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 Nomi a dominio

Il nome a dominio nel diritto privato
(A proposito dell'ordinanza del Tribunale di Firenze 29.6.2000)
di Vincenzo Venitucci* - 21.09.2000

Abstract. La giurisprudenza, pur in mancanza di novelle ad hoc, non ha ignorato il bisogno di tutela di chi, titolare di diritti industriali, ha indicato nel DN uno straordinario strumento di disturbo, degno della massima attenzione, concedendo le adeguate misure in sede cautelare.
Il Tribunale di Firenze, con la sua ordinanza 29.6.2000, non ha invece riconosciuto tali caratteristiche del DN ritenendolo una entità giuridicamente irrilevante e non tutelabile, in sé e in specie sotto il profilo di un diritto alla corrispondenza marchio-DN, soprattutto "perché tale corrispondenza non è un principio positivamente sancito dal nostro ordinamento".
Tale soluzione del problema viene criticata sotto vari profili, mentre si sostiene non solo che i titolari di segni distintivi tipici (art.13 l.m.) hanno il diritto di tutelarli da un uso pregiudizievole del DN, nonché il diritto ad ottenere un DN corrispondente al loro segno, ma anche che gli assegnatari di DN si trovano, per parte loro, nella stessa posizione dei titolari dei segni distintivi tipici e con le medesime prerogative di tutela e di sanzione nei confronti di questi ultimi.
Il principio di legalità, che ha ispirato la criticata ordinanza, del resto, contrasta con i criteri fondamentali dell'ordinamento privatistico per profonde ragioni che si sono andate storicamente consolidando e precisando.
Il dogma di completezza, sul quale si fondava la prima grande codificazione, con i suoi corollari dell'autosufficienza e della esclusività del diritto scritto, nonché del dovere del giudice di decidere (essendo le apparenti lacune colmabili interpretativamente e per analogia), nelle concezioni privatistiche attuali viene espresso nel senso che l'ordinamento, nonostante la riconosciuta sua incompletezza, resta sempre tale da garantire tutela agli interessi emergenti di essa meritevoli, pur rimanendo fermi i corollari del vecchio dogma, grazie all'efficacia operativa di moduli interpretativi sempre più criticamente evoluti e che si sono resi vieppiù funzionali alle esigenze della realtà economico-sociale.

1. Economia e diritto privato

Dal tempo delle grandi codificazioni il fattore economico, nelle sue varie configurazioni, ha determinato e condizionato sempre più profondamente il contenuto normativo e la struttura stessa di quella gran parte dell'ordinamento privatistico che afferisce appunto agli interessi economico-patrimoniali, causa ed effetto dell'affermarsi di metodologie interpretative (lato sensu) trascendenti i tradizionali criteri letterali ed esegetici, logico-formali o meramente storici (cioè di ricostruzione del significato originario delle norme) e intese piuttosto a riconoscere l'importanza di aspetti estrinseci alle norme stesse, avendo di mira la maggior possibile aderenza delle soluzioni alla pratica, la praticabilità delle soluzioni e l'utilità dei risultati in funzione della rilevanza economico-sociale degli interessi (e relativi regolamenti) via via emergenti.

L'interpretazione non viene più considerata un processo conoscitivo avente come fine quello di intendere una manifestazione di pensiero fissa, statica, immobile e immobilizzante ma quello di attingere dalla norma gli orientamenti e i criteri atti a consentire, attraverso un procedimento logico-analitico e storico-critico insieme, una rielaborazione attualizzatrice che, essendo la norma fatta per vigere nel tempo, tanto più è necessaria quanto più la norma stessa è remota rispetto alle concrete situazioni da disciplinare e all'attualità degli interessi da tutelare.
L'importanza della scelta dei nuovi moduli interpretativi è apparsa decisiva soprattutto in materia di analogia in quanto essi hanno inciso positivamente nel determinarne il campo di applicazione, sia di fronte ad "una nuova controversia relativa ad un istituto giuridico già disciplinato" sia soprattutto di fronte ad "una nuova materia cioè ad un insieme di rapporti che costituiscono un istituto giuridico a sé che dalla legge non è affatto disciplinato" (N. Coviello, Diritto Civile Italiano. Milano 1924, p. 84).

1.1 Due regole di base dell'ordinamento privatistico

Considerato il sistema attuativo prevalso nel diritto privato, si può enunciare quindi una prima regola di base secondo la quale, "perché un interesse si ritenga garantito dal diritto e si possa ammettere l'esistenza di un diritto soggettivo non è necessario che vi sia una norma apposita che lo riguardi e conceda la relativa azione. Basta che non vi sia nulla, né nelle norme speciali, né nel sistema generale del diritto, che osti alla tutela di "un determinato interesse" (e dei relativi regolamenti rimessi all'autonomia privata) "e che questo abbia in sé le note oggettive per essere riguardato come degno di tutela sia cioè reale, serio, morale" (N. Coviello, op.cit., p.19).

Così, nonostante che il tempo delle leggi non corrisponda a quello della dinamica economica, poiché i limiti storici della legge non possono frenare la creatività degli operatori mirata al fine di competere e di esprimersi al massimo in uno scenario in cui, d'altra parte, la concorrenza e gli sviluppi tecnologici e del mercato non lasciano più spazio a improvvisati riadattamenti di arnesi superati, ma richiedono la capacità critica di utilizzare sempre nuovi strumenti, si è assistito negli ultimi decenni alla proliferazione di figure, fattispecie, negozi, contratti, del tutto sconosciuti al nostro ordinamento e che comunque per la loro utilità, sono stati adottati nella pratica commerciale e recepiti interpretativamente nel nostro ordinamento senza alcun intervento legislativo che non fosse motivato da ragioni extraprivatistiche e cioè fiscali, amministrative e altro e (solo raramente) da esigenze di coordinamento a direttive comunitarie (Contratto di assistenza, Broker di assicurazione, Multiproprietà, Joint Venture, Factoring, Leasing, Franchising, Leverage buy out, Merchandising, Consulenza, Engineering, Catering, Cash and Carry, Patronage, Countertrade, Sponsorizzazione, Pubblicità, Swap, Commercial Papers, etc).

L'estensibilità e la pratica estensione delle norme preesistenti a tutti i fenomeni emergenti di rilevante utilità economico-sociale e l'intima, concretamente vissuta, connessione tra leggi e fatti costituiscono la riprova che l'ordinamento privatistico è praticamente onnipresente. "In questo senso" - affermava il già citato Coviello, enunciando, nonostante la riconosciuta incompletezza degli ordinamenti giuridici in genere, e sia pur con rigore eccessivo rispetto alla lettera della norma di legge da lui citata (c.p.c. 1865), una seconda regola di base che sarà sempre bene tener presente nella sostanza -" si può dire che non v'ha lacuna nella legge e in base a questo fondamento si giustifica il principio delle legislazioni moderne, per cui il magistrato non può mai rifiutarsi di risolvere un caso pratico con la scusa del silenzio della legge senza farsi reo di denegata giustizia (art. 783 c.p.c.)". (Coviello, op.cit., p. 82.)

2. Diritto privato e internet

A proposito dell'internet, anche in rapporto ai nomi di dominio che ne costituiscono l'aspetto privatisticamente più rilevante, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, pur lasciando aperto il problema circa la natura della rete in sé, hanno ritenuto del tutto superflua l'istituzione di un diritto ad hoc (C.E. Mayr: I domain names e i diritti sui segni distintivi, una coesistenza problematica; in AIDA 1996 pag. 223 segg.).

2.1. La dottrina

Tra le varie tematiche affrontate in materia, sarà, in questa sede, opportuno accennare ai seguenti tre punti più volte ribaditi dalla prevalente dottrina:

  1. Le regole di naming. Le regole di naming, compreso il principio first come first served e quello dell'unicità della registrazione, hanno una valenza tecnico-organizzativa interna alla Rete e agli enti che la rappresentano, né mai possono assumere rilievo come parametri di valutazione degli interessi economico-commerciali né, a maggior ragione, di precetti che normino tali interessi. Le prime e i secondi non possono in alcun modo interferire scambiandosi i ruoli potendo solo convivere nel rispetto delle reciproche competenze.
    Così, ad esempio, la regola secondo cui, dal punto di vista dell'internet, non esiste alcun diritto di chi è titolare di marchio all'ottenimento di un corrispondente domain name (DN), "essendo un fatto ininfluente dal punto di vista giuridico, non può mai costituire un titolo idoneo a porre il titolare del dominio al riparo da possibili contestazioni", non esclude al contempo che, date le potenzialità della rete, si evidenzi 'l'interesse' delle imprese ad assicurarsi un domain name che coincida con il proprio marchio e/o nome commerciale e che risulti perciò facilmente memorizzabile" il quale interesse, a sua volta, giustifica la qualifica di segno distintivo del domain name (P. Frassi in nota a Trib. Modena 32.10.96, ord. Riv. Dir. Ind. 1997, II, pagg.181-182).
    Tra la rilevanza economico sociale di un interesse e quella giuridica esiste un legame strettissimo di connessione logico-funzionale al quale le regole di naming sono del tutto estranee, salvo che non si presentino in veste di limiti attuativi come nel caso del principio di unicità.
    Così è solo per motivi di economia nel lavoro sui e dei "motori" che le regole di naming raccomandano la corrispondenza tra marchio e dominio.
  2. I domini come segni distintivi. Considerata quindi la loro importanza come strumenti operativi delle aziende ai fini della comunicazione e dello scambio, i DN sono entrati di pieno diritto nella categoria dei segni distintivi e assoggettati, nell'ambito del principio di unitarietà (art. 13 l.m.), alle norme generali e speciali che regolano la materia del diritto industriale. In senso parzialmente contrario si è sostenuta l'applicabilità ai DN soltanto della disciplina generale di cui all'art. 2598 c.c. Sono state ritenute estensibili ai DN anche le leggi sul diritto d'autore nonché quelle che regolano il diritto al nome e all'identità personale (posizione soggettiva da anni riconosciuta anche alle persone giuridiche).
    Resterebbe apparentemente irrisolto dalla dottrina industrialistica il problema della identificazione del segno distintivo al quale assimilare il DN, problema questo da alcuni ritenuto fondamentale perché da tale identificazione dovrebbero evincersi le norme applicabili. I segni più accreditati sembrano essere l'insegna (art. 2569 c.c.), preferita dal Giudice del caso Amadeus (cfr. infra), il marchio di fatto notorio (equiparato dal marchio registrato dall'art. 48 l.m. e che comunque comporterebbe la nullità del marchio registrato successivamente in quanto carente del requisito della novità di cui all'art. 17 stessa legge) e anche il marchio di fatto non notorio (il cui preuso è tutelato all'art. 9 l.m.). Il marchio di fatto, localmente notorio, sembrerebbe una nozione piuttosto inconciliabile con le caratteristiche dell'internet, salvo ammettere il ricorso a meccanismi limitativi del tipo di quello utilizzato nella vertenza Playmen/Playboy (cfr A. Ambrosini, La tutela del nome di dominio, Napoli 2000 pag. 72).
    Tale problema di identificazione del segno distintivo sembra però piuttosto inconsistente, vigendo il principio di unitarietà: il dominio del resto può configurarsi come segno atipico assoggettabile a diverse normative caso per caso.
  3. I domini e il diritto privato. I DN costituiscono beni della vita degni di tutela nell'ordinamento privatistico in quanto oggettivamente, di per sé, dotati di un valore di scambio spesso molto rilevante, come ben sanno gli operatori del settore.
    La potenzialità commerciale di internet opera del resto in modo, considerate le peculiarità spazio temporali in cui si effettuano le comunicazioni e gli scambi in rete (globalmente e in tempo reale), da creare valori commerciali stabiliti con una rapidità, rispetto agli strumenti tradizionali, e, secondo criteri tali (numero degli accessi, capacità di creare e di catturare utenti) da richiedere la massima attenzione dal punto di vista giuridico sia in positivo che in negativo. Nell'ambito di questo fenomeno ai DN e ai relativi siti va annessa naturalmente una funzione di primaria importanza.
    In realtà la casistica ha dato finora modo di osservare tale funzione sia del dominio e del sito insieme, o del sito privo di un corrispondente dominio (cfr infra caso Foro.It.) ma anche del dominio ancorché a sito disattivato (cfr infra caso Altavista) in chiave esclusivamente negativa, come elemento di disturbo dell'altrui proprietà industriale (marchio) o intellettuale (testata) e cioè come entità fortemente idonee a determinare la lesione dell'altrui diritto con effetti a volte ben più devastanti di quelli attuabili con un illecito uso dei segni distintivi tipici.
    E' chiaro che una siffatta disposizione del dominio, così diversa dalla connotazione neutra che caratterizza la casistica considerata dall'art.1 bis co.1 lett.a,b,c l.m.), non poteva non suggerire ai critici più avveduti, automaticamente e in corrispettivo, una nozione del DN stesso, come centro attivo di interessi commerciali ed economico-sociali in genere, altamente meritevole di tutela ad un livello, in positivo, ossia come oggetto di diritti soggettivi, addirittura superiore a quello di altre figure giuridiche analoghe (segni distintivi) della proprietà industriale e intellettuale, alcuni dei quali probabilmente, con lo sviluppo della New Economy (NE) e della globalizzazione, potrebbero divenire pressoché trascurabili. Comunque la lotta per il diritto al DN può dirsi ormai da tempo in atto e senza alcuna espressa dichiarazione normativa come è nella natura dell'ordinamento privatistico. A questa guerra per i domini si sono tempestivamente messi all'opera purtroppo anche i franchi tiratori con un apparato, per abbattere il quale, non basteranno forse neppure gli strumenti speciali progettati dall'ordine costituito, caratterizzati, come sono, da programmi di eccessiva e indebita ingerenza del pubblico nel privato in un clima che non la consente e da una scarsa incisività della parte normativa, amministrativa e penale specificamente intesa a individuare e reprimere gli aspetti più patologici del fenomeno.

2.2 La giurisprudenza

La giurisprudenza, pur offrendo alla dottrina numerosi spunti per valutare la rilevanza giuridica dei DN, non ha finora fornito indicazioni utili per inquadrarne la natura giuridica, né per determinare la reale portata del diritto al DN stesso rispetto al diritto agli altri segni distintivi. Ciò perché fino ad oggi la casistica, (si tratta sempre di ricorsi ex art.700 c.p.c.), ci mostra immancabilmente, come resistente, l'assegnatario di un DN la cui natura poco conta una volta accertatane l'azione di disturbo rispetto agli interessi, in forma tipica, rappresentati dal ricorrente. L'esame della giurisprudenza è comunque di estremo interesse sotto il profilo dei rilievi in essa contenuti in ordine ai presupposti, alle condizioni dell'azione (interesse ad agire e/o legittimazione, cfr S. Satta, Diritto Processuale Civile, Padova 1957 pag.109) e all'attuazione dei diritti dei privati, nel quadro delle leggi la cui tutela viene invocata dal ricorrente e contestata dal resistente.

Naturalmente si tratta perlopiù di conflitti soggetti alle norme generali e speciali del diritto industriale contenute nel codice civile: art. 2598 c.c. (concorrenza sleale), artt. 2569 e segg. c.c. (marchio), artt. 2563 e segg. c.c. (ditta e insegna) e nel R.D. 929/1942 come modificato dal D.Lgs 480/1992 a seguito della direttiva CEE n.89/104.
Presupposto soggettivo di queste controversie è la qualità di imprenditore ex art. 2082 c.c. in entrambi i contendenti (cfr però A. Ambrosini che presenta la figura dell'imprenditore di fatto: op.cit. pag.74).
Presupposto oggettivo è lo stato di concorrenzialità tra due imprenditori operanti in settori merceologicamente affini o la presenza di un marchio rinomato.
Condizione imprescindibile dell'azione è la lesione del diritto, ossia il pregiudizio subito dall'imprenditore titolare del marchio per il rischio di confusione o, in caso di marchio rinomato, per l'indebito vantaggio conseguito dal soggetto con il nome a dominio di cui si chiede l'inibitoria e con relativo pregiudizio (art.1 co.I 1ett.b l.m.) per l'altra parte (casi Nautilus, Amadeus, Sege srl, Peugeot, Altavista. Per tutti cfr Ambrosini op.cit. pag.75 segg.; per i casi Nautilus, Sege e Amadeus: A. Monti, Domain grabbing, le prime soluzioni. 1.1.99, in InterLex, 1999).

Di estrema importanza, per la complessa articolazione della domanda e della motivazione del provvedimento, è il caso Foro Italiano (Trib. Modena 23.10.96 ord. con nota di P.Frassi cit.) conflitto introdotto con ricorso ex art. 2598 c.c., art. 100 l.d.a. 2043 c.c,. 700 c.p.c. da imprenditore ricorrente con testata (Foro Italiano) nei confronti di soggetto non imprenditore con una mailing. list, senza dominio, con dicitura Foroit.
Reietta la domanda ex art. 2598 c.c.,per la mancanza del presupposto soggettivo della imprenditorialità nel resistente, il conflitto è stato risolto a favore del ricorrente ex art.100 l.d.a., 2043 c.c. per ritenuta corrispondenza fra la testata Foro Italiano e l'abbreviazione Foro It., (copiata dalla dicitura Foroit del sito web del resistente), per la acclarata possibilità di confusione e per l'ingiustificato valore assunto dal sito del resistente, valore non avente radici nel patrimonio dello stesso, nonché per il comportamento del resistente stesso ritenuto lesivo dell'identità personale della società ricorrente (posizione soggettiva riconosciuta in questi ultimi anni anche alle persone giuridiche). In tale conflitto i presupposti dell'azione sono stati individuati nell'esistenza di una proprietà intellettuale (testata) e in una individualità specificamente caratterizzata e le condizioni dell'azione nella lesione del diritto del ricorrente determinata dal rischio di confusione e dal vantaggio conseguito dal resistente a carico della identità individuale del ricorrente stesso.

3. Il caso Sabena: generalità

Il caso Sabena, definito con l'ordinanza del Tribunale di Firenze 29.6.2000, scaturisce anch'esso da una richiesta di misura cautelare.
La N.V. Sabena S.A., sostenendo di essere titolare di marchio internazionale SABENA valido anche in Italia, vistasi rigettare dall'ente italiano preposto la registrazione del nome a dominio www.sabena.it, per essere già stato assegnato all'agenzia A.& A. di Castellani Alessio, chiedeva al Tribunale ex art.700 c.p.c., 63 R.D. 929/42 "che venisse vietata alla predetta l'uso in qualsiasi forma anche sulla rete internet del marchio Sabena vietando l'utilizzazione del nome a dominio internet www.sabena.it, che le venisse ordinato di rinunciare al suddetto dominio con fissazione di una penale per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento, in subordine ordinare alla R.A. di revocare l'assegnazione alla agenzia A.& A. di Castellani Alessio, e registrarlo a nome della ricorrente" (il brano tra virgolette è tratto testualmente dall'ordinanza).
Il Tribunale, inaudita altera parte, concedeva l'inibitoria. Non risultano altri elementi idonei a meglio inquadrare la controversia né risulta che il Tribunale abbia proceduto all'assunzione di sommarie informazioni prima dell'emanazione del decreto (art. 669 sexies II comma c.p.c.) né al compimento degli atti di istruzione (art.669 sexies I comma c.p.c.) prima della pronuncia dell'ordinanza con la quale revocava il decreto.

Beninteso, sotto questo profilo, il Tribunale è solo parzialmente censurabile perché l'onere di provare i presupposti e le condizioni dell'azione spetta al ricorrente. Del resto l'acquisizione di ulteriori elementi (art. 669 sexies I comma c.p.c. cit.) "sull'esistenza dei presupposti ai fini del provvedimento richiesto" (fumus e periculum, che poi altro non sono che il riflesso dei pressupposti e delle condizioni dell'azione proposta nel suo complesso, cioè anche nel merito dal ricorrente), sarebbe comunque risultata del tutto superflua e irrilevante poiché il Tribunale, avendo individuato "il punto nevralgico della questione nello stabilire se esiste nell'ordinamento italiano il diritto di registrare un domain name corrispondente al proprio marchio così tutelandolo pretermettendo ed estromettendo chi abbia già validamente registrato quello stesso domain name in precedenza", ha argomentato, a monte di ogni altro problema attinente ai presupposti e alle condizioni dell'azione: a) con alcuni rilievi in merito alla non tutelabilità del bene dedotto in giudizio (la corrispondenza marchio dominio, e, b) indipendentemente da tali rilievi, in base al dato incontestabile che tale corrispondenza non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento e, concludendo e motivando in tal senso, ha rigettato senz'altro il ricorso.

3.1. La motivazione. Non tutelabilità del DN e della corrispondenza macrhio-dominio

 Il Tribunale di Firenze ha ritenuto dimostrati i rilievi sub a) in primo luogo perché la corrispondenza marchio-dominio non sarebbe tutelabile dato il fatto che il dominio, componente di quel binomio, non è meritevole di tutela nonostante il contrario avviso di dottrina e giurisprudenza. Il Tribunale tiene a sottolineare in proposito che la dottrina tuttavia "ha di gran lunga considerato la questione chiedendosi come possa essere tutelato il marchio su internet dal punto di vista del diritto industriale e cioè dalle posizioni di impresa", dandosi una risposta in positivo "considerando cioè il DN parte integrante del patrimonio personalitario".

"A questo punto", cioè di fronte a questo salto logico, occorrerebbe invece, secondo il Tribunale, "domandarsi se sia qualcosa di più che insolito strano curioso o bizzarro che RA e NA, gli organismi che consentono a internet di esistere e svilupparsi considerino invece il DN alla stregua di un mero indirizzo, un mero numero di telefono, sia pure tradotto in lettere alfabetiche". E a tale quesito il Tribunale replica che il domain name è "l'indirizzo internet di un computer collegato alla rete. Le pagine del sito internet prodotto dal soggetto che utilizza quel computer esporranno al pubblico l'attività di quel soggetto, offriranno i suoi servizi on-line esibiranno la sua denominazione. Mediante il domain name, conclude il Tribunale, solamente si raggiungerà quel sito non diversamente, si potrebbe opinare, da quanto avviene raggiungendo un certo numero civico di una certa via per andare a trovare qualcuno o comporre un numero di telefono per parlare con una data persona".

D'altra parte "il beneficio di potersi far raggiungere dall'utente cliente digitando un nome (DN) sulla form del browser, è relativo e opinabile e non tale da rendere indefettibile e tutelabile la corrispondenza tra marchio e dominio": la opinabilità del DN ha contaminato quindi la corrispondenza marchio-dominio.
La corrispondenza però, indipendentemente dal carattere relativo del DN, è, di per sé, improbabile come risulta dal fatto che essa non vi sia in una infinità di casi.
Sulle esemplificazioni addotte dal Tribunale e sul loro valore si tornerà fra breve (cfr infra § 3.5). La corrispondenza marchio dominio non è quindi un bene assoluto, un valore assoluto, ma relativo, opinabile e quindi non tutelabile.

3.2. Inesistenza di un principio positivo ad hoc

Il Tribunale, una volta dimostrata la non tutelabilità del dominio e della corrispondenza marchio dominio, non porta tale dimostrazione alle sue logiche conseguenze e cioè non giunge ad affermare la non recepibilità delle suddette figure nell'ambito dell'ordinamento giuridico.
Fedele al suo programma, che consiste nello stabilire se nel nostro ordinamento esista il diritto di registrare un DN corrispondente al proprio marchio, una volta effettuata quella dimostrazione, il Tribunale compie una svolta nel suo ragionamento e, riducendo le sue stesse argomentazioni su riferite ad una serie di obiter dicta che avrebbe anche potuto risparmiarsi, giunge finalmente alla voluta soluzione.
La corrispondenza marchio dominio non è un valore assoluto e questo è assodato ma, "soprattutto", essa non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento, di talché "finché internet in Italia non è regolata, normata e in qualche modo inclusa nell'ordinamento giuridico generale, per il DN non potrà porsi un problema di violazione del marchio di impresa, delle sue denominazioni e dei suoi segni distintivi".

3.3. Un evidente paradosso

Con quest'ultima affermazione, le due argomentazioni del Tribunale sub a) e b) (cfr supra § 3), trattate come indipendenti l'una dall'altra, per i già esposti motivi, entrano in rotta di collisione ed in stridente contraddizione tra di loro.
Se infatti il valore di uso del DN è degradato al livello di indirizzo stradale o telefonico, se il suo valore di scambio deve essere, per ciò stesso, considerato un mero accidente, non si può non concludere che il nome di dominio e anche la corrispondenza marchio DN, come entità del tutto trascurabili, prive di rilevanza economico sociale, opinabili, relative e non degne di attenzione, siano tali perché non posseggono in sé la oggettiva intrinseca valenza di un interesse meritevole di tutela e perciò non potranno mai diventare parte integrante dell'"ordinamento giuridico generale".

In altri termini non è logicamente coerente e corretto affermare che un interesse, non meritevole di tutela, lo diventerà soltanto quando e se entrerà a far parte dell'ordinamento positivo. In tal maniera l'ordinamento opererebbe una demiurgica trasformazione di una semplice contingente utilità in un interesse meritevole di tutela.
La stessa giurisprudenza maggioritaria avrebbe, dunque, preso e fatto passare come un interesse serio reale meritevole di tutela per la rilevanza economico sociale, uno strumento, uno pseudosegno di scarsa utilità pratica, per metà numero per metà lettere, imparentato con la strada di casa, l'apparecchio telefonico o la targa automobilistica.

3.4. Economia e principio di legalità

Se il sito con il suo dominio o il sito e il dominio separatamente dovessero, per assumere rilevanza giuridica nell'ordinamento privatistico, attendere la sanzione del legislatore, se in generale dovesse realmente essere il legislatore, di volta in volta, l'unico soggetto legittimato a riconoscere o addirittura a conferire rilevanza economico sociale agli interessi dei privati regolando le singole interconnessioni tra gli interessi emergenti e quelli costituiti, intere sezioni del diritto civile dovrebbero essere ricreate ex novo ad ogni occasione, pena la autosoppressione o, nella migliore delle ipotesi, l'immobilismo e la conseguente paralisi dell'attività produttiva e di scambio.

Gli interessi vitali emergenti si impongono, nella realtà, in sé e per i relativi regolamenti, alla competenza dell'autonomia privata degli operatori e alla valutazione di questi ultimi nell'ambito della loro sfera patrimoniale e giuridica insieme e, conseguentemente, si impongono all'attenzione del legislatore perché vengano eliminati gli ostacoli di precedenti legislazioni, residui di precedenti situazioni di fatto, che impediscano il naturale dispiegarsi degli interessi emergenti e la piena attuazione, da parte dei giudici, dell'ordinamento privatistico.
Non ci si può fare nulla: in questo ordinamento il principio di legalità funziona così, contrariamente a ciò che avviene in altre branche del diritto. L'espressione nullum jus sine lege, ammesso che sia mai stata pronunciata prima d'ora, suona come una parodia e null'altro è se non una patente stonatura.
Nel diritto privato non esistono lacune da colmare ma ostacoli da rimuovere.

E soprattutto il principio dell'interpretazione, che si sostituisce, in positivo, al principio di legalità, dovrebbe consigliare al giudice di far capo, nelle proprie decisioni, all'opinione di altri interpreti (dottrina e giurisprudenza), piuttosto che a regolamenti interni di entità, come la RA ed NA, che non hanno funzione prescrittiva, ma nemmeno funzione descrittiva al di fuori dell'universo internet.
La situazione di cui sopra, venutasi a determinare a causa della vitalità e della forza pervasiva delle istituzioni del commercio e dell'economia, può essere criticabile ed è in effetti criticata aspramente da coloro i quali considerano una iattura il fatto che l'ideologia liberistica venga spinta alle estreme conseguenze da operatori privi di scrupoli. Restano però, nonostante tutto, salvi il principio della divisione dei poteri e un certo equilibrio sociale.

Quello che i giudici attuano è l'ordinamento privatistico che, nelle sue interconnessioni, rappresenta pur sempre la sedimentazione del lavoro secolare di giuristi codificato, (nei sistemi giuridici continentali: per la Common Law la questione si complica), dal legislatore e attuato dal giudice e, finché le cose procederanno in tal senso, non vi saranno scambi di ruoli istituzionali ma soltanto interscambi tra legge ed interpretazione, teoria e pratica, nell'ambito delle rispettive competenze.
D'altra parte la difesa ad oltranza di principi come quello di legalità in ordinamenti cui male esso si addice, lasciando senza tutela gli interessi privati che di essa sono meritevoli, potrebbe costituire una gratificazione insperata per coloro che, da una carenza di risposte del potere giudiziario, potrebbero trarre profitti ben maggiori di quelli che traggono anche con l'attuale regime.
Non potendosi sconvolgere o arrestare la dinamica dell'ordine economico che tutto condiziona e determina nell'attuale situazione, occorre insomma attenersi a criteri di sano e misurato realismo senza indulgere a rigorismi fuori luogo.

3.5. Osservazioni sul metodo

La vocazione del Tribunale di Firenze all'applicazione di rigidi principi, a ben vedere si ripresenta anche in relazione a questioni di minore importanza rispetto a quella trattata finora.
L'ordinanza Trib. Modena 23.10.96, ad esempio, afferma, senza mezzi termini, la confondibilità del sito Foroit con la testata Foro Italiano, per via del fatto che, nella realtà, gli operatori conoscono la testata stessa anche nell'abbreviazione Foroit.
Il Tribunale di Firenze ritiene invece che la corrispondenza fra marchio e dominio è una chimera perché spesso, ad esempio nel settore bancario, si ha come dominio una abbreviazione che non corrisponde alla denominazione o al marchio dell'istituto: www.credit.it per Credito Italiano, www.bancaroma.it per Banca di Roma e così via.

Quest'ultimo Tribunale, non ritenendo il DN un segno distintivo, e, disinteressandosi di conseguenza di problemi realisticamente connessi con il rischio di confusione, si mostra, come è ovvio, preoccupato soltanto della formale corrispondenza letterale dei due termini considerati.
Ma tale rigido formalismo resta fine a se stesso e non consente al Tribunale di dimostrare il suo assunto e ciò per il banalissimo fatto che dire Credit e Bancaroma è esattamente la stessa cosa che dire Credito Italiano e Banca di Roma.
Dal che consegue che tra quei termini, al di là della confondibilità, non c'è solo somiglianza o equivalenza ma un vero e proprio rapporto di uguaglianza e identità e che quegli esempi ed eventuali altri consimili non rappresentano altro che autentici casi di doppia denominazione (ossia di due denominazioni, non importa se, una di fatto, l'altra di diritto, o entrambe di fatto o di diritto, ma comunque giuridicamente e legalmente equipollenti) di una stessa entità.

3.6. Principio di legalità e interpretazione

Va anche rilevato che, come nessun ordine di motivi generali può validamente costituire la premessa logica o la giustificazione della volontà incondizionata del Tribunale di attenersi a un rigoroso principio di legalità, così non esistono nemmeno motivi di ordine particolare consistenti ad esempio in una domanda mal formulata da parte del ricorrente.
Infatti la Sabena, dopo aver richiesto che venisse inibito al resistente l'uso del DN www.sabena.it, ha formulato le consuete domande già proposte da altri nei confronti della NA e della RA (cfr caso Sege, caso Altavista, supra § 2.2 loc.cit.).

Il Tribunale nelle precedenti occasioni, concessa l'inibitoria aveva rigettato le domande formulate nei confronti della NA e della RA, per non essere queste ultime parti in causa e per essere le domande stesse non proponibili in sede cautelare.
Si potrebbe però dire che nessuno aveva, in casi precedenti, richiesto mai al Tribunale, sia pure in subordine, di ordinare alla RA di revocare l'assegnazione del DN e registrarlo a nome della ricorrente.
Una tale domanda subordinata, però, non può certo aver determinato la svolta data al tema dal Tribunale di Firenze rispetto alla precedente giurisprudenza che, come precisa A.Palazzolo (Il diritto del titolare del marchio, in InterLex - agosto 2000) "si era sempre occupata della questione in termini di concorrenza sleale e dei profili di carattere processuale" (in realtà si trattava di profili relativi ai presupposti e soprattutto alle condizioni dell'azione dal punto di vista sostanziale e cioè all'interesse ad agire come lesione; cfr S. Satta op. cit. pag.109) "e mai come nel caso in esame della questione del diritto in capo al titolare del marchio di registrare un corrispondente nome di dominio".

Si sarebbe passati cioè dalla questione in merito a un diritto negativo di impedire che terzi adoperino un DN confondibile, alla considerazione di un positivo diritto ad ottenere un DN corrispondente al marchio.
A tali considerazioni si può agevolmente rispondere, sulla base del rapporto con i precedenti, che il Tribunale di Firenze ha voluto cercare e trovare il punto nevralgico della questione in maniera da arrivare alla riaffermazione del principio di legalità, rifiutando intransigentemente qualsiasi apertura all'interpretazione e senza curarsi di approfondire, in maniera logicamente conseguente, il problema della tutelabilità o meno di un interesse al DN (cfr supra § 3.2, 3.3), tanto è vero che si è guardato bene dal considerare l'argomento sotto il profilo dell'unicità del DN pur da lui citato tra le regole di naming.

Tale principio lo avrebbe portato addirittura a trovarsi dinanzi ad un problema ritenuto da alcuni non risolvibile secondo le norme vigenti se non, sia pur in via di ipotesi, entro la normativa dell'art.1 bis l.m. ossia attribuendo al DN la natura di indirizzo (così Frassi op.cit. pag.185, la quale però ribadisce l'inadeguatezza di una tale soluzione).
L'ordinanza non assume una posizione critico dialettica nei confronti della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, contrapponendo loro un proprio contributo costruttivo dal quale potesse emergere qualcosa di nuovo, una novità, ma ha voluto soltanto riaffermare un principio in base al quale esiste un'unica alternativa, o la legge c'è e allora c'è il diritto, o non c'è legge e quindi non c'è diritto, alternativa che esclude categoricamente quella ispirata al principio di interpretazione: o l'interesse è meritevole di attenzione da parte dell'ordinamento giuridico e allora c'è diritto soggettivo o non lo è e allora non c'è diritto.

4. Un tentativo di compromesso

Da questa alternativa vorrebbe discostarsi il Palazzolo, proprio partendo da alcune considerazioni, connesse con il suddetto principio di unicità, che sembrano configurare una sorta di compromesso fra l'ordinanza in esame e la giurisprudenza precedente.
Premesso infatti che il principio di unicità, precludendo la registrazione di più DN identici, pone la questione della sussistenza o meno di un diritto in capo al titolare di marchio all'ottenimento di un DN corrispondente, il citato autore conclude che il titolare del marchio non vanta un positivo diritto ad ottenere un DN corrispondente al marchio stesso, bensì un diritto negativo di impedire che terzi adoperino un DN con esso confondibile, senza la possibilità di costringere l'assegnatario ad abbandonare o modificare il DN ottenuto.

Tale diritto negativo si accorderebbe con le "problematiche di concorrenza sleale e di profilo processuale" svolte dalla giurisprudenza precedente mentre l'insussistenza di un "positivo diritto" alla corrispondenza marchio dominio porrebbe l'ordinanza del Tribunale di Firenze solo parzialmente in disaccordo con la giurisprudenza maggioritaria: in fondo, come rileva il Tribunale sopradetto, il salto dal negativo al positivo è da ascriversi esclusivamente alla dottrina (cfr supra § 3.1).
Senonché la soluzione così prospettata presta il fianco a serie obiezioni concernenti la teoria e la pratica, mettendo peraltro in evidenza l'inadeguatezza del punto di vista espresso dall'ordinanza in esame e l'inammissibilità di una tutela solo negativa dei DN.

4.1. Diritto negativo e positivo diritto

Come prima cosa è legittimo chiedersi perché mai debba essere postulata l'esistenza di un diritto negativo del titolare del marchio di impedire che terzi adottino un DN con esso confondibile e non anche un suo "positivo diritto" ad ottenere un DN corrispondente al marchio quando esiste un tale "positivo diritto" ad ottenere, ad esempio, la ditta corrispondente al marchio, "così tutelandola pretermettendo ed estromettendo chi abbia già validamente registrato" quella stessa ditta "in precedenza" (parole del Tribunale di Firenze).
Questa differenza di trattamento è incomprensibile.
Bisogna decidere: o il DN non è un segno distintivo positivamente tutelato dalle norme del diritto industriale o dall'ordinamento giuridico generale e allora ha pienamente ragione il Tribunale di Firenze, oppure esso è un segno assoggettabile, secondo il principio di unitarietà, alle norme del diritto industriale e allora quella discriminazione tra DN ditta ed altri segni distintivi è del tutto arbitraria sia sotto il profilo di eventuali conseguenze sul piano giuridico del principio di unicità e dei limiti attuativi tecnico organizzativi che esso pone, sia sotto il profilo della natura della tutela accordata ai diritti soggettivi.

4.2. Il principio di unicità. Rinvio. Limitazioni di tutela

Per quanto riguarda i limiti di cui al principio di unicità è opportuno sottolineare che la gravità dei problemi che esso determinerebbe è soltanto apparente (cfr infra § 5). Rispetto ad essi diversa valenza hanno, ovviamente, i limiti posti dall'ordinamento all'ampiezza del diritto dei privati: in genere essi traducono normativamente emergenze scaturenti dalla valutazione in termini di trascurabilità o di sproporzione degli interessi dei soggetti cui la norma si dirige.
Tali limiti debbono risultare da una espressa disposizione di legge come nel caso dell'art. 9 l.m., che prevede per il marchio non notorio e localmente notorio il diritto di continuare il preuso ma senza lo ius excludendi nei confronti del registrante.
La stessa regola vale per tutte gli altri casi in cui può verificarsi una deroga del principio in forza del quale non si ammette la coesistenza di marchi confondibili (cfr artt.47 bis, 48 e 17 comma I lett.d l.m.).

4.3. La tutela dei diritti. Premesse teoriche

Per quanto riguarda, infine, la natura della tutela accordata dall'ordinamento giuridico, va ribadito che centri di interessi seri, reali, morali sono di per sé meritevoli di attenzione in negativo e in positivo da parte dell'ordinamento giuridico stesso, sono cioè diritti soggettivi a tutti gli effetti, dei quali il titolare ha il potere di far uso trascendendo eventualmente nell'abuso e ledendo l'altrui diritto.
Chi ha subito l'abuso ha interesse ad agire per ottenere la tutela e la relativa sanzione.
Non esiste diritto soggettivo senza tutela e sanzione come non esistono tutela e sanzione senza lesione, perché non esiste azione senza interesse ad agire e interesse ad agire senza lesione: da ciò l'identificazione dell'azione con il diritto ed il principio secondo cui l'interesse ad agire è condizione dell'azione, perché si identifica con l'azione stessa (S. Satta, op. cit. pagg.105-107).

Il diritto è l'azione perché solo attraverso l'azione e la sanzione esso si realizza nella dinamica dell'ordinamento privato e solo nella tutela e nella sanzione, che si realizza attraverso l'azione, vive ed esiste il diritto soggettivo.
Chi infatti pensi a diritti soggettivi senza pensare anche alla loro violazione potrebbe pensare a diritti assoluti non bisognevoli di tutela, ma una categoria di diritti di tale genere non esiste, tant'è che il diritto soggettivo non solo si identifica con l'azione ma è sempre il rapporto di una persona verso altre persone ed è sempre un potere limitato dalla coesistenza di altri diritti uguali.
A tale potere "corrispondono doveri negativi e positivi, generali o specifici di altri perché il diritto soggettivo è anche e ancora rapporto del soggetto con altre persone su cui grava la necessità del rispetto ossia il dovere giuridico" (Coviello op. cit.pag. 30).
Il diritto soggettivo, come fatto e come concetto, si risolve appunto nella dialettica tra potere, dovere, lesione, interesse ad agire (azione) tutela e sanzione.

4.4. Idem. Casistica

Ma queste affermazioni di ordine teorico concettuale, pure importanti, non sono tali da spiegare come effettivamente funzionano le cose nella pratica a ciò occorrendo una ricerca effettuata dal punto di vista di quello che i giuristi di Common Law chiamerebbero case method.
Tanto premesso conviene senz'altro passare a considerare sotto quest'ottica un caso classico di conflitto tra marchio e DN, ipotizzando collateralmente le possibili soluzioni di situazioni consimili.
Il caso prescelto è quello che ha visto come protagonista la società Sege, titolare del marchio Porta Portese, la quale, trovato il dominio portaportese.it già assegnato, si è vista costretta a registrare il dominio porta-portese.it ma poi ha agito ex articolo 700 c.p.c. e ha ottenuto l'inibitoria (2.8.97), inibitoria che potrà portare, visto che il giudizio di convalida è stato introdotto con citazione 1.9.97 ad una sentenza confermativa che, divenuta definitiva, dovrà essere presa in considerazione dall'ente di registrazione, che dovrà procedere alla cancellazione della registrazione del dominio a favore del richiedente non avente diritto.

Il dominio portaportese.it divenuto così disponibile, salvo interventi di intrusi, potrebbe, sempreché interessato, essere assegnato al titolare dell'omonimo marchio e il dominio porta-portese.it potrebbe in teoria essere assegnato a chiunque: al convenuto soccombente o ad altro concorrente dell'attore (col rischio però che ne nasca un secondo processo) o a soggetto che non si trovi in istato concorrenziale con il titolare del marchio.
Un procedimento più o meno simile è previsto dall'art. 25 l.m. e a tale procedimento dovrebbe accedere il titolare di DN configurabile come marchio di fatto notorio che, contestando l'uso da parte di un terzo di un marchio registrato che imiti il DN stesso, in quanto nullo perché privo del requisito della novità (art.17 l.m.), aspiri alla titolarità del marchio contestato.

Così, nel caso ipotetico di un imprenditore titolare di marchio che desideri registrare una ditta corrispondente al marchio stesso, poiché non c'è dubbio che un diritto in tal senso esista, se ci si chiede come dovrà procedere quell'imprenditore per attuare il suo diritto, la risposta non può essere che questa: o la ditta non è stata registrata e/o non viene usata da nessuno, e allora il nostro imprenditore procederà senz'altro alla registrazione della ditta, oppure la ditta stessa è già stata registrata e/o usata successivamente al deposito del marchio da terzi e allora egli dovrà procedere all'azione contro i terzi stessi, dimostrando l'esistenza dei presupposti e delle condizioni dell'azione, per impedire loro l'uso della ditta e per sostituirsi ad essi in esito ed in forza della pronuncia del giudice.
Sembra così giunto il momento di concludere in merito a due problemi relativi all'esistenza o meno e all'eventuale portata del diritto al DN.

5. Il diritto al DN. Il DN come indirizzo

Il primo problema è quello posto dal principio di unicità della registrazione (cui si è già accennato supra § 3.6).
Frassi (op. cit. pag. 185), che pur sostiene la natura di segni distintivi dei DN, dopo avere evidenziato come effetto di tale principio la impossibilità tecnica di coesistenza tra DN identici appartenenti per categorie merceologiche diverse a soggetti diversi, rileva, dal punto di vista giuridico, la gravità del problema della identificazione del soggetto che debba procedere alle modifiche intese ad eliminare l'interferenza fino a prospettare, in mancanza di indicazioni fornite dalla l.m., l'eventualità di prendere in considerazione la norma di cui all'art. 1 bis I comma lett. a l.m., che obbliga il titolare del marchio a tollerare l'uso che un terzo, nei limiti della correttezza professionale (cfr supra § 3.6) faccia del proprio nome e indirizzo, anche in internet.

Degradare però il DN a rango di indirizzo per i limiti tecnici posti dal principio di unicità e per la rilevata mancanza di indicazioni ad hoc nella l.m., oltre che pericoloso per motivi economico sociali e giuridici generali, è assurdo perché, come si è visto nella esposizione del caso Sege, il problema della individuazione del soggetto tenuto alle modifiche del DN si risolve nell'ambito della tutela del diritto al marchio sulla base dei principi generali dell'azione, del principio prior tempore, potior iure (che non è affatto l'equivalente del principio tecnico first come, first served, rispetto al quale anzi è del tutto indipendente) e degli altri principi generali dell'ordinamento privatistico che regolano le questioni della prevalenza nel diritto, l'uso appropriato del diritto stesso, l'emergenza di eventuali cause di conflitto e le soluzioni di questo.
Nel senso che il primo soggetto che registra un DN, se lo usa correttamente senza attentare al marchio o ad altri segni distintivi di terzi, ne resta titolare, altrimenti lo perde a favore di colui che ha danneggiato.
Tutti gli altri aspiranti a quel DN dovranno procedere alle opportune modifiche (cfr supra § 4.4).

5.1. Idem. Diritto negativo?

La regola dell'unicità della registrazione viene, come già si è detto, ripresa dal Palazzolo (op.cit.) per dimostrare (con l'intento di conciliare il punto di vista dell'ordinanza del Tribunale di Firenze con quello della precedente giurisprudenza), come il titolare di un marchio non vanti un positivo diritto ad ottenere un DN corrispondente bensì solo un diritto negativo di impedire che terzi adoperino un DN con esso confondibile, determinando la già rilevata disparità di trattamento fra il DN e gli altri segni distintivi come la ditta.
Ma questa opposizione tra diritto negativo e diritto positivo - o positivo diritto - non solo è inaccettabile ma è anche essa pericolosa per il solo fatto di esistere perché, pur consistendo, come si vedrà, in un nonsenso che si risolve nell'affermazione del suo contrario, potrebbe ingenerare seri equivoci intorno alla natura del diritto soggettivo al DN e cristallizzare pregiudizi discriminatori.

Il citato autore, premesso che non possono coesistere DN corrispondenti a marchi uguali ma merceologicamente distinti, conclude che chi ha registrato un dominio sarebbe esposto al rischio di risarcire i danni al titolare del marchio a prescindere dalla circostanza che tale registrazione risulti contraffattoria (sic!).
Se non c'è contraffazione o confusione non si vede però in che cosa possano consistere "i danni" e dove possa essere scovato l'interesse ad agire (art.100 c.p.c.).
Successivamente, nella citata nota, dopo alcune ovvie considerazioni sull'uso esclusivo del marchio previsto dagli artt.2569 CC e 1 l.m., naturalmente limitato in funzione della sua capacità distintiva, limite questo confermato dal principio di relatività e dagli artt. 1 I comma l.m. 1 bis l.m. (uso descrittivo del marchio), e dal diritto di continuare il preuso del marchio di fatto (art.9  l.m.), dal che consegue giustamente che i terzi, nel rispetto della funzione distintiva del marchio stesso, possono anche registrarlo come DN, si legge, che per tutti questi bei motivi, salvo che provare la confusorietà, il titolare del marchio non ha nessuno strumento giuridico per costringere l'assegnatario ad abbandonare o modificare il DN ottenuto.

Con ciò però si dice una cosa inesatta dal punto di vista del marchio rinomato, sempreché l'assegnatario sia imprenditore (presupposto per l'azione) e sempreché si provi l'interesse ad agire (che, nel caso di marchio rinomato, consiste nell'indebito vantaggio conseguito dal terzo e relativa diminuzione patrimoniale del titolare del marchio) e non si fa altro che enunciare i limiti di ogni diritto soggettivo che deve fare i conti con i diritti acquisiti dagli altri e che intanto può appropriarsi dei diritti di questi ultimi in quanto diventino abusi.

Ulteriori considerazioni circa la impossibilità che le modifiche del DN vengano imposte dal giudice per consentire la coesistenza di due DN corrispondenti a due marchi legittimi (il che è vero), potendo il giudice "imporre modifiche" (il che non è vero) volte ad evitare un rischio di confusione, dovrebbero finalmente dimostrare che il titolare del marchio non vanta un positivo diritto ad ottenere un DN corrispondente al marchio stesso, bensì solo un diritto negativo di impedire che terzi adoperino un DN con esso confondibile.
Senonché, a parte l'evidenza dello iato che esiste tra le premesse e le conclusioni, per cui il ragionamento non dimostra affatto l'assunto, non si può non rilevare che il cosiddetto diritto negativo, che costituisce il perno del ragionamento stesso, si risolve o in un nonsenso o nel diritto soggettivo pienamente tutelato e tutelabile a dispetto della limitativa aggettivazione.

Infatti, circoscrivendo il discorso al campo del diritto industriale, è noto che, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalle citate norme limitative contenute nella l.m., al titolare di marchio o di altro segno distintivo è concesso: a) la facoltà o la potestà di impedire ad altri di fare uso di un marchio o di altro segno confondibile o che danneggi un marchio rinomato; b) la facoltà o la potestà di pretermettere ed estromettere gli altri sostituendosi ad essi, il tutto seguendo ovviamente le vie percorribili e nei limiti del materialmente possibile.
L'esistenza di tali facoltà o potestà che costituiscono il contenuto del diritto altro non sono che l'espressione del diritto stesso visto nella prospettiva delle valutazioni del titolare al quale spetta la scelta se difendersi soltanto dall'abuso del terzo o prendere anche il posto di colui che l'abuso ha posto in essere.

Non esistono diritti che possano definirsi preventivamente negativi o positivi: la misura della tutela, salve le limitazioni di legge, è rimessa alla scelta dell'interessato.
Poco concludente sembra essere anche la successiva affermazione, contenuta nella nota, secondo cui la confondibilità è censurata a prescindere dal fatto che il DN abbia precluso o meno al titolare l'assegnazione del DN identico al proprio marchio.
Essa è inconcludente perché, se il DN non ha precluso al titolare del marchio l'assegnazione del DN identico, non può esserci materialmente confondibilità censurabile e interesse ad agire.

5.2. Il diritto al DN come diritto soggettivo

Ma le novità spuntano fuori alla fine della nota medesima, là dove si legge che l'interesse ad agire del titolare consiste, in caso di contraffazione, nell'interesse alla cessazione dell'uso di un segno distintivo altrui confondibile con il proprio (il che è vero) e che non è necessario che a ciò si aggiunga l'interesse a sostituirsi al convenuto nella titolarità del DN.
Finalmente il nostro autore pare si renda conto del fatto che la misura della tutela è rimessa alla libera scelta del titolare del diritto e che basta l'interesse alla eliminazione della lesione (tecnicamente l'interesse sostanziale ad agire di cui all'art.100 c.p.c.) perché si produca, se il titolare del diritto ne ha interesse, (nel senso di convenienza e non come interesse ad agire), anche l'effetto sostitutivo in suo favore.
Con il che il diritto negativo diventa automaticamente diritto positivo al DN e quindi diritto soggettivo tout court.

E dopo avere scoperto che, una volta ottenuta una pronuncia giudiziale la quale (anche in sede di convalida di una inibitoria), vieti l'uso del DN idoneo a suscitare confusione, il titolare del marchio (analogamente a ciò che avviene ex art.25 l.m.), ottenuta la cancellazione della registrazione oggetto della sentenza, potrà chiedere all'ente di rigistrazione l'assegnazione a proprio favore del dominio (il diritto negativo ridiventa positivo!), aggiunge, per concludere, che "tutto ciò è coerente con quanto in precedenza sostenuto: non si tratta di un positivo diritto all'ottenimento del DN corrispondente al marchio ma di una registrazione atta a tutelare il titolare da registrazioni che siano già state giudicate confusorie".
Ma questo non vuol forse dire che, attraverso l'attuazione del cosiddetto diritto negativo, si è, con l'ottenimento del DN corrispondente al marchio, raggiunto il risultato cui si aspira attraverso l'esercizio di un positivo diritto, e cioè dell'esercizio del diritto soggettivo, e che quindi la nozione di diritto negativo è non solo inutile ma anche priva di senso?

6. Conclusioni sull'ordinanza del Tribunale di Firenze

Per concludere sull'ordinanza, il Tribunale di Firenze pare abbia applicato, in termini incondizionatamente drastici, i suoi criteri di attuazione della legge, il che spiega solo in parte il mancato espletamento degli adempimenti previsti dai commi I e II dell'art. 669 sexies c.p.c.
Poiché, anche se l'onere della prova sui presupposti e le condizioni dell'azione spetta al ricorrente, il giudice, chiamato a decidere di una controversia, dovrebbe porsi nelle condizioni più favorevoli per conoscere i termini della controversia stessa e per rendere, come di dovere, giustizia al limite di ogni possibilità.

Se avesse potuto acquisire la prova della qualità di imprenditore nella persona del resistente, il Tribunale, fermo restando il suo convincimento circa la natura di indirizzo del DN, avrebbe potuto accedere all'applicazione dell'art.1 bis n.1 lett.a l.m., secondo cui i diritti di marchio d'impresa registrato non permettono al titolare di esso di vietare ai terzi l'uso, nell'attività economica, del loro nome ed indirizzo purché l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale.
Questa riserva, per inciso, viene da alcuni limitata al caso sub c) della citata norma e non sarebbe estensibile alle ipotesi sub a) e b); ma tale limitazione è del tutto arbitraria poiché in senso contrario suona l'art. 6 della direttiva CEE 89/104, nella versione originaria inglese che, come si sa, prevale rispetto alla legge nazionale (C. Cost. 18.4.91 n.168 in Foro It. 1992 I 660).

Ora, poiché non pare sostenibile che la resistente si sia attenuta ai cennati criteri di correttezza nello scegliere il proprio indirizzo web (è bizzarra comunque l'idea di un indirizzo scelto, quando in genere lo si riceve dall'amministrazione comunale e telefonica), individuandolo "casualmente" in un nome corrispondente a quello di un marchio (Sabena) che, data la notorietà internazionale della titolare dovrebbe definirsi rinomato (cfr caso Peugeot), il Tribunale avrebbe potuto concedere la richiesta misura cautelare in considerazione del vantaggio indebito tratto dalla resistente stessa e dal conseguente pregiudizio derivante alla ricorrente, per la rinomanza, affidabilità e importanza internazionale della Sabena, o per gli stessi motivi, anche in mancanza della qualità di imprenditore del resistente, a norma della legge a tutela della identità personale della nota compagnia aerea secondo il principio enunciato dall'ordinanza del caso Foro It. (P. Frassi op.cit. pag.168).
Se fosse, alternativamente, risultata la mancanza della qualità di imprenditore nel resistente, il Tribunale infine avrebbe potuto rigettare la domanda per la carenza del presupposto soggettivo suddetto, senza dare di piglio inutilmente a un principio inadeguato come quello di legalità.

* Avvocato in Roma