Il caso armani.it: domini, marchi e
diritti assoluti
di Roberto Manno - 17.04.02
Il signor Luca Armani, nel 1997, registrava il dominio internet "armani.it"
che veniva utilizzato per ospitare il sito-vetrina del Timbrificio Armani di sua
proprietà. La nota casa di moda milanese, titolare del marchio "armani",
citava in giudizio il titolare del dominio lamentando la lesione del proprio
diritto esclusivo di marchio e chiedendo l'adozione degli opportuni
provvedimenti inibitori. La recente sentenza del tribunale di Bergamo ha
dichiarato la illiceità della registrazione e dell'utilizzazione
del dominio "armani.it" ai sensi della legge marchi.
Premesso che sicuramente al signor Luca Armani non sarà sfuggita la circostanza
che una tale registrazione, a causa della univocità del domain name, lo avrebbe
avvicinato sensibilmente ma anche pericolosamente alla maison di Milano,
l'intera vicenda apre le porte ad una serie di considerazioni (va detto che
della sentenza si conosce solo il dispositivo, le motivazioni potrebbero
suggerire altre valutazioni).
In gioco vi sono diritti e libertà fondamentali, le quali rischiano di
subire una compressione che nel mondo reale sarebbe inconcepibile.
Infatti è opportuno ricordare come il dominio internet permetta di esercitare
diritti assoluti, azionabili erga omnes, non solo alle imprese (diritto
di marchio), ma anche alle persone fisiche, come il diritto al nome (diritto
della personalità) e i diritti costituzionali della persona, come la libertà
di espressione.
Nel conflitto tra questi diritti, il dominio internet si colloca in una
posizione di assoluta neutralità.
Alcuni casi concreti possono aiutarci nella nostra indagine.
1. Domain name e conflitto tra denominazione e libertà di espressione
- Il caso dorsetpolice.com
La Dorset Police,
polizia ufficiale della contea di Dorset, UK, ha chiesto il trasferimento (ai
sensi delle URDP - ICANN) del dominio "dorsetpolice".com utilizzato
da un certo Coulter per protestare sulla conduzione di alcune indagini da parte
delle forze di polizia, e ciò sulla base di un diritto esclusivo sulle parole
"dorset police".
L'arbitro, rilevando che il richiedente non ha fornito la prova della mancanza
di legittimo interesse, né della malafede, nella registrazione e nell'uso del
dominio contestato, ha rigettato la richiesta.
I legali di Mr. Coulter hanno potuto così affermare che "ciò che
differenzia realmente un sito Internet dall'altro è il suo contenuto. Non ha
pertanto senso suggerire che qualche utente potrebbe essere confuso visitando i
siti "www.dorset.police.gov.uk" e "www.dorsetpolice.com" ,
perché il contenuto di questi è totalmente differente."
E così i cittadini possono utilizzare il dominio contenente il nome di un'agenzia
governativa per criticarne le attività.
- Il caso jeboycottedanone.net
Allo scopo di protestare contro la decisione del gruppo Danone di procedere alla
chiusura di diversi stabilimenti di produzione, Olivier Malnuit e Thierry
Miessan, presidente dell'associazione "Rete Voltaire per la libertà di
espressione", hanno registrato e utilizzato a scopi polemici i domini
"jeboycottedanone.com" e "jeboycottedanone.net". Citati in
giudizio per contraffazione del marchio verbale e figurativo Danone dall'omonimo
gruppo, sono stati sollevati da ogni responsabilità relativamente alla prima
accusa, in quanto il Tribunale de Grande Instance (TGI) di Parigi, recependo le
precedenti ordinanze in référé (procedura di urgenza) ha stabilito:
.che la denominazione jeboycottedanone è immediatamente percepita come una
frase costruita secondo le regole abituali del linguaggio e nella quale il
termine danone è il complemento oggetto diretto del verbo boicottare coniugato
alla prima persona singolare;
..che, come è stato indicato dal presidente di questo tribunale (Juge
Gomez, protagonista della nota vicenda Yahoo.fr, ndr) nelle pronunce sotto
forma di référés nel quadro dell'articolo l.716-6 codice proprietà
intellettuale, l'uso ravvicinato del termine "danone" corrisponde,
senza confusione possibile presso il pubblico sull'origine del servizio
offerto, all'indirizzo dei nomi a dominio incriminati, e che ciò è
necessario per indicare la natura polemica del sito.
e, pertanto, non viene ravvisata alcuna contraffazione del marchio verbale
Danone.
I convenuti sono stati in ogni caso condannati, ma per aver utilizzato all'interno
del sito i marchi figurativi della Danone: il tribunale ha rilevato che
questo eccedeva infatti i limiti della libertà d'espressione e costituiva
contraffazione.
2. Domain names e conflitto tra denominazione e diritto al nome:
- Il caso A.R. Mani
Le Uniform Dispute Resolution Policy, nate per combattere fenomeni
quali cybersquatting o domain grabbing, e per di più relative a domini generici
tra i quali il più rilevante a fini commerciali, il ".com", sono
estremamente attente e restrittive nel definire l'onere della prova in capo al
richiedente: traspare la cautela nell'evitare di dover operare una selezione
tra più diritti (assoluti).
Nel momento in cui non v'è piena prova di attività parassitaria e
malafede, le UDRP abdicano: non entrano nemmeno nel merito della questione, in
cui si deve optare tra due diritti assoluti.
Quindi, l'interesse legittimo nell'uso del dominio armani.com derivante dal
nome dell'assegnatario (A.R.Mani) ha impedito il trasferimento nei confronti
del titolare del noto marchio, e lo stesso ragionamento è stato seguito dal
giudice federale che si è occupato del caso "nissan.com" (conflitto
tra la ex-datsun e sig. Uzi Nissan), anche se al momento il giudizio è ancora
pendente (http://www.ncchelp.org/The_Story/the_story.htm).
Alla luce di quanto illustrato, e del dispositivo della sentenza del
tribunale di Bergamo, ci chiediamo se è attuale il rischio che, nel momento in
cui si passa dal contesto reale a quello immateriale della rete per decidere le
sorti dei conflitti tra tali diritti, alcuni di questi possano venire
"aprioristicamente" sacrificati.
E, più alla radice: le regole di conflitto esistenti, previste per ipotesi
relative al mondo reale, possono sempre essere applicate ai domini internet?
Il dominio Internet opera infatti come un enorme e potentissimo magnete che
attrae tutte le denominazioni a prescindere dalla finalità e dall'ambito del
loro uso: siano essi marchi; pseudonimi; DOC, INN etc. (per maggiori
chiarimenti, e scusandomi per l'autocitazione, rinvio al precedente articolo Il nome a dominio: oltre il marchio?).
Per la sua particolare natura, inoltre, il dominio, una volta confluito nella
denominazione, esclude automaticamente ogni altro uso della stessa.
Sono quindi i domini stessi a recare "in sé" una situazione di
confusione, come la stessa WIPO ha compreso lanciando iniziative finalizzate a
contenerla e diminuirla: tale confusione non può essere sbrigativamente
attribuita, e quindi rimproverata, a chi registra e utilizza un
dominio.
Una situazione come quella che avviene nel mondo fisico, in cui una persona
esercita il suo diritto assoluto al nome (segno distintivo della persona)
contemporaneamente all'azienda, che esercita il suo diritto assoluto di
marchio (segno distintivo dell'azienda), non è immaginabile on line,
relativamente ad un dato TLD.
Sicuramente, l'esplosione della digital economy, con la crescente presenza on
line di imprese e soggetti portatori di consistenti interessi economici, ha
visto l'affermarsi di un'esigenza della tutela del marchio industriale in
relazione ai domain name.
Questi ultimi, quindi, sono stati via via osservati e valutati come segni
distintivi atipici, e questo è sicuramente un passo avanti rispetto all'asettico
first come, first served (si veda, per altre considerazioni, Il nome a dominio nel diritto privato di V. Venitucci).
Ma oltre ai limiti propri di questa estensione, che abbiamo già visto, va
segnalata la crescente affermazione del dominio come luogo di manifestazione
dell'e-identity di ogni persona, fisica o giuridica; il dominio quindi come
modalità di esercizio di libertà fondamentali e diritti assoluti.
In questo senso, persino la Casa Bianca non ha messo in discussione l'esercizio
del Primo Emendamento da parte del gestore del dominio "whitehouse.com"
(Dan Parisi, noto anche per la vicenda madonna.com).
Un domain name non necessariamente, quindi, viene in rilievo dal punto di vista
dell'utilizzazione commerciale; per cui la sua registrazione e utilizzazione
non vanno visti necessariamente nella logica della concorrenza tra imprese,
nella quale ci si deve collocare per valutare eventuali atti confusori ai sensi
della legge marchi.
Si tratta di una delle discipline applicabili, ma non della sola.
Infatti, la stessa qualificazione del dominio come segno distintivo atipico
risente di una certa "crisi": questa è alla base dei nuovi suffissi
introdotti dalla ICANN e delle difficoltà di gestire e disciplinare diversi usi
legittimi delle stesse denominazioni.
Vi è quindi il rischio che, soprattutto a livello di ccTLDs, si formino diverse
giurisprudenze in materia che riflettono diverse visioni e interpretazioni della
rete stessa, con sensibili graduazioni per quanto riguarda i diritti personali e
politici rispetto ai diritti industriali.
Del resto, proprio il diritto al nome ha conosciuto una graduale modificazione
dei suoi tratti caratterizzanti: si pensi all'indisponibilità del nome, che
con l'esplosione della comunicazione televisiva, delle sponsorizzazioni e in
genere del marketing è stata messa in discussione ed è ora pacificamente
ammessa.
Mentre tuttavia quest'ultimo fenomeno può inquadrarsi in una consapevole
"mercificazione" di alcuni tratti caratterizzanti della personalità,
inevitabile nell'attuale società mediatica, v'è il timore che, come sembra
abbia fatto il giudice, si operi una aprioristica qualificazione del domain name
in termini di segno distintivo atipico suscettibile di valutazione ai sensi
della legge marchi: ciò vorrebbe dire riservare alle imprese
titolari di marchio, ancorché rinomato, una precedenza nella registrazione e
uso del corrispondente dominio, tutelabile anche in giudizio contro ogni abuso.
Riteniamo che, quando la registrazione e l'utilizzazione di un dominio sia
strumentale all'esercizio di un diritto (assoluto o costituzionale) e non vi sia
la prova della malafede o della confondibilità, non ricorrano i presupposti per
la tutela giurisdizionale di quelle che restano solo scomode, ancorché
legittime, situazioni di fatto. |