'incriminazione.
Il caso al quale si accennava in principio è costituito da una sentenza del Pretore di Cagliari in data 3/12/96, della quale si è avuta notizia nello scorso mese di ottobre, con la quale è stata assolta dall'imputazione di abusiva duplicazione ex art. 171 bis l.d.a. un'imprenditrice sarda, perché il fatto non costituisce reato.
Il fatto, così come ricostruibile dalla
sentenza, era il seguente: nel corso di una ispezione5 da parte della Guardia di Finanza, furono rinvenuti presso la sede dell'impresa tre calcolatori nei quali era contemporaneamente installata una copia della nota suite Office di Microsoft. Poiché l'imprenditrice era in possesso della licenza per un solo esemplare, fu denunciata per la violazione dell'art. 171 bis l.d.a. per la ritenuta abusiva duplicazione dei programmi sugli altri due computers, previo sequestro del software su questi ultimi.
L'imputata chiese la definizione abbreviata del procedimento ai sensi dell'art. 563 cpv. c.p.p., concordando una pena con il PM. In sede di udienza in camera di consiglio il GIP presso la Pretura, ritenendo evidente l'insussistenza di rilievo penale della condotta, pronunciò sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
6
La sentenza si segnala per essere una delle prime e poche decisioni sul fine di lucro previsto dall'art. 171 bis l.d.a., e le modalità stesse della sua pronuncia (l'imputata stessa aveva chiesto il patteggiamento) danno conto della rilevanza e forse della sua anomalia.
Il ragionamento del giudice può essere così sintetizzato:
- la rilevanza penale della condotta è data esclusivamente dalla finalità lucrativa;
- questa non coincide con il fine di profitto, ma ne costituisce un sottoinsieme;
- il risparmio di spesa conseguito dall'imputata mediante la duplicazione dei programmi rispondeva ad un'istanza di profitto e non di lucro.
Stante il principio di tassatività non poteva ovviamente trovare applicazione il postulato euclideo secondo il quale il tutto contiene la parte, e quindi, ferma restando la responsabilità civilistica, l'imputata doveva essere assolta.
Gli interpreti si divisero immediatamente sulla lettura dell'art. 171 bis l.d.a. sia sul fine di lucro (vi rientra anche il risparmio di spesa?) che sullo scopo commerciale, altro profilo di non poco momento nella norma penale.
Il primo quesito ha ricevuto risposta positiva da coloro che, anche richiamando giurisprudenza in tema diverso, ravvisano il lucro nel vantaggio di tipo patrimoniale che l'agente si prefigge di conseguire, nel quale è da ricomprendere anche il risparmio di spesa
7.
La tesi contraria, che si riflette palesemente nella motivazione della sentenza in rassegna, oltre alla maggior precisione concettuale sulla differenziazione tra lucro e profitto, ha il merito di dar conto della genesi anche a livello comunitario della disciplina, alla quale sembra più funzionale e confacente la tesi che esclude dal fine di lucro il mero risparmio di spesa.
Il lucro è infatti sinonimo di incremento patrimoniale positivo
8, mentre il profitto, in quanto nozione più ampia, comprende anche la diminuzione patrimoniale evitata mediante la -ipotetica- condotta di duplicazione.
L'argomento più convincente tuttavia è quello che procede dalla ricostruzione della ratio complessiva della disciplina. La previsione di sanzioni penali muove dalla preoccupazione di sanzionare fattispecie ontologicamente o teleologicamente collegate alla circolazione abusiva di esemplari di opere protette (art. 7 della direttiva). L'atto "commerciale" è dunque, e solo, atto che ha necessariamente per oggetto l'opera stessa e non atto "d'impresa commerciale", rispetto al quale la copia abusiva rileva quale mero strumento. La conclusione è importante, in quanto si estende ad altra ipotesi incriminata dall'art. 171 bis l.d.a., cioè la detenzione a scopo commerciale.
Con riferimento alla duplicazione, è stato osservato che "l'inerenza dello scopo di lucro ad un rapporto di scambio economicamente qualificato" discende da motivazioni di omogeneità sul piano del disvalore e dell'oggetto giuridico
9 rispetto alle altre condotte sanzionate dalla medesima norma.
In altri termini, appare incongruo ricondurre all'ambito penale un comportamento che non costituisce atto di messa in circolazione dell'opera, sì che, sotto il profilo del pregiudizio all'avente diritto, la potenzialità dannosa è grandemente inferiore rispetto a condotte di scambio vero e proprio. Non si può dunque non rilevare lo squilibrio che si viene a creare, posto che situazioni di mero pericolo presunto
10 vengono equiparate a condotte di danno concreto.
Il fine di lucro, in conclusione, è necessariamente collegato ad un'attività di scambio
11.
Da non trascurare, poi, una considerazione di politica criminale, secondo la quale è da ritenere sproporzionata ed inadeguata la sanzione penale per comportamenti che sono essenzialmente inadempimenti contrattuali.
---
L'occasione è propizia per esaminare anche un altro aspetto dell'art. 171 bis l.d.a., strettamente collegato a quello del fine di lucro, vale a dire lo scopo commerciale che deve obbligatoriamente qualificare la detenzione
12.
Qual è il contenuto da attribuire al termine "commerciale"? Non ritengo di condividere l'opinione di chi si aggancia alla nozione di impresa commerciale
13 di cui all'art. 2195 c.c., in quanto da un lato opera un'irragionevole diseguaglianza tra operatori economici, in quanto ne sarebbero esclusi gli esercenti un'attività professionale, esclusi dall'ambito dell'art. 2195 cit., e dall'altro mal si concilia con la ratio della disciplina comunitaria come sopra illustrata14.
La soluzione corretta va quindi individuata nel concetto di attività di scambio, vale a dire di messa in circolazione di esemplari illeciti o, più esattamente, di preordinazione a quest'ultima.
---
Ho rilevato in precedenza che la sentenza del Pretore di Cagliari non spiega come sia stata acquisita la notitia criminis. La circostanza sarebbe stata interessante, nel quadro delle modalità di accertamento delle violazioni dell'art. 171 bis l.d.a.
Si possono quindi solamente fare delle congetture. Una prima ipotesi è quella, per così dire canonica, della perquisizione in forza di apposito decreto del PM. Su questa nulla quaestio, se non sulla individuazione del "fondato motivo" che legittima una così violenta intrusione nella sfera privata altrui, anche in relazione all'art. 14 cost.
15
Un altro caso
16 possibile è un'attività d'iniziativa da parte della Guardia di Finanza nell'esercizio delle sue funzioni di polizia giudiziaria. A parte il caso della flagranza, previsto espressamente dall'art. 352 c.p.p., uno degli strumenti "intrusivi" più utilizzati è quello del diritto di accesso previsto dall'art. 35 della l. 7/1/29 n. 417.
Siffatta modalità è da contestare, in quanto consente surrettiziamente un'attività di perquisizione d'iniziativa al di fuori dei casi tassativamente previsti. La questione è apparentemente accademica, in quanto a mio avviso in ipotesi di ispezione non è configurabile un diritto di accesso tout court agli elaboratori, né tanto meno l'utilizzazione di software di intercettazione
18, in difetto di precisi elementi di fondato sospetto desumibili dalla contabilità (sia cartacea che meccanizzata)19.
---
Una brevissima notazione conclusiva. Nella stampa, specialmente quella meno tecnicamente attenta, si è parlato di liceità penale della copia in seguito alla sentenza citata.
A parte la considerazione che un precedente di merito non è di per sé decisivo, ancorché adeguatamente motivato, ai fini delle scelte individuali di comportamento, va posto in evidenza l'errore insito in tale semplificazione giornalistica, dal momento che l'imputata, pur avendo superato (non è dato sapere se vi sia stata impugnazione da parte della Procura generale) le forche caudine del processo penale, non sfuggirà certamente all'azione civilistica di risarcimento danni ex artt. 158 ss. l.d.a.
Il merito del Pretore di Cagliari è quello di avere ricondotto all'ambito proprio, quello civile, comportamenti che si risolvono essenzialmente in violazioni di aptti contrattuali, rispetto ai quali è opportuna, per quanto più possibile, l'estraneità del giudice penale.

-------------------------

1 Così recita l'art. 1, comma 2, della l. 633 del 1941, introdotto dall'art. 1 del d. lgs. 518/92.
2 Parla giustamente di "manipolazioni genetiche" sul diritto d'autore ad opera del d. lgs. 518/92 G. CAVANI, Oggetto della tutela (artt. 1 e 2 l.d.a.), in La legge sul software, a cura di L.C. Ubertazzi, Milano, 1994, p. 4.
3 La sanzione pecuniaria originaria era da 500.000 a 6 milioni, ed è stata aumentata con d. lgs. 15/3/96, n. 205.
4 Sull'eclissi penale degli autori, cfr. A. ALESSANDRI, Sanzioni penali, in La legge sul software, cit., p. 240.
5 La decisione non si sofferma sulle modalità di acquisizione della notitia criminis; certo è che si possono immaginare anche problemi processuali, sui quali mi soffermerò in fine.
6 Si tratta di una norma che appunto impone al giudice di dichiarare immediatamente l'esistenza di cause di non punibilità; essa risponde ad evidenti esigenze di favor per l'imputato ed altresì di economia processuale.
7 G. D'AIETTI, La tutela dei programmi e dei sistemi informatici, in Profili penali dell'informatica, Milano, 1994, p. 47; ID., Il decreto legislativo 29 dicembre 1992 n. 518 ed il suo inserimento nella difesa delle opere dell'ingegno. La tutela giudiziaria civile e penale, in Dir. informazione e informatica, 1994, p. 225; S. PASTORE, Software e diritto d'autore, in Riv. pen. ec., 1994, p. 193
8 Il Pretore di Cagliari ne specifica il contenuto nell'acquisizione di uno o più beni.
9 A. ALESSANDRI, Commento all'art. 171 bis, in Commentario breve al diritto della concorrenza, a cura di P. Marchetti e L.C. Ubertazzi, Padova, 1997, p. 2026; nel medesimo senso S. SEMINARA, La pirateria su Internet e il diritto penale, in AIDA, 1996, p. 193.
10 Il pericolo sarebbe in re ipsa nell'esistenza di una copia non autorizzata; stante l'idoneità del software ad essere duplicato perfettamente all'infinito, tale copia sarebbe intrinsecamente foriera di un pregiudizio potenziale per l'avente diritto.
11 Rinvengono utili spunti interpretativi nelle disposizioni della l.d.a. sulle utilizzazioni libere (artt. 68, 69 e 71) per escludere l'equivalenza lucro=risparmio di spesa R. RISTUCCIA e V. ZENO-ZENCOVICH, Prime notazioni sulla legge a protezione del software, in Diritto informazione e informatica, 1994, p. 256.
12 Il testo originario della proposta di direttiva sulla protezione del software prevedeva sanzioni per il generico possesso consapevole di copie abusive. Le critiche a siffatta impostazione portarono al vigente art. 7.
13 G. D'AIETTI, La tutela..., cit., p. 51.
14 Né varrebbe a rimediare a questo squilibrio il fatto che il professionista potrebbe essere sempre incriminato per la duplicazione abusiva a fine di lucro, giacchè a tal fine deve dimostrarsi una duplicazione, cioè una condotta diversa che potrebbe non sussistere (non è questa la sede per esaminare l'altro, delicatissimo, problema della configurabilità del delitto di ricettazione).
15 La rilevanza della discussione è pressochè accademica, dal momento che l'orientamento in sede di riesame è quello di legittimare ex post il provvedimento cautelare in funzione dell'esito della perquisizione.
16 Simile ad altro del quale mi occupai due anni or sono e del quale diedi conto nella prima edizione del Forum.
17 Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie.
18 Con buona pace del concetto di domicilio informatico, peraltro tutelato penalmente dalla l. 547/93.
19 E' evidente che non si può negare la legittimità della perquisizione determinata dalla presenza di elaboratori e dall'assenza di qualsiasi giustificativo contabile dell'acquisto di programmi.

* Studio Legale Coliva - Bologna

convegno - relazioni - prima pagina
© 1997 - Informazioni sul copyright